Giordano Bruno. Parole concetti immagini
Direzione scientifica Michele Ciliberto, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento:
vol. I A-I vol. II J-Z vol. III Apparati, Edizioni della Normale
Giordano Bruno e la magia solare della conoscenza
Giordano Bruno. Un’opera enciclopedica, coordinata da Michele Ciliberto, che raccoglie gli scritti e i contributi critici sul «Nolano». Un indispensabile strumento per accedere alla costellazione filosofica, teologica e letteraria del frate domenicano condannato per eresia e mandato al rogo dalla chiesa
Alberto Burgio, il Manifesto 16.12.2014
Analisi esegetiche e testuali e un imponente lavoro filologico; edizioni critiche ne varietur e accurate ricostruzioni storiche; studi biografici e di critica letteraria: in una battuta, una bibliografia storico-critica ricca di decine di testi fondamentali. È questo il frutto della Bruno-Renaissance verificatasi in questi ultimi decenni e legata ai nomi (per limitarsi agli studiosi italiani: tra gli stranieri basti qui nominare Frances Yates) di Nicola Badaloni, Giovanni Aquilecchia, Alfonso Ingegno, Michele Ciliberto e, naturalmente, Eugenio Garin. Mancava però finora una summa enciclopedica che sistematizzasse i risultati di questo gigantesco lavoro in un discorso unitario e concreto, sul modello della dantesca e della virgiliana prodotte dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. Ci si può chiedere perché, e immaginare risposte diverse.
Si può chiamare in causa la potente mitologia subito sorta intorno alla figura e all’opera dell’autore del De la causa e della Cena delle ceneri, di questo simbolo della libertà del pensiero e della laicità, della modernità e della sua «generazione equivoca»: una mitologia che, puntualmente sovrapponendosi al profilo storico e testuale, ne ha per dir così scompigliato le linee. O si può evocare il carattere radicalmente «universale», pluridisciplinare – anzi, per dir così, transdiscorsivo – di un’opera che non soltanto spazia tra filosofia e letteratura, teologia, politica e moderna scienza della natura (dove quest’ultima, fusa con le superstizioni rinascimentali, dà vita a un’esaltazione della «magia» come sapere demiurgico), ma si costituisce, letteralmente, nell’osmosi, per noi difficile a comprendersi, di queste differenti logiche. E che quindi resiste a una lettura unitaria, che, per quanto duttile, rischia di tramutarsi in una camicia di forza.
Una irriducibile eccedenza
Benché Bruno sia oggi per noi un eroe della coerenza, oltre che del coraggio e dell’orgoglio, a scoraggiare l’impresa enciclopedica è stata sin qui forse l’irriducibile eccedenza di un discorso polimorfo e obiettivamente (per struttura e dinamica immanente, oltre che per animus e intenzione) anarchico.
Queste ragioni e probabilmente altre ancora aiutano a spiegare la tarda comparsa di strumenti enciclopedici incentrati sull’opera e la figura di Giordano Bruno. Fatto sta che ora, assestatasi la cospicua messe di un pluridecennale lavoro critico, una poderosa opera colma finalmente questa lacuna. Mostrando come negli ultimi decenni non si sia solo lavorato con acribia, competenza e passione sul testo bruniano e sui suoi straordinari contesti. Si è anche costruita, ad opera di un’agguerrita schiera di storici della filosofia e della cultura ferrati nella ricerca filologica, una prospettiva al tempo stesso organica e articolata, aperta benché robustamente unitaria.
