Tsipras avverte la Merkel “Non rispetterò gli accordi”
Il leader della sinistra vola nei sondaggi alla vigilia delle elezioni “Nei Trattati non c’è l’austerity”
La Cancelliera: resti nella storiadi Marta Ottaviani La Stampa 24.1.15
La Grecia domani va alle urne in quella che sembra sempre di più la cronaca di una vittoria annunciata. Alexis Tsipras, 40 anni, leader del partito di sinistra Syriza e giovane promessa della politica dell’Ellade, è a un passo per diventare capo del governo, succedendo all’attuale premier conservatore, Antonis Samaras, che per due anni ha guidato un esecutivo di salvezza nazionale traballante e negoziato con la Troika dei creditori internazionali. Effetto Syriza È Tsipras la stella incontrastata di questa campagna elettorale. Per le strade della capitale Atene, i manifesti degli altri partiti sono sensibilmente meno, persino quelli di Nea Demokratia (Nuova Democrazia), il principale oppositore di Syriza. Se fino a due giorni fa fra i due partiti lo scarto era intorno ai 2-3 punti percentuali, adesso il partito di sinistra sarebbe avanti del 6,6% punti, attestato intorno al 32,9%. Ancora non basta a dare a Tsipras la certezza che potrà formare un governo monocolore, anche se le sue chance crescono. Di certo, meno partiti entrano in Parlamento e non superano il 3% previsto dalla legge, più salgono le possibilità. I partiti in lizza
Determinanti saranno i risultati del Pasok, il vecchio partito socialista, passato da risultati a due cifre a un probabile e poco lusinghiero 6%, del Kke, il Partito Comunista greco, autore di una campagna elettorale incisiva, e dei Greci Indipendenti, anche loro in lizza per entrare alla Voule ton Ellenon, il Parlamento greco. Tutti gli occhi sono puntati su Potami, un partito di sinistra moderata al suo esordio sulla scena politica greca, fondato dal giornalista Stavros Theodorakis, e che secondo gli ultimi sondaggi potrebbe arrivare fino al 7%. Poco sotto, al 6,5%, c’è il partito neonazista Alba Dorata, nonostante le accuse infamanti di omicidio e terrorismo che pendono su alcuni suoi dirigenti. Il messaggio a Berlino Tutti calcoli che, almeno apparentemente, sembrano non interessare né a Tsipras, né ai suoi supporter, che giovedì sera hanno invaso Piazza Omonia e le vie del centro di Atene e hanno urlato in migliaia il no all’austerità e alle politiche di Angela Merkel, infiammandosi quando Tsipras li ha salutati dal palco con il leader del movimento spagnolo Podemos, Pablo Iglesias, che ha urlato in greco «prima di prenderemo Atene e poi Berlino». Ed è proprio alla Germania che sono andate le ultime dichiarazioni della vigilia. «Abbiamo obblighi nei confronti delle istituzioni e dei trattati europei - ha dichiarato Tspras alla televisione nazionale -: ci sono obiettivi fiscali da rispettare, ma non dicono con quali strumenti perseguirli». Mondo economico incerto Il giovane leader ha lodato il Qe avviato dalla Bce, spiegando che l’austerità non fa parte dei trattati e ha aggiunto che il suo governo non rispetterà gli obblighi firmati dall’esecutivo precedente. Un avvertimento alla Troika dei creditori internazionali, formata da Bce, Fmi e Ue. Merkel ieri ha detto di augurarsi che la Grecia rimanga parte della storia europea, ma da qui a rinegoziare le condizioni per il pagamento del debito greco c’è una bella differenza. Il timore di molti economisti è che con il voto di domani inizierà un periodo per i mercati e la stabilità interna del Paese destinato a durare mesi. Dopo aver lottato per conquistare la leadership, adesso Tsipras dovrà anche dimostrare di saper governare.
