giovedì 8 gennaio 2015

Il Giordano Bruno di Michele Ciliberto: gli interventi di Alberto Burgio e Massimo Firpo

Giordano Bruno. Parole concetti immagini Giordano Bruno. Parole concetti immagini 
Direzione scientifica Michele Ciliberto, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento: 
vol. I A-I vol. II J-Z vol. III Apparati, Edizioni della Normale

Giordano Bruno e la magia solare della conoscenza 

Giordano Bruno. Un’opera enciclopedica, coordinata da Michele Ciliberto, che raccoglie gli scritti e i contributi critici sul «Nolano». Un indispensabile strumento per accedere alla costellazione filosofica, teologica e letteraria del frate domenicano condannato per eresia e mandato al rogo dalla chiesa

Alberto Burgio, il Manifesto 16.12.2014
Ana­lisi ese­ge­ti­che e testuali e un impo­nente lavoro filo­lo­gico; edi­zioni cri­ti­che ne varie­tur e accu­rate rico­stru­zioni sto­ri­che; studi bio­gra­fici e di cri­tica let­te­ra­ria: in una bat­tuta, una biblio­gra­fia storico-critica ricca di decine di testi fon­da­men­tali. È que­sto il frutto della Bruno-Renaissance veri­fi­ca­tasi in que­sti ultimi decenni e legata ai nomi (per limi­tarsi agli stu­diosi ita­liani: tra gli stra­nieri basti qui nomi­nare Fran­ces Yates) di Nicola Bada­loni, Gio­vanni Aqui­lec­chia, Alfonso Inge­gno, Michele Cili­berto e, natu­ral­mente, Euge­nio Garin. Man­cava però finora una summa enci­clo­pe­dica che siste­ma­tiz­zasse i risul­tati di que­sto gigan­te­sco lavoro in un discorso uni­ta­rio e con­creto, sul modello della dan­te­sca e della vir­gi­liana pro­dotte dall’Istituto dell’Enciclopedia Ita­liana. Ci si può chie­dere per­ché, e imma­gi­nare rispo­ste diverse. 

Si può chia­mare in causa la potente mito­lo­gia subito sorta intorno alla figura e all’opera dell’autore del De la causa e della Cena delle ceneri, di que­sto sim­bolo della libertà del pen­siero e della lai­cità, della moder­nità e della sua «gene­ra­zione equi­voca»: una mito­lo­gia che, pun­tual­mente sovrap­po­nen­dosi al pro­filo sto­rico e testuale, ne ha per dir così scom­pi­gliato le linee. O si può evo­care il carat­tere radi­cal­mente «uni­ver­sale», plu­ri­di­sci­pli­nare – anzi, per dir così, trans­di­scor­sivo – di un’opera che non sol­tanto spa­zia tra filo­so­fia e let­te­ra­tura, teo­lo­gia, poli­tica e moderna scienza della natura (dove quest’ultima, fusa con le super­sti­zioni rina­sci­men­tali, dà vita a un’esaltazione della «magia» come sapere demiur­gico), ma si costi­tui­sce, let­te­ral­mente, nell’osmosi, per noi dif­fi­cile a com­pren­dersi, di que­ste dif­fe­renti logi­che. E che quindi resi­ste a una let­tura uni­ta­ria, che, per quanto dut­tile, rischia di tra­mu­tarsi in una cami­cia di forza. 


