sabato 24 gennaio 2015

Invasione di politici italiani trombati in Grecia: Tachipirinas non smette di toccarsi da giovedì sera

Ritengo che la sinistra - nella misura in cui si mantiene tale - non abbia margini di governo in una fase come questa, perché i rapporti di forza reali sono troppo squilibrati e i processi in atto sono troppo più potenti di lei. In ogni caso, come è ovvio, in bocca al lupo a Syriza e al KKE, perché meglio Tachipirinas di ogni altro e ancora meglio se riesce a smentire questa tesi. Incrociamo le dita [SGA].

Tsipras avverte la Merkel “Non rispetterò gli accordi”
Il leader della sinistra vola nei sondaggi alla vigilia delle elezioni “Nei Trattati non c’è l’austerity”
La Cancelliera: resti nella storia
di Marta Ottaviani La Stampa 24.1.15
La Grecia domani va alle urne in quella che sembra sempre di più la cronaca di una vittoria annunciata. Alexis Tsipras, 40 anni, leader del partito di sinistra Syriza e giovane promessa della politica dell’Ellade, è a un passo per diventare capo del governo, succedendo all’attuale premier conservatore, Antonis Samaras, che per due anni ha guidato un esecutivo di salvezza nazionale traballante e negoziato con la Troika dei creditori internazionali.
Effetto Syriza
È Tsipras la stella incontrastata di questa campagna elettorale. Per le strade della capitale Atene, i manifesti degli altri partiti sono sensibilmente meno, persino quelli di Nea Demokratia (Nuova Democrazia), il principale oppositore di Syriza. Se fino a due giorni fa fra i due partiti lo scarto era intorno ai 2-3 punti percentuali, adesso il partito di sinistra sarebbe avanti del 6,6% punti, attestato intorno al 32,9%. Ancora non basta a dare a Tsipras la certezza che potrà formare un governo monocolore, anche se le sue chance crescono. Di certo, meno partiti entrano in Parlamento e non superano il 3% previsto dalla legge, più salgono le possibilità.
 I partiti in lizza

Determinanti saranno i risultati del Pasok, il vecchio partito socialista, passato da risultati a due cifre a un probabile e poco lusinghiero 6%, del Kke, il Partito Comunista greco, autore di una campagna elettorale incisiva, e dei Greci Indipendenti, anche loro in lizza per entrare alla Voule ton Ellenon, il Parlamento greco. Tutti gli occhi sono puntati su Potami, un partito di sinistra moderata al suo esordio sulla scena politica greca, fondato dal giornalista Stavros Theodorakis, e che secondo gli ultimi sondaggi potrebbe arrivare fino al 7%. Poco sotto, al 6,5%, c’è il partito neonazista Alba Dorata, nonostante le accuse infamanti di omicidio e terrorismo che pendono su alcuni suoi dirigenti.
Il messaggio a Berlino
Tutti calcoli che, almeno apparentemente, sembrano non interessare né a Tsipras, né ai suoi supporter, che giovedì sera hanno invaso Piazza Omonia e le vie del centro di Atene e hanno urlato in migliaia il no all’austerità e alle politiche di Angela Merkel, infiammandosi quando Tsipras li ha salutati dal palco con il leader del movimento spagnolo Podemos, Pablo Iglesias, che ha urlato in greco «prima di prenderemo Atene e poi Berlino». Ed è proprio alla Germania che sono andate le ultime dichiarazioni della vigilia. «Abbiamo obblighi nei confronti delle istituzioni e dei trattati europei - ha dichiarato Tspras alla televisione nazionale -: ci sono obiettivi fiscali da rispettare, ma non dicono con quali strumenti perseguirli». 
Mondo economico incerto
Il giovane leader ha lodato il Qe avviato dalla Bce, spiegando che l’austerità non fa parte dei trattati e ha aggiunto che il suo governo non rispetterà gli obblighi firmati dall’esecutivo precedente. Un avvertimento alla Troika dei creditori internazionali, formata da Bce, Fmi e Ue. Merkel ieri ha detto di augurarsi che la Grecia rimanga parte della storia europea, ma da qui a rinegoziare le condizioni per il pagamento del debito greco c’è una bella differenza. Il timore di molti economisti è che con il voto di domani inizierà un periodo per i mercati e la stabilità interna del Paese destinato a durare mesi. Dopo aver lottato per conquistare la leadership, adesso Tsipras dovrà anche dimostrare di saper governare.

Grecia Mercatini e farmacie, la rete sociale
Così la sinistra radicale ha costruito un sistema di volontariato che crea consensidi Andrea Nicastro Corriere 24.1.15
ATENE «Scusi la penombra, ma non abbiamo pagato le bollette della luce. Manca anche il riscaldamento, quindi tenga pure il cappotto». Sulla credenza dove una volta c’era il servizio di porcellana e le bomboniere dei matrimoni ora sono allineate scatole di medicine. In cucina lo stesso, in bagno anche, farmaci ovunque, fin nel frigorifero rotto. «Per fortuna sono tante» sorride Dimitri Souliotis. «Questa è casa di mia cognata, ma ora lei vive con me e mia moglie e questa è diventata una farmacia per disoccupati, senza tetto e immigrati. Assistiamo anche tre italiani indigenti. È stato il Consolato a mandarceli». Le medicine sono in ordine alfabetico come in una farmacia vera, ma dentro le confezioni ci sono pastiglie e bustine sfuse, blister usati a metà. «Ormai qui in Grecia lo fanno tutti. Quando guarisci e qualche farmaco è avanzato, non lo lasci scadere nel cassetto, ma lo regali. Noi li raccogliamo e li distribuiamo».