Così la sinistra radicale ha costruito un sistema di volontariato che crea consensidi Andrea Nicastro Corriere 24.1.15
ATENE «Scusi la penombra, ma non abbiamo pagato le bollette della luce. Manca anche il riscaldamento, quindi tenga pure il cappotto». Sulla credenza dove una volta c’era il servizio di porcellana e le bomboniere dei matrimoni ora sono allineate scatole di medicine. In cucina lo stesso, in bagno anche, farmaci ovunque, fin nel frigorifero rotto. «Per fortuna sono tante» sorride Dimitri Souliotis. «Questa è casa di mia cognata, ma ora lei vive con me e mia moglie e questa è diventata una farmacia per disoccupati, senza tetto e immigrati. Assistiamo anche tre italiani indigenti. È stato il Consolato a mandarceli». Le medicine sono in ordine alfabetico come in una farmacia vera, ma dentro le confezioni ci sono pastiglie e bustine sfuse, blister usati a metà. «Ormai qui in Grecia lo fanno tutti. Quando guarisci e qualche farmaco è avanzato, non lo lasci scadere nel cassetto, ma lo regali. Noi li raccogliamo e li distribuiamo».
Souliotis per trent’anni ha fatto il marconista sulle navi. Erano i tempi d’oro degli armatori greci, Onassis e non solo. Poi, in pensione con 1.250 euro al mese, è finalmente tornato ad Atene, in tempo per scarrocciare sotto la furia della Grande Crisi. «La pensione è affondata a poco più di 800 euro, ma comunque sto a galla. Gente più giovane e senza lavoro invece ha perso tutto: la casa che pagava col mutuo e l’assistenza sanitaria. In mare quando uno sta annegando lo si aiuta. Perché a terra dovevo far finta di non vedere?».
L’impegno sociale è una riscoperta per tutta Europa, ma in Grecia, la disoccupazione ha colpito selvaggiamente, ha cambiato la società e la politica. La Chiesa ortodossa ha attivato le chiese, una rete fittissima che riceve poche critiche e sfama ogni giorno almeno 200 mila persone. Anche la destra neonazi di Alba Dorata ha proposto il suo volontariato con ronde antimmigrati, «aiuti» per sfrattare gli stranieri morosi e mense sociali per soli greci purosangue. Chi ha azzeccato la formula è stata la sinistra di Syriza. «Non abbiamo messo il cappello su nessuna iniziativa e questo ci ha dato grande credibilità» dice Argiris Panagopoulos, una sorta di ambasciatore della sinistra greca in Italia. «La gente ha capito che non ci comportavamo come un partito qualsiasi, che noi eravamo come loro: la risposta della società ai nuovi bisogni».
Farmacie sociali, mense, reti di medici per visite gratuite, Syriza non è solo sfida al debito e all’euro, ma anche una sorta di Stato sociale sostitutivo di quello azzoppato dai tagli della Troika.
«Una delle idee migliori sono i mercatini senza intermediari — spiega Feano Fotiu responsabile della solidarietà di Syriza —. Guadagnano i contadini che non sono strozzati dalle catene dei supermercati e guadagnano i consumatori con prodotti di qualità a basso prezzo». Come nei gruppi d’acquisto a km0, solo che qui non si pensa al bio, ma a sopravvivere. Il 30% delle famiglie è sotto la soglia della povertà, i disoccupati 1,5 milioni, come i lavoratori e i pensionati. «Gli avversari ridevano di noi chiamandoci il “partito delle lenticchie”. Ma erano loro a non capire che contro la fame, un piatto di lenticchie è benvenuto soprattutto se onesto e disinteressato».