Una irri­du­ci­bile eccedenza 
Ben­ché Bruno sia oggi per noi un eroe della coe­renza, oltre che del corag­gio e dell’orgoglio, a sco­rag­giare l’impresa enci­clo­pe­dica è stata sin qui forse l’irriducibile ecce­denza di un discorso poli­morfo e obiet­ti­va­mente (per strut­tura e dina­mica imma­nente, oltre che per ani­mus e inten­zione) anar­chico.
Que­ste ragioni e pro­ba­bil­mente altre ancora aiu­tano a spie­gare la tarda com­parsa di stru­menti enci­clo­pe­dici incen­trati sull’opera e la figura di Gior­dano Bruno. Fatto sta che ora, asse­sta­tasi la cospi­cua messe di un plu­ri­de­cen­nale lavoro cri­tico, una pode­rosa opera colma final­mente que­sta lacuna. Mostrando come negli ultimi decenni non si sia solo lavo­rato con acri­bia, com­pe­tenza e pas­sione sul testo bru­niano e sui suoi straor­di­nari con­te­sti. Si è anche costruita, ad opera di un’agguerrita schiera di sto­rici della filo­so­fia e della cul­tura fer­rati nella ricerca filo­lo­gica, una pro­spet­tiva al tempo stesso orga­nica e arti­co­lata, aperta ben­ché robu­sta­mente unitaria. 
Pub­bli­cati dalle Edi­zioni della Scuola Nor­male di Pisa in col­la­bo­ra­zione con l’Istituto Nazio­nale di Studi sul Rina­sci­mento, arri­vano in que­sti giorni in libre­ria i tre son­tuosi tomi in-quarto (due di testo, di oltre mille pagine cia­scuno, com­po­sti in colonne fitte in corpo 9; il terzo di appa­rati: biblio­gra­fia delle opere, biblio­gra­fia cri­tica e indici) di Gior­dano Bruno. Parole, con­cetti, imma­gini (euro 180). Che offrono al let­tore qual­cosa come 1200 voci, opera di 37 stu­diosi attivi in uni­ver­sità e cen­tri di ricerca di tutto il mondo, ma per la gran parte ricon­du­ci­bili a quell’officina bru­niana di incom­pa­ra­bile ope­ro­sità che Michele Cili­berto, idea­tore e cura­tore dell’opera (oltre che diret­tore dell’edizione adel­phiana delle opere di Bruno e autore di testi cri­tici di rife­ri­mento tra i quali La ruota del tempo. Inter­pre­ta­zione di Gior­dano Bruno (Edi­tori Riu­niti, 2000); Gior­dano Bruno (Laterza, 2000); Umbra pro­funda. Studi su Gior­dano Bruno (Sto­ria e Let­te­ra­tura, 2000); L’occhio di Atteone. Nuovi studi su Gior­dano Bruno (Sto­ria e Let­te­ra­tura, 2002); Gior­dano Bruno. Il tea­tro della vita (Mon­da­dori, 2007), ha saputo ani­mare nell’arco di tre decenni, vivi­fi­cando l’eredità gari­niana e al tempo stesso tra­sfor­man­dola in una instan­ca­bile fucina editoriale. 