Souliotis per trent’anni ha fatto il marconista sulle navi. Erano i tempi d’oro degli armatori greci, Onassis e non solo. Poi, in pensione con 1.250 euro al mese, è finalmente tornato ad Atene, in tempo per scarrocciare sotto la furia della Grande Crisi. «La pensione è affondata a poco più di 800 euro, ma comunque sto a galla. Gente più giovane e senza lavoro invece ha perso tutto: la casa che pagava col mutuo e l’assistenza sanitaria. In mare quando uno sta annegando lo si aiuta. Perché a terra dovevo far finta di non vedere?».
L’impegno sociale è una riscoperta per tutta Europa, ma in Grecia, la disoccupazione ha colpito selvaggiamente, ha cambiato la società e la politica. La Chiesa ortodossa ha attivato le chiese, una rete fittissima che riceve poche critiche e sfama ogni giorno almeno 200 mila persone. Anche la destra neonazi di Alba Dorata ha proposto il suo volontariato con ronde antimmigrati, «aiuti» per sfrattare gli stranieri morosi e mense sociali per soli greci purosangue. Chi ha azzeccato la formula è stata la sinistra di Syriza. «Non abbiamo messo il cappello su nessuna iniziativa e questo ci ha dato grande credibilità» dice Argiris Panagopoulos, una sorta di ambasciatore della sinistra greca in Italia. «La gente ha capito che non ci comportavamo come un partito qualsiasi, che noi eravamo come loro: la risposta della società ai nuovi bisogni».
Farmacie sociali, mense, reti di medici per visite gratuite, Syriza non è solo sfida al debito e all’euro, ma anche una sorta di Stato sociale sostitutivo di quello azzoppato dai tagli della Troika.
«Una delle idee migliori sono i mercatini senza intermediari — spiega Feano Fotiu responsabile della solidarietà di Syriza —. Guadagnano i contadini che non sono strozzati dalle catene dei supermercati e guadagnano i consumatori con prodotti di qualità a basso prezzo». Come nei gruppi d’acquisto a km0, solo che qui non si pensa al bio, ma a sopravvivere. Il 30% delle famiglie è sotto la soglia della povertà, i disoccupati 1,5 milioni, come i lavoratori e i pensionati. «Gli avversari ridevano di noi chiamandoci il “partito delle lenticchie”. Ma erano loro a non capire che contro la fame, un piatto di lenticchie è benvenuto soprattutto se onesto e disinteressato».
Per ordinare le merci, chiedere farmaci, vestiti, aiuto è necessario lasciare un numero di telefono, un indirizzo mail. In due anni di Grande crisi, Syriza ha costruito così un database che è diventato utilissimo per costruire anche una base politica. «Sono 400 i centri di solidarietà in tutto il Paese che in vario modo fanno parte del nostro network — spiega Fotiu — e così siamo riusciti a diffondere una consapevolezza diversa». Syriza è uscita dal «palazzo» per riportare la politica nell’agorà, in piazza. Organizza assemblee di quartiere dove cercare soluzioni ai problemi pratici, un ritorno etimologico alla politica. Così è nata, gramscianamente, l’egemonia di cui godono oggi le tesi del partito in Grecia. «La gente era paralizzata dal senso di colpa che gli era stato indotto dalla narrativa dominante della recessione. Il Nord Europa e la Destra ci descriveva come meridionali lazzaroni e corrotti, inferiori ai virtuosi tedeschi. I greci sentivano la responsabilità morale del fallimento nazionale fino a che Syriza non ha parlato del ruolo dei banchieri, del trucco dei prestiti che rendono schiavi, del neoliberismo rapace. E le teste si sono alzate».
Questo welfare solidale una volta lo si sarebbe chiamato «catena di trasmissione» tra partito e società, ma in Grecia si è dimostrato un antidoto per l’anti politica e la rassegnazione che dominano in tanta parte d’Europa. Futiu è certa: «Con farmaci e lenticchie Syriza ha distribuito anche l’idea che un partito diverso, più pulito e umano, possa meritare fiducia».


Tra le macerie dell’austerity
di Mariano Maugeri Il Sole 24.1.15
«I greci sono finora la specie d’uomini meglio riuscita. Più bella, più invidiata, più seduttrice verso la vita». Friedrich Nietzsche non era uomo incline ai complimenti.
