Anthony Giddens: Potente e turbolenta. Quale futuro per l'Europa?, Il Saggiatore
Risvolto
Nel 1946, Winston Churchill dichiarò che solo
gli "Stati Uniti d'Europa" avrebbero potuto trasformare quel "continente
potente e turbolento", restituendo gioia e speranze a centinaia di
milioni di persone. Quasi settant'anni dopo, l'Unione Europea affronta
la più grave crisi della sua storia: la moneta unica, per come funziona
attualmente, si sta dimostrando insostenibile, e le politiche di
austerità hanno acuito le disparità tra i paesi e al loro interno.
L'Europa non sembra più così potente, ed è tornata turbolenta.
Politicamente divisa, incapace di esprimere una leadership autorevole,
prigioniera di nuove rivalità e di una burocrazia sempre più complessa e
meno incisiva, l'Ue non riesce a supportare con efficacia i paesi in
difficoltà e rischia di diventare un attore irrilevante sulla scena
internazionale. Anthony Giddens indaga a tutto campo i problemi del
Vecchio continente, indicando soluzioni concrete e originali. È un
errore credere che le disfunzioni della moneta unica siano la sola fonte
del malessere europeo. Stabilizzare l'euro e far tornare al centro
crescita e occupazione è necessario, ma non basta. I crescenti flussi
migratori, i problemi sociali e demografici, l'inefficienza di molti
sistemi di welfare, il riscaldamento globale, le conseguenze delle
innovazioni energetiche e tecnologiche sono questioni urgenti, che
condizioneranno il futuro dell'economia e ne saranno a loro volta
influenzate.
Anthony Giddens “Ho sempre difeso i più
deboli e l’intervento dello Stato” dice il sociologo che ispirò Blair
“Ora ci vogliono riforme e flessibilità per creare posti di lavoro”
“Una nuova Terza Via nell’era di Internet così la sinistra batterà i populismi”
Bisogna rinnovare l’ideologia progressista e adeguarla all’epoca digitale
Sta facendo cambiamenti strutturali, ed è quello di cui ha bisogno l’Italia
di Enrico Franceschini Repubblica 4.12.14
LONDRA “I VALORI della sinistra rimangono gli stessi, ma vanno adeguati a
un mondo trasformato dall’innovazione tecnologica». Anthony Giddens
torna a parlare della Terza Via, la filosofia politica di cui è stato
l’ideatore, che negli anni ’90 portò la sinistra al potere in Gran
Bretagna e nella maggior parte dei paesi europei. Un’idea a cui oggi fa
riferimento una nuova generazione di riformisti, Renzi in Italia, il
primo ministro Valls in Francia, il nuovo leader socialista Sanchez in
Spagna, ma che ora alcuni criticano come un’apertura al liberismo. «La
Terza Via non è mai stata contro l’intervento dello Stato, ma davanti a
globalizzazione e rivoluzione di Internet occorre difendere i
lavoratori, non il posto di lavoro in sé, creare nuovi lavori visto che
non è possibile salvare quelli vecchi», replica il grande sociologo
inglese, ex-direttore della London School of Economics e membro della
camera dei Lord, affermando il suo sostegno alle riforme avviate dal
leader del Pd nel nostro paese, in questa intervista concessa a
Repubblica prima di partire per Bruxelles dove ieri sera ha ricevuto il
prestigioso Prix du Livre Européen per il suo ultimo libro, “Potente e
turbolenta: quale futuro per l’Europa?” (pubblicato in Italia da Il
Saggiatore).
E’ ancora buona la Terza Via, Lord Giddens?
«Intanto viene spesso equivocata. Nacque come idea ispirata dalla
socialdemocrazia scandinava e dai New Democrats negli Stati Uniti. Ma
per me non è mai stata una versione soft del liberismo. Era la ricerca
di una filosofia politica capace di andare oltre socialismo tradizionale
e liberismo, le due principali ideologie del ventesimo secolo».
Una via di mezzo o una via comunque di sinistra?
«Un tentativo di continuare a sostenere i valori della sinistra
adattandoli a tempi nuovi. La Terza Via non ha cambiato i valori
fondamentali della sinistra, che restano l’inclusione sociale, l’aiuto
ai più vulnerabili, un certo grado di eguaglianza. Ma i tempi sono
cambiati e bisognava innovare l’ideologia progressista per fare i conti
con la globalizzazione, termine che credo di essere stato il primo ad
usare. All’inizio fu difficile accettare che il mondo cambiava. Poi Bill
Clinton e Tony Blair compresero il significato di quei cambiamenti».