Una strut­tura labirintica 
Si diceva dell’unità del per­corso e del punto di vista che lo motiva senza tut­ta­via coar­tare il discorso bru­niano. Di ciò fa fede in primo luogo la logica plu­ri­versa del lem­ma­rio, scor­rere il quale sug­ge­ri­sce con forza l’immagine di una strut­tura labi­rin­tica. Le voci sono ideal­mente ripar­tite tra cin­que ambiti. In primo luogo, le cate­go­rie teo­ri­che che strut­tu­rano il les­sico della «nolana filo­so­fia» nel con­te­sto della tra­di­zione filo­so­fica in par­ti­co­lare rina­sci­men­tale (tra que­ste i lemmi «acqua», «anima», «etere», «fato», «grembo», «infi­nito», «ombra», «sigil­lus», «uni­verso» e «vin­cu­lum»). Quindi, non senza una spe­ci­fica atten­zione ai temi della pole­mica anti­cri­stiana, le varie­ga­tis­sime fonti anti­che e moderne, let­te­ra­rie e filo­so­fi­che, teo­lo­gi­che e scien­ti­fi­che (Cice­rone e Coper­nico; Pla­tone, Ari­sto­tele, Era­smo e Cal­vino; Lucre­zio e Melan­tone; Tom­maso, Vir­gi­lio e Tycho Brahe). Terzo ambito: gli epi­sodi e i luo­ghi, le figure e i motivi della bio­gra­fia bru­niana e del mondo poli­tico, cul­tu­rale e reli­gioso che ne fu con­te­sto (voci sono per esem­pio dedi­cate a Eli­sa­betta I, a Enrico III e a Moce­nigo; e alle città e agli ate­nei nei quali il Nolano dimorò ed eser­citò il pro­prio magi­stero). Un ulte­riore insieme tema­tico rag­gruppa ideal­mente gli autori e i momenti salienti della for­tuna di Bruno, muo­vendo dal tempo della sua vita ter­rena (si vedano in pro­po­sito le voci dedi­cate a Keplero e a Mer­senne, a Spi­noza e a Leib­niz). Infine – ma non si tratta certo della com­po­nente meno ori­gi­nale dell’opera, né della meno scon­tata e age­vole – i pro­fili cri­tici degli stu­diosi che hanno stu­diato la «nolana filo­so­fia» (tra que­sti War­burg e Gen­tile, Spa­venta e Nowicki) e dei let­te­rati (da Bre­cht a Joyce, da Gadda a Cal­vino) che ne hanno tratto ispirazione. 
Ma, a illu­stra­zione di quanto si diceva sull’organicità dell’opera, sulla sua capa­cità di intrec­ciare tra loro mito, sto­ria e teo­ria e di tenerli insieme in una trama coe­rente, con­nota cia­scuna voce – in par­ti­co­lare quelle lun­ghe e più den­sa­mente teo­re­ti­che – una cifra uni­ta­ria, tra­sver­sale ai diversi ambiti che la costi­tui­scono. Può darne qui una vaga idea, a titolo di esem­pio, la pur som­ma­ria sin­tesi di una delle voci dedi­cate a concetti-chiave della rifles­sione bruniana. 

Un prin­ci­pio ordinatore 
L’analisi del con­cetto di «anima» – diciotto fitte colonne nelle pagine di aper­tura del primo tomo – muove da una pun­tuale rico­gni­zione delle fonti, dal Pla­tone del Fedro, dell’Alcibiade primo e del Timeo a Mar­si­lio Ficino, pas­sando per Era­clito (letto per il pro­ba­bile tra­mite di Dio­gene Laer­zio) e per il De anima ari­sto­te­lico (la cui tesi dell’intima unione «ile­mor­fica» tra anima e corpo Bruno rece­pi­sce tut­ta­via cri­ti­ca­mente, per la cifra ridu­zio­ni­stica che ritiene di cogliervi); e poi, ancora, Plo­tino, Ago­stino e Tom­maso. Di qui si svi­luppa l’analisi teo­rica della con­ce­zione bru­niana dell’anima, che ne riper­corre le pro­fonde oscil­la­zioni sullo sfondo di una gene­rale e ori­gi­nale con­no­ta­zione ontologica. 
L’anima è per Bruno difatti non sol­tanto né pri­ma­ria­mente il prin­ci­pio dal quale dipen­dono le atti­vità vitali e cono­sci­tive dell’uomo, bensì l’universale prin­ci­pio ordi­na­tore che innerva e muove il mondo per via del suo mani­fe­starsi, in un pro­cesso di indi­vi­dua­liz­za­zione, nei sin­goli enti, ivi com­presi i corpi cele­sti. È que­sto, si può dire, il cuore della teo­ria bru­niana dell’anima come «intrin­seco» e uni­ver­sale prin­ci­pio vitale, dina­mico e cogni­tivo (anima del mondo e nel mondo, anima mundi e deus in rebus), e del suo con­ti­nuo spe­ci­fi­carsi in riflessi indi­vi­duali: una pro­spet­tiva che, tra­du­cen­dosi (così, per esem­pio, nel De l’infinito) nell’affermazione dell’endiadi anima-natura, con­tri­buirà in misura rile­vante alla costru­zione del moderno para­digma pan­tei­stico, dove Bruno figura tra le figure somme insieme a Spi­noza e Toland, al primo Schel­ling e, muta­tis mutan­dis, allo stesso Hegel. 
Ovun­que, in tale pro­spet­tiva, Dio è visi­bile e in una certa misura sen­si­bile. Ragion per cui nel rico­no­scere il river­bero dell’Uno-Dio nell’originaria infi­nità del tutto con­si­ste per Bruno, al di là dalle sue forme sto­ri­che, la retta reli­gione. Si tratta, a ben vedere, di una visione dina­mica della tota­lità (Dio si espande nell’infinito spazio-temporale) e di una cosmo­lo­gia anti-deterministica che si col­lega al tratto più moderno della filo­so­fia bru­niana. L’atto cono­sci­tivo costi­tui­sce qui un gesto libero e libe­ra­to­rio, capace di var­care i con­fini del finito (si pensi all’ipotesi coper­ni­cana) e di signo­reg­giare la natura (per mezzo di un sapere magico nel quale non pare incon­gruo scor­gere una pri­mor­diale figura della prassi). 