E se oggi passeggiasse intorno piazza Omonia, l?ombelico di Atene, una spianata di cemento a semicerchio con gli studenti e i pensionati che si stiracchiano al sole, si pentirebbe amaramente di quelle parole. Di quella seduzione non è rimasta neppure la cenere. I volti dei greci sembrano maschere dolenti scavate nella cera. L?attesa, questa volta, non ha nulla di contemplativo. C?è un pezzo della generazione tra i quaranta e cinquant?anni che suo malgrado è il più convincente testimonial dello stato della Grecia e della periferia dell?Unione: capelli unti, pantaloni bucati e piedi che strisciano per tutto il giorno tra saracinesche di negozi sbarrate da anni e la ricerca di un pasto caldo tra le decine di mense dei poveri, dormitori pubblici, centri in cui si distribuiscono viveri, vestiti, coperte e beni di prima necessità, una sorta di mappa della crisi, che? vendetta del lessico? origina dal greco krisis, scelta. Sono i fantasmi di Maastricht, le vittime di un disegno politico seppellito prima che sbocciasse. Unione europea e thanatos. Antoniadis Christos esce a passo veloce da uno dei centri di assistenza del Pyreos e scarta come uno slalomista gli immigrati immobili come birilli con le mani in tasca.
Nella busta di plastica bianca porta un panino e una teglia monoporzione di alluminio sigillata: «Polpette e riso», dice anticipando la domanda. Fino al 2009 Antoniadios, 57 anni, era il rispettabile proprietario di un supermarket a Salonicco. Prima cala le saracinesche, poi la malasorte gli uccide la moglie. Racconta: «Cerco lavoro da cinque anni e ho solo collezionato porte in faccia. Domenica voto il partito comunista ma la colpa di questa situazione è tutta della corruzione e della politica».
Alexis Tsipras lo sa e maieuticamente giovedì sera in una piazza Omonia stracolma di bandiere faceva la levatrice della nuova Grecia sulle note di Bella Ciao: «Mani pulite, decisioni chiare e posizioni nette: Syriza è la grande sfida di cui ha bisogno l?Europa». Sembra un crudele gioco semantico, ma anche la parola Europa appartiene alla mitologia greca: era una principessa fenicia di cui s?innamorò follemente Giove, che si trasformò in un toro per rapirla e portarla a Creta. Nessuno, di questi tempi, sembra essere innamorato dei greci. Le parole sono codici sui quali l?Europa ha fondato la sua identità. Eppure la Atene contemporanea ha l?aspetto lugubre di una città intirizzita, sospesa, con un esercito di senza parole e senza qualcosa: casa, assistenza sanitaria, lavoro, cibo. Consci della drammaticità della situazione, un anno fa le Caritas italiana e greca si sono gemellate per far fronte all?emergenza sanitaria e umanitaria. Stanislao Stouraitis, studi di Teologia a Roma, è l?uomo che coordina gli aiuti per conto della Caritas: «In Grecia possiamo contare su 300 volontari, 150 dei quali ad Atene. Ma siamo pochi, le nuove povertà dilagano e reclamano mezzi ben più imponenti di quelli di cui disponiamo: questa dovrebbe essere la nuova terra dei missionari».
La Grecia come l?Africa e il Sud est asiatico. La pediatra Catherine Mourtzopoulou racconta della recrudescenza della tubercolosi, di casi montanti di malnutrizione infantile, di un?assistenza modellata solo su chi può pagarsi un?assicurazione sanitaria, di famiglie senza soldi per il gasolio da riscaldamento che dormono tra muri di casa tappezzati da colonie di muffe. Mentre lo Stato lesina la carta Aporias, la copertura sanitaria provvisoria? va rinnovata ogni anno? per chi è senza lavoro e i loro figli. Stouraitis chiude il cerchio con un dato che dovrebbe allarmare tutti, compresa l?onnipresente troika (Unione europea, Bce e Fmi): «In questo momento nel nostro Paese ci sono 450 mila bambini malnutriti». I clochard, invece, non si contano più. La sera, le strade del centro che si snodano ai piedi dell?acropoli illuminata a giorno, si trasformano nel ricovero di centinaia di senza tetto. Sotto i portici, a pochi metri da Monastiraki square, un uomo con le gambe già infilate nel sacco a pelo si pettina lentamente i capelli lunghi e brizzolati come se il dolore di quella condizione gli fosse assolutamente estraneo. Forse è per questo che i greci sono gli inventori della tragedia. Burzari Fnixos, camicia di jeans e sigaretta perennemente al labbro (la Grecia è un Paese di fortissimi fumatori), è il Caronte che con naturalezza traghetta i poveri nel labirinto dell?assistenza comunale. È lui che distribuisce 1500 coupon al mese, qui ribattezzati couponia, di cinque euro ciascuno con i quali si può comprare da mangiare nei supermercati. «Ne servirebbero 20, 30 mila, altro che 1500. Nella settimana della distribuzione dei buoni gli ateniesi si accalcano qui fuori già dalle sei del mattino».