Cambiamenti che continuano.
«Meglio: accelerano. Il cambiamento è diventato radicale a causa di
Internet, che era appena nella sua infanzia quando formulammo la Terza
Via. L’interdipendenza, chiave della globalizzazione, ora è ovunque
grazie alla rivoluzione digitale. Stiamo vivendo il mutamento
tecnologico più rapido e universale nella storia dell’umanità. Vent’anni
fa nessuno lo avrebbe immaginato, certo non io».
Come adeguare la filosofia della Terza Via al mondo di Internet?
«Riformando il mercato del lavoro, che in molti paesi è un mercato
disfunzionale: protegge un piccolo numero di lavoratori, lasciandone un
gran numero, tra cui i più giovani, senza protezione, concetto
sicuramente poco di sinistra».
Ma riformare il mercato del lavoro vuol dire più flessibilità, libertà di licenziare?
«La flessibilità andrebbe interpretata, se posso dirlo, in modo più
flessibile. Non significa assumere e licenziare quando si vuole. La
Germania, per esempio, ha approvato una vasta riforma del mercato del
lavoro introducendo elementi di flessibilità, ma l’ha integrata con il
coinvolgimento dei lavoratori nel processo decisionale e una maggiore
collaborazione tra azienda e dipendenti».
E’ l’unico modo di difendere i lavoratori?
«L’innovazione tecnologica è tale che entro pochi anni computer e robot
faranno il 40 per cento dei lavori che oggi fanno gli esseri umani.
Difendere i lavoratori è necessario, ma non difendendo a oltranza il
posto di lavoro, il vecchio posto di lavoro, perché questo è destinato a
scomparire. Occorre riqualificare i lavoratori, fare in modo che
possano passare da un lavoro all’altro».
Qualcuno attribuisce alla Terza Via la colpa di avere aperto le porte al
neoliberismo e causato la grande crisi finanziaria del 2008.
«Blair ha avuto delle responsabilità in Gran Bretagna, sosteneva che
bastava lasciare lavorare il mercato e non c’era bisogno di un
intervento statale sull’economia. Ma era la sua versione di Terza Via.
Nella mia formulazione originale ho sempre sostenuto che occorre un
intervento statale e oggi ciò è ancora più urgente perché la
diseguaglianza è cresciuta a dismisura, come dimostra l’attenzione
suscitata dal libro di Thomas Piketty. C’è troppo potere nelle mani
delle multinazionali, una delle ragioni della crescita del populismo,
perché lo strapotere delle Big corporation diffonde la percezione di un
indebolimento della democrazia, tenuto conto che nessuno ha votato per
dare alle multinazionali uno smisurato potere».
Cosa altro dovrebbe fare la sinistra?
«Avviare la reindustrializzazione e il re-shoring, l’opposto
dell’off-shoring, cioè riportare a casa aziende e investimenti, un
fenomeno peraltro già visibile negli Stati Uniti, su cui la Ue deve
impegnarsi di più. Poi bisogna chiudere i paradisi fiscali. Senza un
appropriato livello di tassazione non sarà possibile mantenere un
sistema di welfare, e senza quei capitali nascosti non sarà possibile
avere una tassazione sufficiente».
E l’Italia?
«L’Italia ha un ruolo cruciale per spingere la Germania ad abbandonare
una politica di austerità che non è negli interessi dell’Europa e in
effetti nemmeno della Germania stessa. Guardo con favore a quello che
sta facendo il primo ministro Renzi per riformare il vostro paese. Che
ha bisogno di profondi cambiamenti strutturali, senza dei quali si
ritroverà in guai sempre più seri».
Cenando con Renzi a Roma, nei giorni scorsi, Blair ha ripetuto il suo
convincimento che per vincere le elezioni bisogna conquistare il centro
dell’elettorato.
«Su questo concordo completamente con lui. Per vincere devi persuadere a
votare per te gente che non sarebbe propensa a farlo. Non c’è bisogno
di una Terza Via per capirlo».
Nessun commento:
Posta un commento