Per ordinare le merci, chiedere farmaci, vestiti, aiuto è necessario lasciare un numero di telefono, un indirizzo mail. In due anni di Grande crisi, Syriza ha costruito così un database che è diventato utilissimo per costruire anche una base politica. «Sono 400 i centri di solidarietà in tutto il Paese che in vario modo fanno parte del nostro network — spiega Fotiu — e così siamo riusciti a diffondere una consapevolezza diversa». Syriza è uscita dal «palazzo» per riportare la politica nell’agorà, in piazza. Organizza assemblee di quartiere dove cercare soluzioni ai problemi pratici, un ritorno etimologico alla politica. Così è nata, gramscianamente, l’egemonia di cui godono oggi le tesi del partito in Grecia. «La gente era paralizzata dal senso di colpa che gli era stato indotto dalla narrativa dominante della recessione. Il Nord Europa e la Destra ci descriveva come meridionali lazzaroni e corrotti, inferiori ai virtuosi tedeschi. I greci sentivano la responsabilità morale del fallimento nazionale fino a che Syriza non ha parlato del ruolo dei banchieri, del trucco dei prestiti che rendono schiavi, del neoliberismo rapace. E le teste si sono alzate».
Questo welfare solidale una volta lo si sarebbe chiamato «catena di trasmissione» tra partito e società, ma in Grecia si è dimostrato un antidoto per l’anti politica e la rassegnazione che dominano in tanta parte d’Europa. Futiu è certa: «Con farmaci e lenticchie Syriza ha distribuito anche l’idea che un partito diverso, più pulito e umano, possa meritare fiducia».
Tra le macerie dell’austerity
di Mariano Maugeri Il Sole 24.1.15
«I greci sono finora la specie d’uomini meglio riuscita. Più bella, più invidiata, più seduttrice verso la vita». Friedrich Nietzsche non era uomo incline ai complimenti.
E se oggi passeggiasse intorno piazza Omonia, l?ombelico di Atene, una spianata di cemento a semicerchio con gli studenti e i pensionati che si stiracchiano al sole, si pentirebbe amaramente di quelle parole. Di quella seduzione non è rimasta neppure la cenere. I volti dei greci sembrano maschere dolenti scavate nella cera. L?attesa, questa volta, non ha nulla di contemplativo. C?è un pezzo della generazione tra i quaranta e cinquant?anni che suo malgrado è il più convincente testimonial dello stato della Grecia e della periferia dell?Unione: capelli unti, pantaloni bucati e piedi che strisciano per tutto il giorno tra saracinesche di negozi sbarrate da anni e la ricerca di un pasto caldo tra le decine di mense dei poveri, dormitori pubblici, centri in cui si distribuiscono viveri, vestiti, coperte e beni di prima necessità, una sorta di mappa della crisi, che? vendetta del lessico? origina dal greco krisis, scelta. Sono i fantasmi di Maastricht, le vittime di un disegno politico seppellito prima che sbocciasse. Unione europea e thanatos. Antoniadis Christos esce a passo veloce da uno dei centri di assistenza del Pyreos e scarta come uno slalomista gli immigrati immobili come birilli con le mani in tasca.
Nella busta di plastica bianca porta un panino e una teglia monoporzione di alluminio sigillata: «Polpette e riso», dice anticipando la domanda. Fino al 2009 Antoniadios, 57 anni, era il rispettabile proprietario di un supermarket a Salonicco. Prima cala le saracinesche, poi la malasorte gli uccide la moglie. Racconta: «Cerco lavoro da cinque anni e ho solo collezionato porte in faccia. Domenica voto il partito comunista ma la colpa di questa situazione è tutta della corruzione e della politica».
Alexis Tsipras lo sa e maieuticamente giovedì sera in una piazza Omonia stracolma di bandiere faceva la levatrice della nuova Grecia sulle note di Bella Ciao: «Mani pulite, decisioni chiare e posizioni nette: Syriza è la grande sfida di cui ha bisogno l?Europa». Sembra un crudele gioco semantico, ma anche la parola Europa appartiene alla mitologia greca: era una principessa fenicia di cui s?innamorò follemente Giove, che si trasformò in un toro per rapirla e portarla a Creta. Nessuno, di questi tempi, sembra essere innamorato dei greci. Le parole sono codici sui quali l?Europa ha fondato la sua identità. Eppure la Atene contemporanea ha l?aspetto lugubre di una città intirizzita, sospesa, con un esercito di senza parole e senza qualcosa: casa, assistenza sanitaria, lavoro, cibo. Consci della drammaticità della situazione, un anno fa le Caritas italiana e greca si sono gemellate per far fronte all?emergenza sanitaria e umanitaria. Stanislao Stouraitis, studi di Teologia a Roma, è l?uomo che coordina gli aiuti per conto della Caritas: «In Grecia possiamo contare su 300 volontari, 150 dei quali ad Atene. Ma siamo pochi, le nuove povertà dilagano e reclamano mezzi ben più imponenti di quelli di cui disponiamo: questa dovrebbe essere la nuova terra dei missionari».
