venerdì 9 gennaio 2015
Continua la pubblicazione dell'edizione Valla del Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena
Giovanni Eriugena, Sulle nature dell'universo, vol. III, a cura di Peter Dronke, traduzione di Michela Pereira, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, Milano, pagg. LI + 421, € 30,00
Scoto Eriugena
Giovanni, poeta del vino
L'intellettuale
irlandese scrisse versi d'occasione su argomenti alti come la
Resurrezione, ma trattò anche di amenità quotidiane come l'importanza
delle libagioni
di Maria Bettetini Domenicale 4 1 2015
«Qui giace Incmaro, ladro terribilmente avaro: / questo solo fece di
nobile, il fatto che morì». Lo sberleffo di un giullare di corte? Uno
stornello studentesco? No, un epitaffio anticipatorio di un grande
pensatore del IX secolo, scritto contro l'arcivescovo di Reims ancora
allegramente in vita (per questo "anticipatorio"). La ragione del
contendere è un argomento che tuttora danna filosofi e teologi e tuttora
divide i credenti, il tema della predestinazione e del libero arbitrio.
Giovanni l'Irlandese, quindi Scoto o Eriugena, scrisse diversi
componimenti poetici, alcuni in latino, altri in greco. Quasi tutti di
occasione, trattano di argomenti ardui, come la discesa agli Inferi di
Cristo, o la sua resurrezione, ma anche di amenità quotidiane, dal
l'importanza del vino in ordine alla socializzazione alle ruggini
personali, per esempio quella contro Incmaro. La traduzione e la cura di
Filippo Colnago, autore anche di un volume sul tema, permette un
accesso facilitato a testi comunque complessi, sia per gli intrecci
argomentativi che per l'alternanza di espressioni latine e vocaboli
greci. Un unicum nella letteratura, come decisamente particolare è
l'autore, che grazie a queste poesie sembra più vicino all'umanità, meno
perso tra le altezze delle quattro nature, o dei testi dionisiani.
Giovanni è un monaco nato in Irlanda, allora denominata Scotia maior per
differenza con la Scotia minor, l'attuale Scozia. Sappiamo molto poco
della sua vita, collocata indicativamente tra l'810 e l'877. Sappiamo
che si definì l'Eriugena, nato (dal greco gen) in Irlanda (Eriu), ma non
sappiamo dove acquisì lo stupefacente bagaglio di erudizione e di
conoscenza del latino e del greco: forse in una scuola monastica
irlandese, forse solo in terra francese, dove comunque giunse poco prima
dell'850. Andò dapprima a Laon, cittadina in Piccardia, che radunava
già numerosi studiosi irlandesi. Qui proseguì la sua formazione, per poi
essere chiamato a corte e subito coinvolto nella disputa sulla
predestinazione proprio da colui che sbeffeggerà nel distico citato
prima, Incmaro.
Il dissapore successivo è dovuto alla presa di distanza di Incmaro
rispetto alla tesi di Giovanni, che riteneva fonte dell'errore eretico
solo l'ignoranza delle artes, in particolare della dialettica, e la poca
o nulla conoscenza della lingua greca. Uno schiaffo ai chierici, forse
più attenti alla politica che intenti allo studio. Non si deve però
pensare che Giovanni rappresenti una luce isolata in un contesto di
abbrutimento. Da qualche decennio, infatti, gli interventi di Carlo
Magno prima e poi di suo figlio Ludovico il Pio avevano garantito una
vivace ripresa degli studi, con particolare attenzione alle arti
liberali. Già la cultura tardo antica, con Agostino, Boezio, Cassiodoro,
Marziano Capella (con le Nozze di Filologia e Mercurio, di grande
fortuna medievale), aveva definito le artes gradini verso la sapienza,
anche la sapienza teologica, ove non fosse direttamente infusa da Dio,
come di solito non era. Per i carolingi si trattò dunque di riconnettere
tra loro cammini noti, attraverso l'istituzione di scuole (monastiche e
cattedrali, dove potevano accedere anche laici) e la schola per
eccellenza, quella palatina. L'aspetto interessante di questa era poi il
fatto di essere una scuola sì di corte, ma non "di palazzo", perché la
corte carolingia non si tratteneva a lungo nella stessa città. Quali che
fossero i motivi politici di tale vagabondare, e ce ne furono tanti,
dal punto di vista culturale non si può che prendere atto delle origini
lontane dei programmi di scambio e incontro come il nostro Erasmus.
Carlo Magno raccolse intorno a sé i migliori tra ispanici, franchi,
germanici, italiani. Suo nipote Carlo il Calvo, decisamente più colto
del nonno geniale ma analfabeta, proseguì nel reclutamento. Fu proprio
il re che affidò a Giovanni l'Irlandese la traduzione delle opere dello
pseudo-Dionigi Areopagita, con un'apertura mentale tutta da invidiare
rispetto ai particolarismi attuali. Il re era infatti insoddisfatto
della traduzione dell'abate Ilduino, come risulta anche da uno dei
carmi. Dallo studio dell'opera dionisiana, ancora oggi anonima ma datata
con abbastanza sicurezza nel V secolo, Giovanni Eriugena trae una
lettura cristiana, poetica e grandiosa allo stesso tempo, del
neoplatonismo. Da lì, e da altre letture dei Padri della Chiesa
orientale, la struttura eriugeniana della natura, quadruplice nel suo
creare ed essere creata, ferma nella sua razionalità e dunque nella
capacità di essere compresa dalla ragione. Da poco è uscita per la
Fondazione Lorenzo Valla la traduzione del terzo libro delle Nature
dell'universo, dedicato al manifestarsi di Dio nella creazione dal
nulla, dove il creato è tutto "teofania". Ma torniamo alle poesie. Certo
non scorrono come i versi della Commedia, spesso l'afflato dedicatorio
ne oscura la perizia metrica. Sono comunque carmi scritti tra l'865 e
l'870, quando si poteva ancora raccogliere l'eredità tardoantica e,
paradossalmente, chi la raccoglieva erano proprio stati periferici
rispetto alla centralità di Roma. Come si diceva, alcune poesie
introducono lavori di Eriugena, molte invece trattano temi filosofici e
teologici: spesso scritte in occasione di speciali festività, sempre
dedicate al re Carlo il Calvo, festeggiato anche in occasione della
vittoria contro il fratellastro Ludovico il Germanico. Organizzate in
base ai manoscritti che le tramandano e non in base al contenuto, di
venticinque si è certi della paternità, mentre per altre sedici ci si
attesta sulla forte probabilità.
Con il re è lodata anche la regina Ermentrude, come nel carme 4,
rimangono poi alcune composizioni di carattere personale, in cui non si
cela il focoso carattere dell'irlandese Giovanni: Incmaro, come
sappiamo, non gli era simpatico, ma nemmeno nascondeva la profonda
avversione per religioni diverse dalla propria, e addirittura per un
maestro arrogante. Solo lodi invece per Bacco, purtroppo così difficile
da reperire in Irlanda.
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