Pubblicati dalle Edizioni della Scuola Normale di Pisa in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, arrivano in questi giorni in libreria i tre sontuosi tomi in-quarto (due di testo, di oltre mille pagine ciascuno, composti in colonne fitte in corpo 9; il terzo di apparati: bibliografia delle opere, bibliografia critica e indici) di Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini (euro 180). Che offrono al lettore qualcosa come 1200 voci, opera di 37 studiosi attivi in università e centri di ricerca di tutto il mondo, ma per la gran parte riconducibili a quell’officina bruniana di incomparabile operosità che Michele Ciliberto, ideatore e curatore dell’opera (oltre che direttore dell’edizione adelphiana delle opere di Bruno e autore di testi critici di riferimento tra i quali La ruota del tempo. Interpretazione di Giordano Bruno (Editori Riuniti, 2000); Giordano Bruno (Laterza, 2000); Umbra profunda. Studi su Giordano Bruno (Storia e Letteratura, 2000); L’occhio di Atteone. Nuovi studi su Giordano Bruno (Storia e Letteratura, 2002); Giordano Bruno. Il teatro della vita (Mondadori, 2007), ha saputo animare nell’arco di tre decenni, vivificando l’eredità gariniana e al tempo stesso trasformandola in una instancabile fucina editoriale.
Una struttura labirintica
Si diceva dell’unità del percorso e del punto di vista che lo motiva senza tuttavia coartare il discorso bruniano. Di ciò fa fede in primo luogo la logica pluriversa del lemmario, scorrere il quale suggerisce con forza l’immagine di una struttura labirintica. Le voci sono idealmente ripartite tra cinque ambiti. In primo luogo, le categorie teoriche che strutturano il lessico della «nolana filosofia» nel contesto della tradizione filosofica in particolare rinascimentale (tra queste i lemmi «acqua», «anima», «etere», «fato», «grembo», «infinito», «ombra», «sigillus», «universo» e «vinculum»). Quindi, non senza una specifica attenzione ai temi della polemica anticristiana, le variegatissime fonti antiche e moderne, letterarie e filosofiche, teologiche e scientifiche (Cicerone e Copernico; Platone, Aristotele, Erasmo e Calvino; Lucrezio e Melantone; Tommaso, Virgilio e Tycho Brahe). Terzo ambito: gli episodi e i luoghi, le figure e i motivi della biografia bruniana e del mondo politico, culturale e religioso che ne fu contesto (voci sono per esempio dedicate a Elisabetta I, a Enrico III e a Mocenigo; e alle città e agli atenei nei quali il Nolano dimorò ed esercitò il proprio magistero). Un ulteriore insieme tematico raggruppa idealmente gli autori e i momenti salienti della fortuna di Bruno, muovendo dal tempo della sua vita terrena (si vedano in proposito le voci dedicate a Keplero e a Mersenne, a Spinoza e a Leibniz). Infine – ma non si tratta certo della componente meno originale dell’opera, né della meno scontata e agevole – i profili critici degli studiosi che hanno studiato la «nolana filosofia» (tra questi Warburg e Gentile, Spaventa e Nowicki) e dei letterati (da Brecht a Joyce, da Gadda a Calvino) che ne hanno tratto ispirazione.
Ma, a illustrazione di quanto si diceva sull’organicità dell’opera, sulla sua capacità di intrecciare tra loro mito, storia e teoria e di tenerli insieme in una trama coerente, connota ciascuna voce – in particolare quelle lunghe e più densamente teoretiche – una cifra unitaria, trasversale ai diversi ambiti che la costituiscono. Può darne qui una vaga idea, a titolo di esempio, la pur sommaria sintesi di una delle voci dedicate a concetti-chiave della riflessione bruniana.
Un principio ordinatore
L’analisi del concetto di «anima» – diciotto fitte colonne nelle pagine di apertura del primo tomo – muove da una puntuale ricognizione delle fonti, dal Platone del Fedro, dell’Alcibiade primo e del Timeo a Marsilio Ficino, passando per Eraclito (letto per il probabile tramite di Diogene Laerzio) e per il De anima aristotelico (la cui tesi dell’intima unione «ilemorfica» tra anima e corpo Bruno recepisce tuttavia criticamente, per la cifra riduzionistica che ritiene di cogliervi); e poi, ancora, Plotino, Agostino e Tommaso. Di qui si sviluppa l’analisi teorica della concezione bruniana dell’anima, che ne ripercorre le profonde oscillazioni sullo sfondo di una generale e originale connotazione ontologica.