Sem­pli­cità e rigore 
L’anima dun­que, da una parte, come prin­ci­pio del tutto e dell’unità delle parti; dall’altra, come forma pla­smante che «attua e fa per­fetto il tutto», con­net­ten­dosi per que­sta via alla «sostanza»: all’Uno-tutto che dà luogo a una sem­pre rin­no­vata inte­ra­zione tra il prin­ci­pio spi­ri­tuale e quello mate­riale e, di qui, all’infinita plu­ra­lità degli indi­vi­dui. È pre­ci­sa­mente il nesso anima-sostanza ad appa­rire infine cru­ciale nel qua­dro di que­sta pro­ble­ma­tica, nella ten­sione tra onto­lo­gia, filo­so­fia pra­tica, epi­ste­mo­lo­gia e rifles­sione teo­lo­gica. Emerge così la com­ples­sità di uno dei temi car­di­nali della «nova filo­so­fia», che que­sta sin­tesi enci­clo­pe­dica resti­tui­sce senza sem­pli­fi­ca­zioni né sche­ma­ti­smi, spez­zando i vin­coli disci­pli­nari carat­te­ri­stici dell’enciclopedismo moderno.
L’esempio potrebbe ripe­tersi ad libi­tum. Ma la com­ples­sità delle voci – del loro ordito sto­rico e ana­li­tico – non deve indurre in errore. Di un’enciclopedia – di un’opera di alta divul­ga­zione – effet­ti­va­mente si tratta, quindi di uno stru­mento che sconta la varie­gata com­po­si­zione del pro­prio pub­blico elet­tivo, com­po­sto non sol­tanto da cul­tori della mate­ria e spe­cia­li­sti, ma anche da quel più vasto ambito di let­tori colti – stu­diosi e stu­denti; e quel che in quest’epoca non esal­tante resta della «société des gens de let­tres» – che chiede e a buon diritto attende pagine leg­gi­bili e nette. Sce­vre da tec­ni­ci­smi, tenute in esem­plare equi­li­brio tra sem­pli­cità e rigore.