La Grecia come l?Africa e il Sud est asiatico. La pediatra Catherine Mourtzopoulou racconta della recrudescenza della tubercolosi, di casi montanti di malnutrizione infantile, di un?assistenza modellata solo su chi può pagarsi un?assicurazione sanitaria, di famiglie senza soldi per il gasolio da riscaldamento che dormono tra muri di casa tappezzati da colonie di muffe. Mentre lo Stato lesina la carta Aporias, la copertura sanitaria provvisoria? va rinnovata ogni anno? per chi è senza lavoro e i loro figli. Stouraitis chiude il cerchio con un dato che dovrebbe allarmare tutti, compresa l?onnipresente troika (Unione europea, Bce e Fmi): «In questo momento nel nostro Paese ci sono 450 mila bambini malnutriti». I clochard, invece, non si contano più. La sera, le strade del centro che si snodano ai piedi dell?acropoli illuminata a giorno, si trasformano nel ricovero di centinaia di senza tetto. Sotto i portici, a pochi metri da Monastiraki square, un uomo con le gambe già infilate nel sacco a pelo si pettina lentamente i capelli lunghi e brizzolati come se il dolore di quella condizione gli fosse assolutamente estraneo. Forse è per questo che i greci sono gli inventori della tragedia. Burzari Fnixos, camicia di jeans e sigaretta perennemente al labbro (la Grecia è un Paese di fortissimi fumatori), è il Caronte che con naturalezza traghetta i poveri nel labirinto dell?assistenza comunale. È lui che distribuisce 1500 coupon al mese, qui ribattezzati couponia, di cinque euro ciascuno con i quali si può comprare da mangiare nei supermercati. «Ne servirebbero 20, 30 mila, altro che 1500. Nella settimana della distribuzione dei buoni gli ateniesi si accalcano qui fuori già dalle sei del mattino».
Dal Pyreos al Metauxorio, una zona semicentrale in cui svetta una palazzina bianca di architettura simil razionalista con di fronte la nuova metropolitana inaugurata per le Olimpiadi del 2004, l?inizio della fine. Un gruppo di donne gitane con le sigarette tra le dita è seduta tra i gradini in attesa della distribuzione di un pezzo di pane e una bottiglia di latte. Da lontano arrivano padre e figlio mano nella mano. Il papà si chiama Giorgio Dais, una felpa nera macchiata di vernice con la scritta?graduate?. Dice: «Sono un piastrellista senza lavoro. L?edilizia qui è morta e sepolta insieme con tutto il resto. Cerco di racimolare un po? di farina e qualche barattolo di pomodori da portare a casa. Come viviamo? Noi sopravviviamo. Mia moglie, quando la chiamano, fa le pulizie».
Charalambos, il figlio tredicenne di Giorgio, una felpa gialla, gli occhiali rossi e il viso immobile, non si sogna di staccare le mani e lo sguardo da suo papà. L?Unione europea vista con gli occhi rassegnati di questo ragazzino ha qualcosa di raggelante. Solo una domanda lo distoglie dal silenzio e gli provoca un sorriso timido: «Da grande voglio fare l?astronauta». Forse per scappare a distanze siderali da questa Atene, da questa Grecia e da questa Europa.
E se Atene salvasse l’euro?
di Adriana Cerretelli Il Sole 24.1.15
E se un giorno, tra quattro o cinque anni, si scoprisse che alla fine è stata la Grecia a salvare l’euro, che la bestia nera del club dei ciechi virtuosi è riuscita a farli rinsavire?