L’anima è per Bruno difatti non soltanto né primariamente il principio dal quale dipendono le attività vitali e conoscitive dell’uomo, bensì l’universale principio ordinatore che innerva e muove il mondo per via del suo manifestarsi, in un processo di individualizzazione, nei singoli enti, ivi compresi i corpi celesti. È questo, si può dire, il cuore della teoria bruniana dell’anima come «intrinseco» e universale principio vitale, dinamico e cognitivo (anima del mondo e nel mondo, anima mundi e deus in rebus), e del suo continuo specificarsi in riflessi individuali: una prospettiva che, traducendosi (così, per esempio, nel De l’infinito) nell’affermazione dell’endiadi anima-natura, contribuirà in misura rilevante alla costruzione del moderno paradigma panteistico, dove Bruno figura tra le figure somme insieme a Spinoza e Toland, al primo Schelling e, mutatis mutandis, allo stesso Hegel.
Ovunque, in tale prospettiva, Dio è visibile e in una certa misura sensibile. Ragion per cui nel riconoscere il riverbero dell’Uno-Dio nell’originaria infinità del tutto consiste per Bruno, al di là dalle sue forme storiche, la retta religione. Si tratta, a ben vedere, di una visione dinamica della totalità (Dio si espande nell’infinito spazio-temporale) e di una cosmologia anti-deterministica che si collega al tratto più moderno della filosofia bruniana. L’atto conoscitivo costituisce qui un gesto libero e liberatorio, capace di varcare i confini del finito (si pensi all’ipotesi copernicana) e di signoreggiare la natura (per mezzo di un sapere magico nel quale non pare incongruo scorgere una primordiale figura della prassi).
Semplicità e rigore
L’anima dunque, da una parte, come principio del tutto e dell’unità delle parti; dall’altra, come forma plasmante che «attua e fa perfetto il tutto», connettendosi per questa via alla «sostanza»: all’Uno-tutto che dà luogo a una sempre rinnovata interazione tra il principio spirituale e quello materiale e, di qui, all’infinita pluralità degli individui. È precisamente il nesso anima-sostanza ad apparire infine cruciale nel quadro di questa problematica, nella tensione tra ontologia, filosofia pratica, epistemologia e riflessione teologica. Emerge così la complessità di uno dei temi cardinali della «nova filosofia», che questa sintesi enciclopedica restituisce senza semplificazioni né schematismi, spezzando i vincoli disciplinari caratteristici dell’enciclopedismo moderno.
L’esempio potrebbe ripetersi ad libitum. Ma la complessità delle voci – del loro ordito storico e analitico – non deve indurre in errore. Di un’enciclopedia – di un’opera di alta divulgazione – effettivamente si tratta, quindi di uno strumento che sconta la variegata composizione del proprio pubblico elettivo, composto non soltanto da cultori della materia e specialisti, ma anche da quel più vasto ambito di lettori colti – studiosi e studenti; e quel che in quest’epoca non esaltante resta della «société des gens de lettres» – che chiede e a buon diritto attende pagine leggibili e nette. Scevre da tecnicismi, tenute in esemplare equilibrio tra semplicità e rigore.
Enciclopedia del filosofo «Monumenti» di carta a Bruno
di Massimo Firpo Il Sole 15.2.15
«Forse
tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nel
subirla», aveva detto ai suoi giudici Giordano Bruno dopo averne
ascoltato la lettura l’8 febbraio 1600, proprio all’aprirsi di un nuovo
secolo. In virtù di essa dieci giorni dopo egli fu condotto a Campo dei
Fiori con la bocca chiusa dalla mordacchia perché non potesse più dire
nulla, denudato e arso vivo sul rogo. Un monumento di clamorosa
ispirazione massonica inaugurato nella piazza romana il 9 giugno 1889
dal sindaco di Roma Ernesto Nathan, con l’approvazione dell’allora
presidente del Consiglio dei ministri Francesco Crispi, destò
l’indignazione del Vaticano, dove papa Leone XIII volle trascorrere
l’intera giornata in preghiera. «A Bruno, il secolo da lui divinato qui
dove il rogo arse», recita la lapide sottostante, che celebra il frate
nolano come martire del libero pensiero, simbolo dell’oppressione
clericale, precursore di verità troppo profonde e rivoluzionarie per i
tempi in cui gli accadde di vivere, cercando di farne partecipe l’Europa
tutta, dall’Inghilterra della grande Elisabetta alla Praga di Rodolfo
II d’Asburgo, da Tolosa a Venezia, dalla Svizzera calvinista alla
Germania luterana, sempre lasciando dietro di sé una scia di libri
provocatorii, di intuizioni geniali, di idee eversive, di aspre
polemiche, di sospetti e di accuse.