Enciclopedia del filosofo «Monumenti» di carta a Bruno
di Massimo Firpo Il Sole 15.2.15
«Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nel subirla», aveva detto ai suoi giudici Giordano Bruno dopo averne ascoltato la lettura l’8 febbraio 1600, proprio all’aprirsi di un nuovo secolo. In virtù di essa dieci giorni dopo egli fu condotto a Campo dei Fiori con la bocca chiusa dalla mordacchia perché non potesse più dire nulla, denudato e arso vivo sul rogo. Un monumento di clamorosa ispirazione massonica inaugurato nella piazza romana il 9 giugno 1889 dal sindaco di Roma Ernesto Nathan, con l’approvazione dell’allora presidente del Consiglio dei ministri Francesco Crispi, destò l’indignazione del Vaticano, dove papa Leone XIII volle trascorrere l’intera giornata in preghiera. «A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse», recita la lapide sottostante, che celebra il frate nolano come martire del libero pensiero, simbolo dell’oppressione clericale, precursore di verità troppo profonde e rivoluzionarie per i tempi in cui gli accadde di vivere, cercando di farne partecipe l’Europa tutta, dall’Inghilterra della grande Elisabetta alla Praga di Rodolfo II d’Asburgo, da Tolosa a Venezia, dalla Svizzera calvinista alla Germania luterana, sempre lasciando dietro di sé una scia di libri provocatorii, di intuizioni geniali, di idee eversive, di aspre polemiche, di sospetti e di accuse.
Molto, moltissimo si è scritto di Bruno negli ultimi decenni, scavando sempre più in profondità e in molteplici direzioni nel magma incandescente della sua vita, della sua cultura, del suo pensiero, dei suoi scritti, e presentandolo anche in prospettive alquanto diverse: come potente filosofo dell’infinito, della pluralità dei mondi e dell’inesauribile creatività e vitalità della natura, o come mago ermetico e maestro di mnemotecnica e ars combinatoria, o ancora come vittima della sua tenace difesa della libertas philosophandi. Per orientarsi nel labirinto storico e storiografico dell’opera bruniana è oggi disponibile questa poderosa opera di sintesi in tre volumi, di cui uno di indici e apparati, strutturata come una sorta di enciclopedia che in circa 1.200 lemmi e oltre 2.000 fitte pagine su due colonne offre uno strumento prezioso per conoscere, comprendere, approfondire dottrine, parole, immagini, idee, concetti, uomini e luoghi in qualche modo collegati a Bruno, e solo in quanto a lui più o meno strettamente riferibili. Basti qualche esempio tratto dalla sola lettera A, limitandomi ad alcune parole di uso poco comune: Abstrahere, Acrotismus, Adiectum, Agglutinare, Anima mundi, Annihilazione, Apparenza, Appiscentia, Appulso, Ars deformationum, Ars memoriae, Ascenso, Asinità e Asino, auriculatus, auritus e via dicendo. A ciò si aggiungano i nomi di personaggi come Valens Acidalius, Agrippa di Nettesheim, Petrus Albinus (e cioè Peter von Weisse, professore di poesia a Wittenberg), di antichi filosofi greci come Anassimene e Anassimandro, o arabi come Al Gazali, Averroé, Avicebron e Avicenna, di letterati antichi e moderni come Apuleio, Pietro Aretino e Ludovico Ariosto, di figure mitologiche come Apollo o Atteone, di studiosi moderni come Romano Amerio o Giovanni Aquilecchia.
Non v’è dubbio che la prospettiva prevalente in queste pagine sia quella filosofica, tanto da includere in essa anche un grande giurista e pensatore politico come Jean Bodin o un filologo come Ludovico Castelvetro o un genio enciclopedico come Pierre Bayle. Ed è anzitutto il Bruno filosofo (com’è giusto che sia) a emergere da queste dense pagine, ma un filosofo talora inatteso, di cui si mette in evidenza anzitutto la potenza immaginativa, il vero e proprio pensare per immagini, la creatività intellettuale, il prodigioso sforzo di confrontarsi con tutta la cultura del passato e del presente. È di qui, del resto, che scaturisce la prospettiva unitaria e quindi la grande coerenza complessiva di questa enciclopedia bruniana, che si potrebbe dire “fatta in casa” (una casa molto attrezzata, a dire il vero, piena di risorse e ricca di porte e finestre), scaturito cioè dal lavoro collettivo di una scuola, quella di Michele Ciliberto fra l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e la Scuola Normale Superiore di Pisa, in grado quindi di offrire un’interpretazione unitaria del pensiero bruniano e della sua contestualizzazione storica. Il che facilita l’orientarsi nel labirinto delle voci, abbassa fortemente il rischio di contraddizioni, agevola la comprensione dei problemi. In tal modo la frammentazione delle voci (ineliminabile da una enciclopedia) e la pluralità a volte divergente dei punti di vista sono compensate dalla coerenza complessiva della prospettiva ermeneutica.
Non entrerò nel merito del problema della modernità di Bruno e del Rinascimento sul quale Ciliberto si sofferma nell’Introduzione, perché sono d’accordo con lui nel ritenere sostanzialmente esaurita la prospettiva burkhardtiana o gentiliana del Rinascimento come nodale punto di svolta nella nascita del mondo moderno (anche se proprio allora fu coniata la parola moderno). Il che libera Bruno dal suo ruolo paradigmatico e simbolico di vittima dell’oscurantismo papale, la cui vita si chiude profeticamente con l’aprirsi di un nuovo secolo, e agevola il compito di storicizzarlo, di collocarlo nel suo tempo, di capire il senso delle sue peregrinazioni e delle sue polemiche, del suo coraggio e dei suoi «eroici furori», del suo straordinario sincretismo culturale, del suo febbrile scrutare tra «le ombre delle idee» alla ricerca della «causa, principio et uno» e dell’«infinito, universo et mondi». Titoli di alcuni suoi libri che rivelano la potenza intellettuale del filosofo nolano, nella cui opera talora oscura e visionaria quest’opera monumentale aiuta lettori e studiosi a orientarsi e capire.