Dal Pyreos al Metauxorio, una zona semicentrale in cui svetta una palazzina bianca di architettura simil razionalista con di fronte la nuova metropolitana inaugurata per le Olimpiadi del 2004, l?inizio della fine. Un gruppo di donne gitane con le sigarette tra le dita è seduta tra i gradini in attesa della distribuzione di un pezzo di pane e una bottiglia di latte. Da lontano arrivano padre e figlio mano nella mano. Il papà si chiama Giorgio Dais, una felpa nera macchiata di vernice con la scritta?graduate?. Dice: «Sono un piastrellista senza lavoro. L?edilizia qui è morta e sepolta insieme con tutto il resto. Cerco di racimolare un po? di farina e qualche barattolo di pomodori da portare a casa. Come viviamo? Noi sopravviviamo. Mia moglie, quando la chiamano, fa le pulizie».
Charalambos, il figlio tredicenne di Giorgio, una felpa gialla, gli occhiali rossi e il viso immobile, non si sogna di staccare le mani e lo sguardo da suo papà. L?Unione europea vista con gli occhi rassegnati di questo ragazzino ha qualcosa di raggelante. Solo una domanda lo distoglie dal silenzio e gli provoca un sorriso timido: «Da grande voglio fare l?astronauta». Forse per scappare a distanze siderali da questa Atene, da questa Grecia e da questa Europa.

E se Atene salvasse l’euro?
di Adriana Cerretelli Il Sole 24.1.15
E se un giorno, tra quattro o cinque anni, si scoprisse che alla fine è stata la Grecia a salvare l’euro, che la bestia nera del club dei ciechi virtuosi è riuscita a farli rinsavire?
Ed è riuscita a farli rinsavire, con un bagno nella realtà purificata da troppa dottrina ideologica, convertendoli alla logica di una governance flessibile e pragmatica?
L'interrogativo può suonare paradossale proprio quando nell?Eurozona riemerge la minaccia Grexit, cioè l'ipotesi che il paese possa presto essere messo alla porta, invitato a lasciare la moneta unica o provocato al punto di convincersi a farlo da solo. Può sembrare anche una provocazione e un po' lo è. Ma forse meno di quanto non appaia a prima vista.
Dopo sei anni di crisi che non passa, con l'Eurozona stremata da una crescita al lumicino regolarmente ridimensionata dalla varie previsioni internazionali, da una disoccupazione che investe 26 milioni di persone eguagliando la somma della popolazione di Belgio e Olanda, dalla deflazione con la caduta media dei prezzi dello 0,2% in dicembre per la prima volta dal 2009, dall'euroscetticismo che avanza dovunque minando la tenuta dei partiti tradizionali e la stabilità dei Governi.
Dopo questa lunga prova provata che la politica fin qui seguita ha abbattuto il deficit medio (2,3%) ma non il debito (95%) penalizzando comunque seriamente lo sviluppo, non è affatto escluso che proprio dalle imminenti elezioni ad Atene arrivi lo shock politico capace di imprimere una sterzata costruttiva alla governance europea, oggi in mezzo al guado.
La Grecia, che rappresenta il 2% del Pil euro e il 3% del suo debito, è stata il principio e al tempo stesso il paradigma della crisi diventata presto contagiosa perchè il paese si è trasformato nel laboratorio di una governance europea improvvisata, ideologizzata, devastante nei fatti e quindi insostenibile in termini politici, sociali ed economici.
La 'troika' ne ha applicato le direttive diventando l'incubo dell'Eurozona, il moloch anti-democratico da combattere e distruggere. I dati dicono che in 5 anni la Grecia ha perso il 25% del Pil, ha visto salire i disoccupati al 25%, i giovani al 55% insieme alla fuga massiccia di cervelli (150.000 persone). Però il debito, che doveva scendere, è schizzato dal 125 a quasi il 180%. «Nemmeno dopo la guerra avevamo vissuto una simile recessione» denuncia Dimitrios Papadimoulis, sinistra radicale, vicepresidente dell'Europarlamento.
Per questo di fatto è l'Europa il grande elettore di Syriza, l'Europa che ha sconfitto l'attuale Governo di centro-destra negandogli le concessioni che presto sarà costretto a fare al suo successore. Il partito di Alexis Tsipras, in testa ai sondaggi promettendo la fine dell'austerità e il rinegoziato sul debito, è il figlio naturale di questi errori molto più che la creatura riuscita di un abile populista. A riprova, tuttora quasi l'80% dei greci resta favorevole alla moneta unica.
Di fronte all'evidenza dei problemi scatenati più che risolti in Grecia, il primo riflesso di un'Eurozona sempre più dominata dalla cultura nordico- tedesca è stato lo stesso emerso all'inizio della crisi: scorciatoia Grexit.
Ma Grexit è molto più facile da dire che da fare: non trova basi legali nei Trattati Ue, quindi l'espulsione è impossibile se l'interessato non condivide. Peggio, provocherebbe un effetto domino molto simile a quello che in passato ha propagato il contagio ellenico in tutta l'Eurozona, scatenando un attacco speculativo in grande stile sul debito sovrano. E relativa destabilizzazione dell'euro, tuttora irrisolta.
Oggi, si ripete, il pericolo è più contenuto: le banche tedesche e francesi, allora sovra-esposte ad Atene, non corrono più grossi rischi. Il debito ellenico è più pubblico che privato. Però il potenziale di destabilizzazione politica dell'area è intatto, in parte inesplorato e per questo anche più insidioso.