Molto, moltissimo si è scritto di
Bruno negli ultimi decenni, scavando sempre più in profondità e in
molteplici direzioni nel magma incandescente della sua vita, della sua
cultura, del suo pensiero, dei suoi scritti, e presentandolo anche in
prospettive alquanto diverse: come potente filosofo dell’infinito, della
pluralità dei mondi e dell’inesauribile creatività e vitalità della
natura, o come mago ermetico e maestro di mnemotecnica e ars
combinatoria, o ancora come vittima della sua tenace difesa della
libertas philosophandi. Per orientarsi nel labirinto storico e
storiografico dell’opera bruniana è oggi disponibile questa poderosa
opera di sintesi in tre volumi, di cui uno di indici e apparati,
strutturata come una sorta di enciclopedia che in circa 1.200 lemmi e
oltre 2.000 fitte pagine su due colonne offre uno strumento prezioso per
conoscere, comprendere, approfondire dottrine, parole, immagini, idee,
concetti, uomini e luoghi in qualche modo collegati a Bruno, e solo in
quanto a lui più o meno strettamente riferibili. Basti qualche esempio
tratto dalla sola lettera A, limitandomi ad alcune parole di uso poco
comune: Abstrahere, Acrotismus, Adiectum, Agglutinare, Anima mundi,
Annihilazione, Apparenza, Appiscentia, Appulso, Ars deformationum, Ars
memoriae, Ascenso, Asinità e Asino, auriculatus, auritus e via dicendo. A
ciò si aggiungano i nomi di personaggi come Valens Acidalius, Agrippa
di Nettesheim, Petrus Albinus (e cioè Peter von Weisse, professore di
poesia a Wittenberg), di antichi filosofi greci come Anassimene e
Anassimandro, o arabi come Al Gazali, Averroé, Avicebron e Avicenna, di
letterati antichi e moderni come Apuleio, Pietro Aretino e Ludovico
Ariosto, di figure mitologiche come Apollo o Atteone, di studiosi
moderni come Romano Amerio o Giovanni Aquilecchia.
Non v’è dubbio che
la prospettiva prevalente in queste pagine sia quella filosofica, tanto
da includere in essa anche un grande giurista e pensatore politico come
Jean Bodin o un filologo come Ludovico Castelvetro o un genio
enciclopedico come Pierre Bayle. Ed è anzitutto il Bruno filosofo (com’è
giusto che sia) a emergere da queste dense pagine, ma un filosofo
talora inatteso, di cui si mette in evidenza anzitutto la potenza
immaginativa, il vero e proprio pensare per immagini, la creatività
intellettuale, il prodigioso sforzo di confrontarsi con tutta la cultura
del passato e del presente. È di qui, del resto, che scaturisce la
prospettiva unitaria e quindi la grande coerenza complessiva di questa
enciclopedia bruniana, che si potrebbe dire “fatta in casa” (una casa
molto attrezzata, a dire il vero, piena di risorse e ricca di porte e
finestre), scaturito cioè dal lavoro collettivo di una scuola, quella di
Michele Ciliberto fra l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e
la Scuola Normale Superiore di Pisa, in grado quindi di offrire
un’interpretazione unitaria del pensiero bruniano e della sua
contestualizzazione storica. Il che facilita l’orientarsi nel labirinto
delle voci, abbassa fortemente il rischio di contraddizioni, agevola la
comprensione dei problemi. In tal modo la frammentazione delle voci
(ineliminabile da una enciclopedia) e la pluralità a volte divergente
dei punti di vista sono compensate dalla coerenza complessiva della
prospettiva ermeneutica.