Ed è riuscita a farli rinsavire, con un bagno nella realtà purificata da troppa dottrina ideologica, convertendoli alla logica di una governance flessibile e pragmatica?
L'interrogativo può suonare paradossale proprio quando nell?Eurozona riemerge la minaccia Grexit, cioè l'ipotesi che il paese possa presto essere messo alla porta, invitato a lasciare la moneta unica o provocato al punto di convincersi a farlo da solo. Può sembrare anche una provocazione e un po' lo è. Ma forse meno di quanto non appaia a prima vista.
Dopo sei anni di crisi che non passa, con l'Eurozona stremata da una crescita al lumicino regolarmente ridimensionata dalla varie previsioni internazionali, da una disoccupazione che investe 26 milioni di persone eguagliando la somma della popolazione di Belgio e Olanda, dalla deflazione con la caduta media dei prezzi dello 0,2% in dicembre per la prima volta dal 2009, dall'euroscetticismo che avanza dovunque minando la tenuta dei partiti tradizionali e la stabilità dei Governi.
Dopo questa lunga prova provata che la politica fin qui seguita ha abbattuto il deficit medio (2,3%) ma non il debito (95%) penalizzando comunque seriamente lo sviluppo, non è affatto escluso che proprio dalle imminenti elezioni ad Atene arrivi lo shock politico capace di imprimere una sterzata costruttiva alla governance europea, oggi in mezzo al guado.
La Grecia, che rappresenta il 2% del Pil euro e il 3% del suo debito, è stata il principio e al tempo stesso il paradigma della crisi diventata presto contagiosa perchè il paese si è trasformato nel laboratorio di una governance europea improvvisata, ideologizzata, devastante nei fatti e quindi insostenibile in termini politici, sociali ed economici.
La 'troika' ne ha applicato le direttive diventando l'incubo dell'Eurozona, il moloch anti-democratico da combattere e distruggere. I dati dicono che in 5 anni la Grecia ha perso il 25% del Pil, ha visto salire i disoccupati al 25%, i giovani al 55% insieme alla fuga massiccia di cervelli (150.000 persone). Però il debito, che doveva scendere, è schizzato dal 125 a quasi il 180%. «Nemmeno dopo la guerra avevamo vissuto una simile recessione» denuncia Dimitrios Papadimoulis, sinistra radicale, vicepresidente dell'Europarlamento.
Per questo di fatto è l'Europa il grande elettore di Syriza, l'Europa che ha sconfitto l'attuale Governo di centro-destra negandogli le concessioni che presto sarà costretto a fare al suo successore. Il partito di Alexis Tsipras, in testa ai sondaggi promettendo la fine dell'austerità e il rinegoziato sul debito, è il figlio naturale di questi errori molto più che la creatura riuscita di un abile populista. A riprova, tuttora quasi l'80% dei greci resta favorevole alla moneta unica.
Di fronte all'evidenza dei problemi scatenati più che risolti in Grecia, il primo riflesso di un'Eurozona sempre più dominata dalla cultura nordico- tedesca è stato lo stesso emerso all'inizio della crisi: scorciatoia Grexit.
Ma Grexit è molto più facile da dire che da fare: non trova basi legali nei Trattati Ue, quindi l'espulsione è impossibile se l'interessato non condivide. Peggio, provocherebbe un effetto domino molto simile a quello che in passato ha propagato il contagio ellenico in tutta l'Eurozona, scatenando un attacco speculativo in grande stile sul debito sovrano. E relativa destabilizzazione dell'euro, tuttora irrisolta.
Oggi, si ripete, il pericolo è più contenuto: le banche tedesche e francesi, allora sovra-esposte ad Atene, non corrono più grossi rischi. Il debito ellenico è più pubblico che privato. Però il potenziale di destabilizzazione politica dell'area è intatto, in parte inesplorato e per questo anche più insidioso.