La nuova religione di Giordano Bruno
Il suo pensiero è nel punto di giuntura tra il sapere rinascimentale e la modernità In un volume parole e concetti del filosofo di cui ricorre oggi l’anniversario del rogodi Roberto Esposito Repubblica 17.2.15
 IL 17 febbraio del 1600, per ordine del tribunale dell’Inquisizione, Giordano Bruno veniva arso vivo in Campo de’ Fiori. Ciò che nella sua persona bruciava era un frammento decisivo della filosofia europea e un simbolo della libertà del pensiero nei confronti di costrizioni e di dogmi. A lui è dedicata, per le Edizioni della Scuola Normale Superiore, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, un lessico di singolare rilievo scientifico, diretto da Michele Ciliberto, con il contributo di una serie di studiosi. Configurato come una costellazione, esso è costituito da un numero imponente di voci sulla vita, il contesto storico, l’opera, la fortuna di Bruno. Accanto ai nomi più consueti di Keplero, Spinoza, Leibniz, compaiono, a sorpresa, quelli di Nietzsche e di Joyce, di Gadda e di Calvino, quasi come raggi di una stella che nel corso dei secoli non ha mai smesso di brillare. Come suggerisce il curatore, la grande influenza di Bruno sulla cultura moderna si deve da un lato al suo martirio, che ne ha fatto un mito celebrato dovunque si è voluto difendere la libertà di pensiero; dall’altro alla collocazione della sua opera alla giuntura tra il sapere rinascimentale, aperto ai linguaggi dell’ermetismo, della mnemotecnica, dell’alchimia, e quello moderno, rivolto a protocolli di tipo scientifico. Situato troppo in fretta dalla tradizione illuministica all’origine della cultura moderna, Bruno è stato poi spinto fuori dai suoi confini, in un “mondo di maghi” immaturo ed esaurito, incapace di rapportarsi a paradigmi filosofici e scientifici adeguati.
Solo recentemente il pendolo dell’interpretazione si è stabilizzato, restituendo a Bruno la straordinaria originalità del suo pensiero. La difficoltà a riconoscerne i lineamenti sta nell’inadeguatezza di un approccio strettamente concettuale rispetto ad un autore che, adoperando la lingua delle immagini, ha allargato i confini del lessico filosofico, aprendolo a una dimensione inedita in cui elementi diversi, e anche contrari, interagiscono tra loro. Al centro di questa complessa trama, che sembra collegare quanto precede il sapere il moderno a ciò che lo segue, vi è la figura, insieme immaginifica e concettuale, della Vita infinita. In essa si radica quella rete di differenze che restituiscono il senso profondo della realtà, articolando tra loro il mondo della natura e le varie specie viventi, compresa quella umana. L’unica capace di attingere il sapere dell’intero attraverso quell’itinerario ascendente mirabilmente percorso nel dialogo degli Eroici furori.
In esso l’uomo sperimenta il limite che lo vincola a una misura di finitezza e l’impulso continuamente rinascente a forzarlo fin quasi ad oltrepassarsi, entrando così in rapporto con il movimento in cui ciascun mondo viene a contatto con altri, collegati nel principio vibrante della materia vivente. C’è qualcosa, in questo straordinario disegno che sporge non solo verso i vertici del pensiero moderno — in particolare di Spinoza e di Leibniz — ma anche verso quella svolta della filosofia contemporanea che ha posto la riflessione sulla vita, cosmologica, antropologica, politica, al centro del dibattito. La battaglia di Bruno a favore di una nuova religione, libera dalle catene della superstizione e della violenza, acquista rilievo. Soltanto se connessa a un sapere complessivo della vita, intesa in tutta la sua potenza, materiale e spirituale, la filosofia può acquisire una valenza che va al di là dei propri confini, per farsi liberazione del corpo, sviluppo della mente, fondazione di civiltà.