Non entrerò nel merito del problema della
modernità di Bruno e del Rinascimento sul quale Ciliberto si sofferma
nell’Introduzione, perché sono d’accordo con lui nel ritenere
sostanzialmente esaurita la prospettiva burkhardtiana o gentiliana del
Rinascimento come nodale punto di svolta nella nascita del mondo moderno
(anche se proprio allora fu coniata la parola moderno). Il che libera
Bruno dal suo ruolo paradigmatico e simbolico di vittima
dell’oscurantismo papale, la cui vita si chiude profeticamente con
l’aprirsi di un nuovo secolo, e agevola il compito di storicizzarlo, di
collocarlo nel suo tempo, di capire il senso delle sue peregrinazioni e
delle sue polemiche, del suo coraggio e dei suoi «eroici furori», del
suo straordinario sincretismo culturale, del suo febbrile scrutare tra
«le ombre delle idee» alla ricerca della «causa, principio et uno» e
dell’«infinito, universo et mondi». Titoli di alcuni suoi libri che
rivelano la potenza intellettuale del filosofo nolano, nella cui opera
talora oscura e visionaria quest’opera monumentale aiuta lettori e
studiosi a orientarsi e capire.
La nuova religione di Giordano Bruno
Il suo pensiero è nel punto di giuntura tra il sapere rinascimentale e la modernità In un volume parole e concetti del filosofo di cui ricorre oggi l’anniversario del rogodi Roberto Esposito Repubblica 17.2.15
IL
17 febbraio del 1600, per ordine del tribunale dell’Inquisizione,
Giordano Bruno veniva arso vivo in Campo de’ Fiori. Ciò che nella sua
persona bruciava era un frammento decisivo della filosofia europea e un
simbolo della libertà del pensiero nei confronti di costrizioni e di
dogmi. A lui è dedicata, per le Edizioni della Scuola Normale Superiore,
in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento,
un lessico di singolare rilievo scientifico, diretto da Michele
Ciliberto, con il contributo di una serie di studiosi. Configurato come
una costellazione, esso è costituito da un numero imponente di voci
sulla vita, il contesto storico, l’opera, la fortuna di Bruno. Accanto
ai nomi più consueti di Keplero, Spinoza, Leibniz, compaiono, a
sorpresa, quelli di Nietzsche e di Joyce, di Gadda e di Calvino, quasi
come raggi di una stella che nel corso dei secoli non ha mai smesso di
brillare. Come suggerisce il curatore, la grande influenza di Bruno
sulla cultura moderna si deve da un lato al suo martirio, che ne ha
fatto un mito celebrato dovunque si è voluto difendere la libertà di
pensiero; dall’altro alla collocazione della sua opera alla giuntura tra
il sapere rinascimentale, aperto ai linguaggi dell’ermetismo, della
mnemotecnica, dell’alchimia, e quello moderno, rivolto a protocolli di
tipo scientifico. Situato troppo in fretta dalla tradizione
illuministica all’origine della cultura moderna, Bruno è stato poi
spinto fuori dai suoi confini, in un “mondo di maghi” immaturo ed
esaurito, incapace di rapportarsi a paradigmi filosofici e scientifici
adeguati.
Solo recentemente il pendolo dell’interpretazione si è
stabilizzato, restituendo a Bruno la straordinaria originalità del suo
pensiero. La difficoltà a riconoscerne i lineamenti sta
nell’inadeguatezza di un approccio strettamente concettuale rispetto ad
un autore che, adoperando la lingua delle immagini, ha allargato i
confini del lessico filosofico, aprendolo a una dimensione inedita in
cui elementi diversi, e anche contrari, interagiscono tra loro. Al
centro di questa complessa trama, che sembra collegare quanto precede il
sapere il moderno a ciò che lo segue, vi è la figura, insieme
immaginifica e concettuale, della Vita infinita. In essa si radica
quella rete di differenze che restituiscono il senso profondo della
realtà, articolando tra loro il mondo della natura e le varie specie
viventi, compresa quella umana. L’unica capace di attingere il sapere
dell’intero attraverso quell’itinerario ascendente mirabilmente percorso
nel dialogo degli Eroici furori.
