E' una leggenda nata con Del Noce, del quale oggi vengono ripetuti gli argomenti (il primato dell'atto, dell'azione, dell'attivismo, ecc. ecc., categorie del tutto formali).
Il "gentilismo" ma anche il "crocianesimo" del giovanissimo Gramsci, ben noti, sono in realtà il riconoscimento della modernità e il legame con Hegel nell'Italia del Sillabo, e cioè in un'Italia clericale e passatista. Così come sono l'apprezzamento verso il realismo e i piedi per terra nel delirio ideologico che aveva travolto gli intellettuali europei in prossimità della guerra. Ma già proprio dalla Prima guerra mondiale in avanti - e proprio a partire dalle prese di posizione di C. e G. a favore del macello europeo -, la rottura è netta. Se qualcuno fosse confuso, Gramsci era marxista ed hegeliano (non fichtiano).
A poco serve parlare di una generica "influenza" di Gentile su Gramsci. Questo è ovvio. Che cosa doveva leggere un ragazzo nell'Italia di quegli anni, del resto, Sant'Alfonso de' Liguori? La categoria dell'"influenza" di per sé è
formale. Bisogna vedere a cosa conduce: comporta forse il
retropensiero secondo cui comunismo e fascismo in fondo sono
due varianti della gestione della società di massa in chiave
antisistemica? Perché proprio questa è la vulgata dominante, con buona
pace di Costanzo Preve: fascismo e comunismo sono tentativi di imporre
un legame sociale totalitario (liberali); oppure sono varianti entro la
medesima essenza umanistica della modernità (Heidegger).
Rinvio comunque su tutto ciò al cap. III del libro di D. Losurdo "Antonio Gramsci dal liberalismo al comunismo critico", Gamberetti [SGA].
Giovanni Gentile Il ritorno del maestro
Bollato
come sterile idealismo, in realtà il pensiero del filosofo siciliano ha
affascinato intellettuali come Gobetti e Gramsci che lo consideravano
un innovatore cui ispirarsidi Giuseppe Bedeschi Il Sole Domenica 14.12.14Su
Giovanni Gentile non è mai scesa una coltre di oblio. Recentissimo è
l'ottimo libro di Luciano Mecacci, La Ghirlanda fiorentina e la morte di
Giovanni Gentile (Adelphi); ed esce ora, per i tipi di Bompiani, un
volume, L'attualismo (con introduzione di E. Severino), che ripropone
alcune delle opere più impegnative del filosofo siciliano. Ma anche nei
passati decenni sono apparsi saggi, alcuni di grande pregio, sulla
figura e l'opera di Gentile (penso in primo luogo ai libri di A. Del
Noce, G. Sasso, S. Romano).
Quali sono i motivi di questo continuo
«ritorno» del filosofo siciliano? Un «ritorno» tanto più singolare, in
quanto alcuni degli studiosi più influenti della Prima Repubblica hanno
dato su Gentile un giudizio negativo, durissimo. Vale la pena di fare, a
questo proposito, un paio di esempi.
Uno studioso di formazione
neoidealistica come Eugenio Garin scriveva nel 1955 (nelle Cronache di
filosofia italiana) che purtroppo il primato della gnoseologia aveva
orientato l'attualismo verso una sorta di «teologia», e quindi non
l'aveva fatto gravitare sulla storia, bensì gli aveva fatto risolvere la
storia nella filosofia, «ossia nel quadro vuoto del pensiero pensante,
che invece di essere concretissimo diviene astrattissimo». Norberto
Bobbio, a sua volta, scriveva vent'anni dopo, nel 1975, che la filosofia
di Gentile era stata una «cattiva filosofia», e che «una cultura in cui
una filosofia come quella di Gentile poté essere portata alle stelle,
era una cultura povera, chiusa in se stessa, fatua e al tempo stesso
infatuata, senza porte né finestre verso l'esterno, provinciale,
consacrata al culto della parola per la parola».
Dunque, secondo
questi autorevolissimi studiosi, che dominavano il nostro campo
culturale, i conti con Gentile erano definitivamente chiusi.