Revival Bruno martire del pensiero
Una monumentale opera e un saggio rilanciano le idee del filosofo ucciso dall’Inquisizione nel 1600
La libertà di ricerca rivendicata anche se si contrappone all’insegnamento biblico
di Corrado Augias Repubblica 8.3.16
Per lungo tempo un equivoco ha circondato la figura del filosofo Giordano Bruno quasi che il bagliore delle fiamme che lo bruciarono vivo in Campo deÕ Fiori, abbia fatto impallidire i suoi meriti di filosofo e scienziato. Quando mor“ (17 febbraio 1600, anno santo) Roma e lÕItalia si trovavano sotto la cappa della Controriforma che stava spegnendo la ricerca; la stessa abiura di Galileo, trentatrŽ anni dopo, pu˜ essere considerata indiretta conseguenza di quel rogo. Oggi gli studi bruniani sono invece ripresi come dimostra una grande opera da poco pubblicata dalle Edizioni della Normale di Pisa a cura di Michele Ciliberto in collaborazione con lÕIstituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. Titolo: ÒGiordano Bruno. Parole, concetti, immaginiÓ, tre
volumi, 2.400 pagine, 1.200 lemmi (180 euro il prezzo). Al di là del valore scientifico assicurato dai quaranta collaboratori impegnati in quest’opera monumentale, conta l’intenzione: dare finalmente a Bruno il peso scientifico che la sua incessante, irrequieta ricerca merita. In un paese spesso distratto verso i suoi grandi meriti storici, ecco un’iniziativa di respiro e di portata internazionale.
Bruno era nato a Nola, provincia di Napoli, nel 1548; venuto al mondo in una famiglia modesta che, per risparmiare, lo mandò a studiare dai preti. Brillante, irrequieto, a sedici anni è ammesso all’Università di Napoli; studia Lettere, Logica, Dialettica. Entra poi in convento, a 25 anni è consacrato sacerdote. Ha scelto di farsi domenicano non perché senta una particolare vocazione ma, come confesserà, perché la condizione di prete, gli consente di studiare l’amata filosofia con una certa tranquillità pratica. In realtà avrà vita movimenta, con spostamenti incessanti: Roma, Savona, Torino, Venezia, Padova, Brescia, Bergamo, Chambéry, Genève, Lyon, Toulouse, Parigi, Oxford, Londra, Magonza, Wiesbaden, Praga. Dopo tante peripezie ancora Italia: Padova, Venezia, dove comincerà la sua fine per la vendetta di un piccolo nobile, tal Giovanni Mocenigo, che si ritiene offeso da lui. A Ginevra, fattosi calvinista, era diventato professore di teologia. La verità è che aderisce a questa o a quella confessione purché non pregiudichi le sue idee filosofiche e la libertà di professarle. Scrive moltissimo, ovunque si trovi, quasi una grafomania. Scrive di teatro, di morale, di fisica, di astronomia oltre che di filosofia. Vede che la terra, pianeta eletto da Dio come sua sede, altro non è che un granello perso in un cosmo di cui nessuno conosce (allora e oggi) l’estensione. Sa che scrivendo certe cose, si contrappone all’insegnamento delle scritture. A chi gli fa notare il rischio, con ostinato orgoglio ribatte: «Il filosofo dev’essere libero dalle imposizioni delle autorità e delle stesse tradizioni; il suo solo orizzonte è quello che la forza della ragione gli permette di intravedere; infatti, alle libere are della filosofia cerca riparo dai flutti fortunosi desiderando la sola compagnia di coloro che comandano non di chiudere gli occhi, ma di aprirli. A me non piace dissimulare la verità, né ho timore di professarla apertamente».