I partiti euro-scettici, nazionalisti, populisti o comunque alla ricerca di un'altra Europa, proliferano nell'Unione. Quest'anno, tra regionali e nazionali, ci saranno elezioni in 7 paesi dell'euro su 19. In Spagna, Francia, Olanda i partiti anti-sistema sono in cima ai consensi popolari. Ma anche in Portogallo e Finlandia le contestazioni sono molto forti.
Grexit dunque farebbe subito volonterosi proseliti. E direbbe ai mercati che la moneta unica non è irreversibile, la politica del 'whatever il takes' del presidente della Bce, Mario Draghi, non è più credibile e il suo quantative easing vano. Isolando la Grecia invece di stemperarne i problemi con un negoziato europeo, si suonerebbe di fatto una nuova carica per la speculazione galvanizzata dal rischio-sfascio. Senza contare che un suo default costringerebbe i Governi dell'euro, che finora hanno puntellato il paese sborsando essenzialmente garanzie, a coprirle con denaro vero dei contribuenti.
Nasce da qui, dalla constatazione che dall'euro non si può tornare indietro a meno di non essere disposti, tutti senza eccezione, a pagare il salatissimo prezzo del disastro collettivo, la speranza di una svolta intelligente nella governance dell'Eurozona.
Il programma Juncker di investimenti da 315 miliardi di euro in 3 anni per rilanciare la crescita e, soprattutto, l'iniezione di flessibilità interpretativa nell'applicazione del patto di stabilità sono segnali concreti di realismo: non significano sconfessione ma ragionevole allentamento delle politiche di rigore, dosi più limitate e tempi più lunghi, per renderle sostenibili. E utilizzo degli 'sconti' per accelerare le riforme, cioè la modernizzazione dell'economia europea in perdita di competitività mondiale.
Significano invece che Francia e Italia, seconda e terza economia dell'euro, in marzo non saranno sanzionate per i loro ritardi. Evitando così una crisi politica dal potenziale ben più dirompente di quella greca.
Naturalmente per poter funzionare e scongiurare il peggio, l'implosione dell'euro, la nuova politica di Juncker ha bisogno della collaborazione di tutti gli attori della partita: sia della serietà dei Governi che devono fare riforme e risanamenti veri sia del senso di responsabilità di quelli che, a dispetto delle loro virtù, non riescono più a crescere quanto dovrebbero e quindi dovrebbero avere interesse a un'Europa più convergente, dinamica e risanata.
Nella nuova logica ispirata da due campioni di realismo come Juncker e Draghi e imposta da una realtà politica ed economica europea che non si può continuare a ignorare, le rivendicazioni greche andranno accolte quel tanto che basta a disinnescare una crisi che non conviene a nessuno. Per questo, dopo essere stata a lungo il problema, la Grecia potrebbe un giorno ritrovarsi attribuito un po' di merito per la soluzione dei troppi problemi dell'euro ancora aperti.
“Il Front National non ha paura di dire: Stiamo con Syriza”
Louis Aliot, compagno di Le Pen “Uniti contro il sistema economico”di Leonardo Martinelli La Stampa 24.1.15
Louis Aliot, classe 1969, è vicepresidente del Front National e compagno nella vita di Marine Le Pen. Non è un segreto per nessuno: è lui ad aver ideato la nuova politica del partito, quella del suo sdoganamento, la « dédiabolisation ». Un dottorato in diritto pubblico alle spalle (di ex rugbista), sempre impeccabile, mai sopra le righe, Aliot è una sorta di improbabile gentleman dell’estrema destra. Improbabile è anche la posizione sua e del partito in vista del voto greco.
È vero che appoggiate Syriza, la sinistra radicale?
«Certo. E sappiamo benissimo chi sono. Ma quando criticano il sistema economico europeo, questo ultraliberismo sotto gli occhi tutti, la pensiamo allo stesso modo. Anche quando attaccano la politica di austerità. Per lo stesso motivo apprezzo pure gli indignati spagnoli. Sono le uniche cose che abbiamo in comune ma io non sono come quelli di sinistra».