Senonché,
accadde poi qualcosa di inquietante. Infatti si appurò che due eminenti
esponenti della cultura italiana della prima metà del Novecento,
Gramsci e Gobetti – che (si badi!) sia Garin sia Bobbio proponevano come
punti di riferimento fondamentali per l'elaborazione di una «nuova
cultura» – erano stati non solo influenzati, ma direi affascinati da
Gentile. Nel 1918 Gramsci aveva scritto che Gentile era «il filosofo
italiano che più in questi ultimi anni abbia prodotto nel campo del
pensiero»; che il suo sistema filosofico era lo sviluppo ultimo
dell'idealismo tedesco, culminato in Hegel, maestro di Marx, ed era «la
negazione di ogni trascendentalismo, l'identificazione della filosofia
con la storia, con l'atto del pensiero in cui si uniscono il vero e il
fatto in una progressione dialettica mai definitiva e perfetta». È
difficile immaginare, credo, un elogio più convinto e, starei per dire,
più commosso di questo.
Quanto a Gobetti, nel 1921 aveva scritto
(proprio sulla rivista di Gramsci, «L'ordine nuovo») che Gentile «ha
veramente formata la nostra cultura filosofica». E aveva concluso con
queste parole: «Quest'insegnamento di vitalità intensa, d'operosità
necessaria, di serenità, d'umanità cosciente, scaturisce dall'opera di
Giovanni Gentile. Egli ha fatto scendere (anzi, meglio, salire) la
filosofia dalle astruserie professorali nell'immensa concretezza della
vita». Perciò era giusto riconoscere in lui «un maestro di moralità», e
tutta la nuova generazione doveva «ispirarsi al suo pensiero per
rinnovarsi».
Quali le motivazioni di questa profonda adesione di
Gramsci e di Gobetti a Gentile? In primo luogo, direi, l'interpretazione
gentiliana di Marx. Per Gentile, Marx era, nonostante il suo
materialismo e in contrasto con esso, un pensatore fondamentalmente
dialettico. E ciò perché la chiave di volta della sua costruzione
filosofica era il concetto di prassi, che Marx aveva ricavato
dall'idealismo. Infatti egli, a differenza di Feuerbach, aveva concepito
l'uomo come l'insieme dei rapporti sociali, e la natura come un
prodotto del lavoro e dell'attività dell'uomo, della sua prassi.
Ma
c'era un altro aspetto (al quale qui posso solo accennare) della
concezione di Gentile che affascinava Gramsci e Gobetti: l'identità di
filosofia e politica, non solo nel senso che la politica deve chiarirsi a
se stessa, e a tal fine deve armarsi di pensiero con l'aiuto della
filosofia; ma anche e soprattutto nel senso che non è «più possibile –
diceva Gentile – una filosofia degna di questo nome, la quale non
s'abbracci alle questioni politiche, e non ne rifletta in sé gli
interessi, e non senta la necessità di risolverle nel suo proprio
processo».
Una volta assodato che Gramsci e Gobetti (nei quali,
ripeto, i Garin, i Bobbio e altri, individuavano i padri di una «nuova
cultura») erano stati gentiliani, e che gli stessi Quaderni del carcere
di Gramsci erano permeati di concetti gentiliani (gli intellettuali
«organici», l'egemonia del «moderno Principe», eccetera), il discorso su
Gentile doveva inevitabilmente riaprirsi, al di là delle facili e
frettolose stroncature. (Del resto l' «attualismo» suscita interesse
anche fuori d'Italia: è appena uscito in Inghilterra un ricco fascicolo
della «Review of Collingwood and British Idealism Studies», interamente
dedicato al filosofo siciliano).
3 commenti:
Croce interventista?
Croce non fu "interventista" nel senso che questa parola aveva in quegli anni e non fece propaganda bellicistica. Come ho scritto, rimase con i piedi per terra e valutò i pro e i contro sul piano dei rapporti di forza. E proprio per questo vide nella guerra l'occasione per forgiare l'unità spirituale di una nazione ancora giovane. In questo senso il sacrificio dei figli delle classi subalterne non gli sembrava inutile. Sotto questo aspetto orientò gran parte delle classi dirigenti colte italiane.
Gentieèil più grande filosofo del900. Critici o sostenitori da lui sono stati formati o svegliati o spronati a fare i conti con la storia che cambia. Per dialogare con lui tuttavia occorre partire d una metafisica diversa. Come è accaduto per Del Noce o potrebbe accadere per Quine o Wittgestein, La forza del marxismo italiano e la sua originalità è stato l'atto pensante che ha coinvolto il mondointellettuale nel progetto comunista.E vi è riuscito. Che la cosa non abbia avuto la continuità e l progresso sperato dipende da quel fenomeno strano che è la storia unmana. Ma Ancora oggi è visibile un mondo culturale "di sinistra" pur in una italia di destra.
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