I partiti euro-scettici, nazionalisti, populisti o comunque alla ricerca di un'altra Europa, proliferano nell'Unione. Quest'anno, tra regionali e nazionali, ci saranno elezioni in 7 paesi dell'euro su 19. In Spagna, Francia, Olanda i partiti anti-sistema sono in cima ai consensi popolari. Ma anche in Portogallo e Finlandia le contestazioni sono molto forti.
Grexit dunque farebbe subito volonterosi proseliti. E direbbe ai mercati che la moneta unica non è irreversibile, la politica del 'whatever il takes' del presidente della Bce, Mario Draghi, non è più credibile e il suo quantative easing vano. Isolando la Grecia invece di stemperarne i problemi con un negoziato europeo, si suonerebbe di fatto una nuova carica per la speculazione galvanizzata dal rischio-sfascio. Senza contare che un suo default costringerebbe i Governi dell'euro, che finora hanno puntellato il paese sborsando essenzialmente garanzie, a coprirle con denaro vero dei contribuenti.
Nasce da qui, dalla constatazione che dall'euro non si può tornare indietro a meno di non essere disposti, tutti senza eccezione, a pagare il salatissimo prezzo del disastro collettivo, la speranza di una svolta intelligente nella governance dell'Eurozona.
Il programma Juncker di investimenti da 315 miliardi di euro in 3 anni per rilanciare la crescita e, soprattutto, l'iniezione di flessibilità interpretativa nell'applicazione del patto di stabilità sono segnali concreti di realismo: non significano sconfessione ma ragionevole allentamento delle politiche di rigore, dosi più limitate e tempi più lunghi, per renderle sostenibili. E utilizzo degli 'sconti' per accelerare le riforme, cioè la modernizzazione dell'economia europea in perdita di competitività mondiale.
Significano invece che Francia e Italia, seconda e terza economia dell'euro, in marzo non saranno sanzionate per i loro ritardi. Evitando così una crisi politica dal potenziale ben più dirompente di quella greca.
Naturalmente per poter funzionare e scongiurare il peggio, l'implosione dell'euro, la nuova politica di Juncker ha bisogno della collaborazione di tutti gli attori della partita: sia della serietà dei Governi che devono fare riforme e risanamenti veri sia del senso di responsabilità di quelli che, a dispetto delle loro virtù, non riescono più a crescere quanto dovrebbero e quindi dovrebbero avere interesse a un'Europa più convergente, dinamica e risanata.
Nella nuova logica ispirata da due campioni di realismo come Juncker e Draghi e imposta da una realtà politica ed economica europea che non si può continuare a ignorare, le rivendicazioni greche andranno accolte quel tanto che basta a disinnescare una crisi che non conviene a nessuno. Per questo, dopo essere stata a lungo il problema, la Grecia potrebbe un giorno ritrovarsi attribuito un po' di merito per la soluzione dei troppi problemi dell'euro ancora aperti.

“Il Front National non ha paura di dire: Stiamo con Syriza”
Louis Aliot, compagno di Le Pen “Uniti contro il sistema economico”di Leonardo Martinelli La Stampa 24.1.15
Louis Aliot, classe 1969, è vicepresidente del Front National e compagno nella vita di Marine Le Pen. Non è un segreto per nessuno: è lui ad aver ideato la nuova politica del partito, quella del suo sdoganamento, la « dédiabolisation ». Un dottorato in diritto pubblico alle spalle (di ex rugbista), sempre impeccabile, mai sopra le righe, Aliot è una sorta di improbabile gentleman dell’estrema destra. Improbabile è anche la posizione sua e del partito in vista del voto greco.
È vero che appoggiate Syriza, la sinistra radicale?
«Certo. E sappiamo benissimo chi sono. Ma quando criticano il sistema economico europeo, questo ultraliberismo sotto gli occhi tutti, la pensiamo allo stesso modo. Anche quando attaccano la politica di austerità. Per lo stesso motivo apprezzo pure gli indignati spagnoli. Sono le uniche cose che abbiamo in comune ma io non sono come quelli di sinistra».
Cosa vuol dire?
«Noi non cadiamo nel settarismo della sinistra tradizionale, che non riconosce gli elementi positivi nei discorsi degli avversari. Loro dicono che sono Charlie quando uno la pensa esattamente come loro ma sono subito molto meno Charlie, se la pensi un po’ meno come loro».
A proposito, lei è Charlie?
«Non condivido assolutamente la linea editoriale di quel giornale e nella maggior parte dei casi trovo le loro vignette infami. Ma se significa difesa totale della libertà di espressione, io sono Charlie. In un paese democratico del XXI secolo si deve poter scrivere, dire e decidere tutto. Altrimenti si compie il primo passo verso il totalitarismo».
Ma in Grecia perché non appoggiate Alba dorata?
«Non abbiamo niente a che fare con quella gente lì».