Cosa vuol dire?
«Noi non cadiamo nel settarismo della sinistra tradizionale, che non riconosce gli elementi positivi nei discorsi degli avversari. Loro dicono che sono Charlie quando uno la pensa esattamente come loro ma sono subito molto meno Charlie, se la pensi un po’ meno come loro».
A proposito, lei è Charlie?
«Non condivido assolutamente la linea editoriale di quel giornale e nella maggior parte dei casi trovo le loro vignette infami. Ma se significa difesa totale della libertà di espressione, io sono Charlie. In un paese democratico del XXI secolo si deve poter scrivere, dire e decidere tutto. Altrimenti si compie il primo passo verso il totalitarismo».
Ma in Grecia perché non appoggiate Alba dorata?
«Non abbiamo niente a che fare con quella gente lì».
Dopo gli attentati terroristici a Parigi, diversi osservatori politici, dicono che il Front National ha perso consensi, perché non ha voluto partecipare alla manifestazione di Parigi. È vero?
«Io ho manifestato a Perpignan, nella mia città. Temevamo che ci contestassero e invece non è successo nulla, anche perché mi sono guardato intorno e per strada fortunatamente non ho visto i politici ma il popolo, gli indignati. Davanti a me hanno insultato la delegazione di un sindacato, che ha tirato fuori le sue bandiere, accusata di voler sfruttare l’occasione. Loro sì li hanno contestati».
Ma perché non siete andati a manifestare a Parigi?
«Perché a organizzare quella marcia sono stati i socialisti. Hanno detto che non eravamo i benvenuti. E noi non ci siamo andati».
Altro passo falso del partito : il video fatto girare su Twitter da un vostro eurodeputato, Aymeric Chauprade, dove pronuncia affermazioni fortemente anti islamiche...
«Marine Le Pen lo ha esautorato da tutte le sue funzioni all’interno del Front National. E ha fatto benissimo, anche se poi personalmente sono d’accordo con il 90% di quel video».
Jean-Marie Le Pen ha preso le parti di Chauprade...
«Il problema di Jean-Marie Le Pen è che lui va contro tutti quelli che sono a favore di qualcosa ed è a favore quando tutti sono contro. È così per principio. Deve far vedere che è diverso. Meno male che ormai Marine è identificata come la vera leader di questo partito. Diciamo che lei preferirebbe che un padre l’appoggiasse in ogni circostanza. Ma questa è la vita. Non è facile».
L’ipotesi di uno scatto in avanti contro Renzi & B. è stata rispedita ai mittenti dal movimento di Grillo, ma si tratta pur sempre della prima mossa azzardata di quel qualcosa che si agita a sinistra del Pd. Cos’è? Ecco l’interrogativo che mette i brividi nel salone dove si affrontano i nodi di tanti discorsi, e dove ci si commuove quando sullo schermo compaiono dei greci felici che cantano la canzone dei nostri partigiani. La nostra lingua, ma in un altro mondo.
Anche per il “narratore” la necessità di andare oltre è una priorità indiscutibile: “Qui a Milano, noi di Sel, mettendo a disposizione questa comunità, siamo disponibili ad andare oltre questa comunità”. Tradotto: “C’è bisogno di una sinistra nuova, grande, popolare, innovativa, plurale che sappia svelare l’inganno del renzismo e di Renzi”. E Human Factor dovrebbe essere il laboratorio per un’altra politica, “abbiamo bisogno di uscire dalla politica intesa come battuta e prigioniera dei talk show”. Della “cosa rossa” che non c’è — dopo la giornata di oggi fitta di laboratori cui partecipano decine di relatori — se ne parlerà domenica, con diversi interventi (Bolini, Castellina in video, Civati, Cuperlo, Fassina, Ferrero, Fratoianni, Revelli, Sarasini, Pisapia, lo stesso Vendola e molti altri).