In esso l’uomo sperimenta il limite
che lo vincola a una misura di finitezza e l’impulso continuamente
rinascente a forzarlo fin quasi ad oltrepassarsi, entrando così in
rapporto con il movimento in cui ciascun mondo viene a contatto con
altri, collegati nel principio vibrante della materia vivente. C’è
qualcosa, in questo straordinario disegno che sporge non solo verso i
vertici del pensiero moderno — in particolare di Spinoza e di Leibniz —
ma anche verso quella svolta della filosofia contemporanea che ha posto
la riflessione sulla vita, cosmologica, antropologica, politica, al
centro del dibattito. La battaglia di Bruno a favore di una nuova
religione, libera dalle catene della superstizione e della violenza,
acquista rilievo. Soltanto se connessa a un sapere complessivo della
vita, intesa in tutta la sua potenza, materiale e spirituale, la
filosofia può acquisire una valenza che va al di là dei propri confini,
per farsi liberazione del corpo, sviluppo della mente, fondazione di
civiltà.
Revival Bruno martire del pensiero
Una monumentale opera e un saggio rilanciano le idee del filosofo ucciso dall’Inquisizione nel 1600
La libertà di ricerca rivendicata anche se si contrappone all’insegnamento biblico
di Corrado Augias Repubblica 8.3.16
Per
lungo tempo un equivoco ha circondato la figura del filosofo Giordano
Bruno quasi che il bagliore delle fiamme che lo bruciarono vivo in Campo
deÕ Fiori, abbia fatto impallidire i suoi meriti di filosofo e
scienziato. Quando mor“ (17 febbraio 1600, anno santo) Roma e lÕItalia
si trovavano sotto la cappa della Controriforma che stava spegnendo la
ricerca; la stessa abiura di Galileo, trentatrŽ anni dopo, pu˜ essere
considerata indiretta conseguenza di quel rogo. Oggi gli studi bruniani
sono invece ripresi come dimostra una grande opera da poco pubblicata
dalle Edizioni della Normale di Pisa a cura di Michele Ciliberto in
collaborazione con lÕIstituto Nazionale di Studi sul Rinascimento.
Titolo: ÒGiordano Bruno. Parole, concetti, immaginiÓ, tre
volumi,
2.400 pagine, 1.200 lemmi (180 euro il prezzo). Al di là del valore
scientifico assicurato dai quaranta collaboratori impegnati in
quest’opera monumentale, conta l’intenzione: dare finalmente a Bruno il
peso scientifico che la sua incessante, irrequieta ricerca merita. In un
paese spesso distratto verso i suoi grandi meriti storici, ecco
un’iniziativa di respiro e di portata internazionale.
Bruno
era nato a Nola, provincia di Napoli, nel 1548; venuto al mondo in una
famiglia modesta che, per risparmiare, lo mandò a studiare dai preti.
Brillante, irrequieto, a sedici anni è ammesso all’Università di Napoli;
studia Lettere, Logica, Dialettica. Entra poi in convento, a 25 anni è
consacrato sacerdote. Ha scelto di farsi domenicano non perché senta una
particolare vocazione ma, come confesserà, perché la condizione di
prete, gli consente di studiare l’amata filosofia con una certa
tranquillità pratica. In realtà avrà vita movimenta, con spostamenti
incessanti: Roma, Savona, Torino, Venezia, Padova, Brescia, Bergamo,
Chambéry, Genève, Lyon, Toulouse, Parigi, Oxford, Londra, Magonza,
Wiesbaden, Praga. Dopo tante peripezie ancora Italia: Padova, Venezia,
dove comincerà la sua fine per la vendetta di un piccolo nobile, tal
Giovanni Mocenigo, che si ritiene offeso da lui. A Ginevra, fattosi
calvinista, era diventato professore di teologia. La verità è che
aderisce a questa o a quella confessione purché non pregiudichi le sue
idee filosofiche e la libertà di professarle. Scrive moltissimo, ovunque
si trovi, quasi una grafomania. Scrive di teatro, di morale, di fisica,
di astronomia oltre che di filosofia. Vede che la terra, pianeta eletto
da Dio come sua sede, altro non è che un granello perso in un cosmo di
cui nessuno conosce (allora e oggi) l’estensione. Sa che scrivendo certe
cose, si contrappone all’insegnamento delle scritture. A chi gli fa
notare il rischio, con ostinato orgoglio ribatte: «Il filosofo
dev’essere libero dalle imposizioni delle autorità e delle stesse
tradizioni; il suo solo orizzonte è quello che la forza della ragione
gli permette di intravedere; infatti, alle libere are della filosofia
cerca riparo dai flutti fortunosi desiderando la sola compagnia di
coloro che comandano non di chiudere gli occhi, ma di aprirli. A me non
piace dissimulare la verità, né ho timore di professarla apertamente».