Dopo gli attentati terroristici a Parigi, diversi osservatori politici, dicono che il Front National ha perso consensi, perché non ha voluto partecipare alla manifestazione di Parigi. È vero?
«Io ho manifestato a Perpignan, nella mia città. Temevamo che ci contestassero e invece non è successo nulla, anche perché mi sono guardato intorno e per strada fortunatamente non ho visto i politici ma il popolo, gli indignati. Davanti a me hanno insultato la delegazione di un sindacato, che ha tirato fuori le sue bandiere, accusata di voler sfruttare l’occasione. Loro sì li hanno contestati».
Ma perché non siete andati a manifestare a Parigi?
«Perché a organizzare quella marcia sono stati i socialisti. Hanno detto che non eravamo i benvenuti. E noi non ci siamo andati».
Altro passo falso del partito : il video fatto girare su Twitter da un vostro eurodeputato, Aymeric Chauprade, dove pronuncia affermazioni fortemente anti islamiche...
«Marine Le Pen lo ha esautorato da tutte le sue funzioni all’interno del Front National. E ha fatto benissimo, anche se poi personalmente sono d’accordo con il 90% di quel video».
Jean-Marie Le Pen ha preso le parti di Chauprade...
«Il problema di Jean-Marie Le Pen è che lui va contro tutti quelli che sono a favore di qualcosa ed è a favore quando tutti sono contro. È così per principio. Deve far vedere che è diverso. Meno male che ormai Marine è identificata come la vera leader di questo partito. Diciamo che lei preferirebbe che un padre l’appoggiasse in ogni circostanza. Ma questa è la vita. Non è facile».


Tutti in Grecia, per giocare una partita che ci riguarda 
Bella ciao. Il contributo della Brigata Kalimera alla festa greca di Syriza. E l'invasione delle sinistre di tutta Europa

Luciana Castellina, il Manifesto ATENE, 23.1.2015 

Qual­cuno ha detto iro­ni­ca­mente che in Gre­cia, per vivere assieme ai com­pa­gni di Syriza la vigi­lia e il giorno dei risul­tati, era­vamo venuti «per farci una canna». Inten­dendo che il viag­gio col­let­tivo doveva ser­vire a un momento di ebbrezza nel quale affo­gare le fru­stra­zioni della sini­stra ita­liana. Iden­ti­fi­carci, insomma, nel “papa stra­niero”, e dimen­ti­care l’Italia. 
Non nego che nell’indurci tutti a par­tire ci sia stato anche que­sto aspetto ludico. E però: per­ché no? Se una volta tanto qual­cuno a sini­stra vince, visto che nei nostri tempi più recenti non accade molto spesso, per­ché non farsi par­te­cipi della gioia dei vicini di casa? Tanto più un vicino come la Gre­cia, con cui per così tanti decenni abbiamo sem­pre dovuto soli­da­riz­zare per via di scia­gure: colpi di stato, dit­ta­ture, arre­sti, fuci­la­zioni… Final­mente veniamo qui per­ché ora invece vincono. 
In realtà la bri­gata Kali­mera – 230 per­sone regi­strate più 3 bam­bini per­ché alcuni sono venuti in for­mato fami­glia – più un impre­ci­sato numero di irre­go­lari che non hanno pro­fit­tato della straor­di­na­ria orga­niz­za­zione (dove si dorme, dove si man­gia, dove e quando tutti gli appun­ta­menti poli­tici, cen­trali e nelle peri­fe­rie, affi­dato dai mille e tanti fir­ma­tari dell’appello che ha lan­ciato l’iniziativa a Raf­faella Bolini-Arci, Roberto Morea-Transform Europa, Musac­chio, Torelli e altri di «L’Altra Europa») – è una com­po­stis­sima e seris­sima com­pa­gine. Li ho visti al primo appun­ta­mento dedi­cato a pro­gram­mare i pros­simi giorni e alle­stito nell’aula magna del glo­rioso Poli­tec­nico dove il 17 novem­bre 1973 la rivolta degli stu­denti, tanti orren­da­mente tru­ci­dati dalla poli­zia e dall’esercito, dette il colpo di gra­zia al regime dei colon­nelli. Par­te­ci­panti gio­va­nis­simi, di mezza età, anche vec­chi: dai 16 agli 80 anni, pro­ve­nienti da tutte le regioni d’Italia, quasi tutti elet­tori dell’Altra Europa e mili­tanti di quella vastis­sima area che in Ita­lia rap­pre­senta una nebu­losa fatta da par­titi e senza-partito, che cer­cano di farne uno nuovo e buono per tutti. (Pre­senti, natu­ral­mente, i lea­ders mas­simi degli uni e degli altri, Marco Revelli e Paolo Fer­rero, i neo ono­re­voli Cur­zio Mal­tese e Eleo­nora Forenza; Ven­dola, impe­gnato a Milano con Human Fac­tor, arriva dome­nica diret­ta­mente da Milano per assi­stere alla veglia dello scru­ti­nio). Pre­senti anche sin­da­ca­li­sti, movi­menti, per­sino i Socia­li­sti della Magna Gre­cia, cioè la Calabria. 