Una formazione quasi al completo — manca solo Landini, invierà una lettera — anche se il nodo dello “Tsipras italiano” resta uno dei più complicati da sciogliere. “Tsipras è una figura politica — dice Vendola — è frutto di un lungo lavoro nel quale la politica è in grado di superare vecchie storie, vecchie appartenenze, vecchie gelosie per fare qualcosa di nuovo, come costruire gli ambulatori, costruire mense, cioè pratiche sociali alternative alle ferite della società disegnate dalla destra di mercato”. Vero. Dunque? Sembra una replica all’ultima intervista di Stefano Rodotà, lapidario come non mai: “Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra socialmente insediato guardando a Sel, Rifondazione, Alba e minoranza Pd sbaglia”.
Le parole di Rodotà lasciano il segno anche nella platea della Permanente, eppure c’è un’aria frizzante tra i militanti di Sel. Forse è la sensazione (o l’illusione) che qualcosa stia per accadere. Impossibile riassumere tutti gli interventi. Tocca ad Elisabetta Piccolotti rompere il ghiaccio spiegando le “ragioni” della conferenza. Il suo è un invito a guardare la realtà con gli occhi di un extraterrestre per scandalizzarsi di nuovo contro le ingiustizie. “Riscriviamo una nuova grammatica del vivere”, e le parole sono collaborazione, condivisione, solidarietà, giustizia, dialogo e uguaglianza.
Poi lo sguardo plana sulla storia dell’uomo per guardare al futuro, è l’intervento del filosofo della scienza Telmo Pievani che sottolinea la catastrofe in corso dovuta al “fattore umano”: l’homo sapiens distrugge l’ecosistema attraverso un “modello di sviluppo e un’economia predatoria” che non funziona più. Pievani accenna ai cambiamenti epocali in corso (le migrazioni, la defaunazione) e accusa la politica di non avere strumenti adeguati per interpretarli, “la scienza e la sinistra dovrebbero ricominciare a parlarsi di più”.
Complesso anche l’intervento dell’economista Emiliano Brancaccio. Dice che la sinistra è subalterna “alla narrazione dei soggetti dominanti”: sta ancora celebrando i fasti della globalizzazione quando “ci sono 800 misure protezionistiche a livello mondiale”. Cambiano i paradigmi e non se ne accorge. Con la sua verve, il critico Philippe Daverio conquista la sala. Le parole sono: formazione, ricerca, cultura, “la Germania spende cinque volte quello che spende l’Italia”. Scherza, dice che il Pil della Grecia è “solo il doppio di quello della provincia di Vicenza”, dunque “non sarà così difficile salvarla, ma è preoccupato perché “siamo di fronte a una scelta epocale”: teme una fuga europeista xenofoba da destra. Poi si esalta, “chi possiede la cultura controlla anche i mercati”.
Il pomeriggio è ancora lungo. I relatori arrivano e aspettano il loro turno. Vendola li ringrazia, li abbraccia. Nel frattempo, “a margine”, deve parlare di politica. Per una volta, sembra quasi dispiaciuto.
Civati e Vendola contro l’asse Renzi-Berlusconi: “Per il Colle candidiamo un nome anti-Nazareno” Il Pd: “Nessuna spaccatura, il partito resta unito”
Il deputato della minoranza Pd e il leader di Sel aprono all’alleanza col M5S. Ma i Cinque Stelle: «Aspettiamo la rosa di nomi dal premier». E Guerini: «Non ci divideremo»La Stampa 24.1.15
1 commento:
Uno stato sovrano con moneta sovrana stampandola proporzionalmente al PIL senza superarlo per evitare inflazione potrebbe benissimo vivere senza titoli di stato ne con la tasse poiché potrebbe perfettamente finanziare le imprese e partecipare sia ai profitti che agli eventuali perdite.Potrebbe coi profitti sovvenzionare la propria spesa pubblica a patto che sia sempre produttiva e non parassitaria senza ne stampare nuova carta moneta ne chiederla in prestito ne emettere tasse .Tutto ciò non lo vogliono fare per mantenere il sistema improduttivo e finanziario e la rendita del c.d debito pubblico
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