È un uomo che appare pensieroso, crucciato, quasi cupo. Ne è consapevole, in una specie di amaro autoritratto dice di sé: «Par che sempre sii in contemplazione delle pene dell’Inferno, un che ride solo per far come fan gli altri, perlopiù lo vedrete fastidito, restio e bizzarro; non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio di ottant’anni, fantastico come un cane che ha ricevuto mille spellicciate, pasciuto di cipolla ».
Senza nemmeno un cannocchiale, per sola forza di speculazione, nel suo De l’infinito universo et mondi scrive: «Esistono innumerevoli soli e innumerevoli Terre ruotano attorno a questi ». Una verità nota da tempo ormai, ma che alla fine del XVI secolo suona sconvolgente. La teoria in sostanza rende eterno l’Universo, esclude l’idea di un Dio creatore. Insomma, Bruno è uscito dalla dottrina cristiana ufficiale — lo pagherà caro.
Su delazione del Mocenigo, viene arrestato dal santo Uffizio veneziano. Poco si cava dagli interrogatori e dalle confuse testimonianze contro di lui, il frate respinge le accuse più grossolane, discute ostinatamente la congruenza delle altre. L’istruttoria si arricchisce solo di carte inutili.
Nel 1599, il Cardinale Roberto Bellarmino s’interessa al caso. La Chiesa di Roma è una cittadella assediata dalla riforma luterana che ha spaccato la cristianità. Bellarmino è un uomo di grande ingegno; intuisce che l’imputato, con la sua visione di un infinito aperto ad una pluralità di mondi, ha spalancato un’era nuova per la libertà di pensiero; che, se si mette in discussione l’edificio costruito sull’interpretazione canonica delle Scritture, molte cose rischiano di precipitare. Avoca il processo alla santa Inquisizione romana sotto la sua diretta giurisdizione, ne afferra con decisione le redini. Il resto è noto: le torture, la frase storica quando gli viene letta la sentenza di morte che deve ascoltare in ginocchio: «Forse con più timore pronunciate voi la sentenza contro di me, di quanto ne provi io nell’accoglierla ». Anche i suoi libri, giudicati «heretici et erronei et continenti molte heresie et errori» sono condannati al rogo che si consuma sul sagrato di San Pietro. Roberto Bellarmino sarà poi proclamato santo e dottore della chiesa uncon il motto: «La mia spada ha sottomesso gli spiriti superbi».

Nell’attuale revival bruniano, ai tre volumi cui accennavo sopra si deve aggiungere un’altra operina di notevole pregio: Giordano Bruno maestro di anarchia di Aldo Masullo, pubblicata da un piccolo editore campano La saletta dell’uva. Ne cito le righe d’apertura che danno un’idea del contenuto, in armonia col pensiero del filosofo: «Bruno ci avvia alla grande riflessione etica della modernità, che poi con Emanuele Kant si compie. In un fondamentale saggio Kant infatti chiarisce che “illuminismo” significa uscita dalla minore età, il cessar d’essere sotto tutela, il diventare padroni delle proprie decisioni». Sapere aude, dirà Kant. Giordano Bruno è tra coloro che hanno aperto la strada.

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