Houellebecq: "Il Corano? È meglio di quello che pensavo"
Il suo libro ha scatenato un putiferio in Francia: "L’idea di un partito musulmano mi sembra plausibile" - il Giornale Ven, 09/01/2015
Stragi, persone e idee
Houellebecq, Soumission e l’urgenza di una scelta
di Armando Massarenti Il Sole 8.1.15
Ora siamo tutti chiamati a scegliere senza ambiguità. O difendiamo i principi e i valori di libertà faticosamente conquistati nella storia della nostra civiltà occidentale – in primis la libertà di stampa, di espressione, di satira, di critica, di parola, di cui si è nutrita la modernità fin dai suoi albori e da dove è nato tutto il resto – o ci abbandoniamo alle mille ambiguità che nel corso degli ultimi decenni hanno minato, in buona parte dei Paesi occidentali, la distinzione fondamentale tra diritto e religione, facendo entrare prepotentemente nella sfera pubblica principi estranei a quelli della laicità dello Stato.
È questa l’ambiguità di cui si nutre anche l’ultimo, discusso, romanzo di Michel Houellebecq, «Sottomissione» (in uscita per Bompiani), che contiene pagine che appaiono raggelanti se lette alla luce di ciò che è accaduto ieri, anche se in realtà nulla o ben poco fa pensare che il terribile attentato terroristico subito dalla rivista satirica Charlie Hebdo, che nel suo ultimo numero pubblicava in copertina una garbata presa in giro dello scrittore, abbia a che vedere con l’uscita contemporanea del romanzo. Di raggelante ci sono gli attentati rivendicati nel libro, inneggianti all’identità religiosa, che paiono preconizzare esattamente ciò che si è avverato. Un esempio di come un grande scrittore possa essere in grado di comprendere, meglio di mille analisi socio-politiche, che cosa bolle in pentola nella società, anche all’interno di un romanzo distopico (o utopico: già qui troviamo una notevole ambiguità), puro frutto dell’immaginazione, ambientato in un non troppo lontano 2022. È quello l’anno in cui Houellebecq immagina che in Francia, pur di non far vincere Marine Le Pen alle presidenziali, in vantaggio nei sondaggi, tutti i partiti tradizionalmente democratici votino per i Fratelli Musulmani, facendo succedere a Hollande un presidente musulmano. E ciò non si rivelerà per nulla sconvolgente. Il protagonista del romanzo è un professore universitario che si riconosce nelle parole ottocentesche di Huysmans – «sono ossessionato dal Cattolicesimo, inebriato dalla sua atmosfera d’incenso e di cera, gli giro intorno, scosso fino alle lacrime dalle sue preghiere, spremuto fino al midollo dai suoi salmi e dai suoi inni...» – ma che di fatto conduce una vita sentimentale insoddisfacente, fatta solo di relazioni saltuarie, con studentesse o escort di diverse età, a parte la sua ragazza ebrea che alla fine preferisce trasferirsi in Israele. Di fronte alla vittoria dell’Islam si converte, anzi si “sottomette” volentieri ad esso, con facilità e cogliendone tutti i vantaggi, individuali e sociali: l’Islam gli offre «la compagnia» e un quadro affettivo stabile – è la stessa religione a fornirgli le donne di cui ha bisogno – e garantisce una maggiore coesione sociale e, tra l’altro, minore disoccupazione. Ma la sua “sottomissione” è in realtà il simbolo di una resa ben più ampia, molto al di là dei problemi posti dall’immigrazione islamica in un Paese laico per antonomasia. È il suicidio di un’intera civiltà, quella dei Lumi, della liberaldemocrazia, dello Stato di diritto, che è costretta a cedere il passo a principi e valori – o alla barbarie – che l’avevano preceduta.
È a questa resa incondizionata, descritta da Houellebecq, e già pigramente presente in molti atteggiamenti sociali e intellettuali degli ultimi decenni, che l’attentato di ieri ci deve spingere a reagire con la massima fierezza. È vero che in questi ultimi anni – e non solo sul versante dell’Islam radicale – troppo spesso si è giocato con le parole per calpestare i principi dell’Illuminismo, fingendo di non capirne l’importanza da cui dipende la stessa identità europea e nordamericana. Autonomia, laicità, verità, umanità, universalità, diritti umani, tolleranza, metodo scientifico, divisione dei poteri: se crediamo in queste cose è perché, che ne siamo consapevoli o meno, siamo tutti figli dell’Illuminismo, e ne rivendichiamo i principi ogni volta che vogliamo protestare contro l’intolleranza, il fanatismo, la tortura, la censura, le discriminazioni, gli abusi e le menzogne del potere. Come ha sostenuto un altro francese illustre, Tzvetan Todorov, il problema è che i mali che i Lumi hanno voluto combattere, «oscurantismo, autorità arbitraria, fanatismo», si sono rivelati più resistenti di quanto non immaginassero gli uomini del XVIII secolo. Sono come «le teste dell’idra che rispuntano non appena tagliate». Ma è proprio per questo che non bisogna cedere. Non è questione di difendere una parte in causa. Non è questione di essere atei, cattolici o seguaci dell’Islam, moderato o radicale che sia. È questione di riconoscere entro un quadro costituzionale e legislativo certo le libertà di tutti. I padri fondatori della Costituzione americana erano quasi tutti ferventi religiosi, ma hanno deciso di tenere la religione fuori dalla sfera politica. La tragedia di ieri è avvenuta nello Stato che in realtà finora ha saputo tenere saldi i principi della laicità più di ogni altro Paese europeo. La loro sfida è, deve essere, anche la nostra.
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