È
un uomo che appare pensieroso, crucciato, quasi cupo. Ne è consapevole,
in una specie di amaro autoritratto dice di sé: «Par che sempre sii in
contemplazione delle pene dell’Inferno, un che ride solo per far come
fan gli altri, perlopiù lo vedrete fastidito, restio e bizzarro; non si
contenta di nulla, ritroso come un vecchio di ottant’anni, fantastico
come un cane che ha ricevuto mille spellicciate, pasciuto di cipolla ».
Senza
nemmeno un cannocchiale, per sola forza di speculazione, nel suo De
l’infinito universo et mondi scrive: «Esistono innumerevoli soli e
innumerevoli Terre ruotano attorno a questi ». Una verità nota da tempo
ormai, ma che alla fine del XVI secolo suona sconvolgente. La teoria in
sostanza rende eterno l’Universo, esclude l’idea di un Dio creatore.
Insomma, Bruno è uscito dalla dottrina cristiana ufficiale — lo pagherà
caro.
Su delazione del Mocenigo, viene
arrestato dal santo Uffizio veneziano. Poco si cava dagli interrogatori e
dalle confuse testimonianze contro di lui, il frate respinge le accuse
più grossolane, discute ostinatamente la congruenza delle altre.
L’istruttoria si arricchisce solo di carte inutili.
Nel
1599, il Cardinale Roberto Bellarmino s’interessa al caso. La Chiesa di
Roma è una cittadella assediata dalla riforma luterana che ha spaccato
la cristianità. Bellarmino è un uomo di grande ingegno; intuisce che
l’imputato, con la sua visione di un infinito aperto ad una pluralità di
mondi, ha spalancato un’era nuova per la libertà di pensiero; che, se
si mette in discussione l’edificio costruito sull’interpretazione
canonica delle Scritture, molte cose rischiano di precipitare. Avoca il
processo alla santa Inquisizione romana sotto la sua diretta
giurisdizione, ne afferra con decisione le redini. Il resto è noto: le
torture, la frase storica quando gli viene letta la sentenza di morte
che deve ascoltare in ginocchio: «Forse con più timore pronunciate voi
la sentenza contro di me, di quanto ne provi io nell’accoglierla ».
Anche i suoi libri, giudicati «heretici et erronei et continenti molte
heresie et errori» sono condannati al rogo che si consuma sul sagrato di
San Pietro. Roberto Bellarmino sarà poi proclamato santo e dottore
della chiesa uncon il motto: «La mia spada ha sottomesso gli spiriti
superbi».
Nell’attuale revival bruniano, ai
tre volumi cui accennavo sopra si deve aggiungere un’altra operina di
notevole pregio: Giordano Bruno maestro di anarchia di Aldo Masullo,
pubblicata da un piccolo editore campano La saletta dell’uva. Ne cito le
righe d’apertura che danno un’idea del contenuto, in armonia col
pensiero del filosofo: «Bruno ci avvia alla grande riflessione etica
della modernità, che poi con Emanuele Kant si compie. In un fondamentale
saggio Kant infatti chiarisce che “illuminismo” significa uscita dalla
minore età, il cessar d’essere sotto tutela, il diventare padroni delle
proprie decisioni». Sapere aude, dirà Kant. Giordano Bruno è tra coloro
che hanno aperto la strada.
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