Tutti sono venuti per loro stessi e per i greci: l’ingresso di que­sto cor­poso cor­teo nella piazza del comi­zio di Tsi­pras gio­vedì sera, che ha tra­sci­nato tutti i pre­senti ad accom­pa­gnarsi al nostro Bella ciao, è stato un buon e bel con­tri­buto alla festa greca. Ha fatto emer­gere con chia­rezza che qui si gioca una par­tita che ci riguarda tutti: se Siryza riu­scirà a fare il governo potrebbe final­mente inne­scarsi una svolta nella poli­tica dell’Unione Euro­pea. La forza, la fer­mezza, e il rea­li­smo pro­po­si­tivo di Siryza hanno del resto già otte­nuto qual­cosa. Lo si è visto quando abbiamo saputo delle deci­sioni della Bce: una volta tanto la Mer­kel ha dovuto cedere qual­cosa, e la Gre­cia non è stata esclusa dal pro­getto varato dal ver­tice come avrebbe invece voluto. Non è molto, per­ché quel piano ha gran­dis­simi limiti e insi­die, ma è già un segnale che si può se non si dice sem­pre signor sì. Per­sino quando si è ancora all’opposizione. 
Que­sto lo ha capito bene l’intera sini­stra euro­pea che è infatti ben rap­pre­sen­tata qui ad Atene. Non con un eser­cito, come noi ita­liani, ma con le auto­re­voli lea­der­ship delle loro varie­gate for­ma­zioni di sini­stra. Ve le elenco tutte, così come sono indi­cate nel regi­stro, non credo del tutto com­pleto, che mi hanno pas­sato i com­pa­gni greci, con­tenti per que­sta inva­sione stra­niera ma anche un po’ sopraf­fatti come potete imma­gi­nare. Debbo dire che sono stati bra­vis­simi: ci hanno aperto le loro sedi, ci hanno pre­pa­rato incon­tri, e offerto affetto e rico­no­scenza.
Innan­zi­tutto gli spa­gnoli, i can­di­dati alla pros­sima vit­to­ria, e dun­que ad acco­glierci al pros­simo appun­ta­mento a Madrid. 
C’è Pablo Igle­sias, che come sapete Ale­xis Tsi­pras ha abbrac­ciato sul palco alla fine del comi­zio e insieme hanno gri­dato «Vin­ce­remo» fra il tri­pu­dio della folla. I com­pa­gni di Izquerda Unida, pre­senti copio­sa­mente, hanno storto un po’ il naso, ma si capi­sce che quello è stato un gesto sim­bo­lico che voleva sot­to­li­neare la novità. (Anche se evi­tare un fra­tri­ci­dio a sini­stra non sarà facile, e qual­che chia­ri­mento l’esclusione della parola «sini­stra» da parte di Pode­mos per paura – ci dicono ras­si­cu­ran­doci — di una iden­ti­fi­ca­zione con il Psoe lo sol­leva: dio­mio, la parola sini­stra in Spa­gna evoca cose diverse e glo­riose!). Poi la Fran­cia, natu­ral­mente col Pcf (pre­sente anche il segre­ta­rio Pierre Lau­rent), l’Unione de Gau­che, il Par­tito Verde, ma anche qual­che sin­daco del Par­tito socia­li­sta. E poi mili­tanti e depu­tati di: Blo­que de Izquerda dal Por­to­gallo; Socia­list Scot­tish Party e sin­da­ca­li­sti bri­tan­nici; Socia­list Party dell’Irlanda (un altro suc­cesso delle recenti ele­zioni euro­pee ); La sini­stra Unita della Slo­ve­nia; l’Alleanza Verde-Rossa danese; il Par­tito di Sini­stra della Sve­zia (anche il suo pre­si­dente); Gagne­mos Bar­ce­lona (la lista uni­ta­ria che per le ele­zioni muni­ci­pali Pode­mos e la locale sezione di Izquerda sono riu­sciti a for­mare). Senza dimen­ti­care espo­nenti della sini­stra turca. Non ho visto tede­schi, ma sono certa che devono esserci. E infine qual­cuno che è venuto da lon­tano, quasi tutti appar­te­nenti a for­ma­zioni cui hanno dato vita in Austra­lia, in Bra­sile e in Argen­tina i tanti emi­grati greci. 
Non si tratta di par­ti­tini. Non poche di que­ste for­ma­zioni hanno peso deter­mi­nante nei loro rispet­tivi paesi. Nella mia lunga vita ho assi­stito a mol­tis­sime riu­nioni della sini­stra euro­pea: que­sta volta però mi sem­bra che l’incontro sia meno for­male, già un passo avanti verso una comune idea di Europa.

Quelli che il Nazareno no
Human Factor. Alla prima delle tre giornate di discussioni e laboratori alla Permanente di Milano Nichi Vendola rilancia il "patto del Non Nazareno" proposto da Pippo Civati: "Tutte le forze che hanno a cuore la Costituzione, compreso il M5S, devono unirsi per impedire che Renzi e Berlusconi decidano il presidente". Oggi si prosegue con decine di laboratori e assemblee plenarie, domenica chiusura con una grande tavola rotonda cui partecipano tutti i rappresentanti di ciò che resta della sinistra italiana. Con lo sguardo rivolto ad Atene
Poi, “a mar­gine”, i gior­na­li­sti hanno fame di noti­zie più che di mas­simi sistemi e la poli­tica riprende il soprav­vento: entra Nichi Ven­dola, si capi­sce dalle tele­ca­mere. Aleg­gia il fan­ta­sma del Qui­ri­nale, e anche lui prova a volare alto: “Siamo pronti a costruire un nuovo fronte anti Naza­reno che includa anche il M5S, tutte le forze che amano la Costi­tu­zione e che con­si­de­rano quel patto una forma di inqui­na­mento della poli­tica hanno il dovere di con­ver­gere per impe­dire che que­sto delitto venga com­piuto”. Così il lea­der di Sel rac­co­glie la pro­po­sta di Pippo Civati: “Tutti coloro che stanno dicendo peste e corna del patto del Naza­reno dovreb­bero fare una pro­po­sta sul pre­si­dente della Repub­blica per­ché non sia espres­sione del Nazareno”.
L’ipotesi di uno scatto in avanti con­tro Renzi & B. è stata rispe­dita ai mit­tenti dal movi­mento di Grillo, ma si tratta pur sem­pre della prima mossa azzar­data di quel qual­cosa che si agita a sini­stra del Pd. Cos’è? Ecco l’interrogativo che mette i bri­vidi nel salone dove si affron­tano i nodi di tanti discorsi, e dove ci si com­muove quando sullo schermo com­pa­iono dei greci felici che can­tano la can­zone dei nostri par­ti­giani. La nostra lin­gua, ma in un altro mondo.
Anche per il “nar­ra­tore” la neces­sità di andare oltre è una prio­rità indi­scu­ti­bile: “Qui a Milano, noi di Sel, met­tendo a dispo­si­zione que­sta comu­nità, siamo dispo­ni­bili ad andare oltre que­sta comu­nità”. Tra­dotto: “C’è biso­gno di una sini­stra nuova, grande, popo­lare, inno­va­tiva, plu­rale che sap­pia sve­lare l’inganno del ren­zi­smo e di Renzi”. E Human Fac­tor dovrebbe essere il labo­ra­to­rio per un’altra poli­tica, “abbiamo biso­gno di uscire dalla poli­tica intesa come bat­tuta e pri­gio­niera dei talk show”. Della “cosa rossa” che non c’è — dopo la gior­nata di oggi fitta di labo­ra­tori cui par­te­ci­pano decine di rela­tori — se ne par­lerà dome­nica, con diversi inter­venti (Bolini, Castel­lina in video, Civati, Cuperlo, Fas­sina, Fer­rero, Fra­to­ianni, Revelli, Sara­sini, Pisa­pia, lo stesso Ven­dola e molti altri).
Una for­ma­zione quasi al com­pleto — manca solo Lan­dini, invierà una let­tera — anche se il nodo dello “Tsi­pras ita­liano” resta uno dei più com­pli­cati da scio­gliere. “Tsi­pras è una figura poli­tica — dice Ven­dola — è frutto di un lungo lavoro nel quale la poli­tica è in grado di supe­rare vec­chie sto­rie, vec­chie appar­te­nenze, vec­chie gelo­sie per fare qual­cosa di nuovo, come costruire gli ambu­la­tori, costruire mense, cioè pra­ti­che sociali alter­na­tive alle ferite della società dise­gnate dalla destra di mer­cato”. Vero. Dun­que? Sem­bra una replica all’ultima inter­vi­sta di Ste­fano Rodotà, lapi­da­rio come non mai: “Chi pensa di rico­struire un sog­getto di sini­stra social­mente inse­diato guar­dando a Sel, Rifon­da­zione, Alba e mino­ranza Pd sbaglia”.
Le parole di Rodotà lasciano il segno anche nella pla­tea della Per­ma­nente, eppure c’è un’aria friz­zante tra i mili­tanti di Sel. Forse è la sen­sa­zione (o l’illusione) che qual­cosa stia per acca­dere. Impos­si­bile rias­su­mere tutti gli inter­venti. Tocca ad Eli­sa­betta Pic­co­lotti rom­pere il ghiac­cio spie­gando le “ragioni” della con­fe­renza. Il suo è un invito a guar­dare la realtà con gli occhi di un extra­ter­re­stre per scan­da­liz­zarsi di nuovo con­tro le ingiu­sti­zie. “Riscri­viamo una nuova gram­ma­tica del vivere”, e le parole sono col­la­bo­ra­zione, con­di­vi­sione, soli­da­rietà, giu­sti­zia, dia­logo e uguaglianza.
Poi lo sguardo plana sulla sto­ria dell’uomo per guar­dare al futuro, è l’intervento del filo­sofo della scienza Telmo Pie­vani che sot­to­li­nea la cata­strofe in corso dovuta al “fat­tore umano”: l’homo sapiens distrugge l’ecosistema attra­verso un “modello di svi­luppo e un’economia pre­da­to­ria” che non fun­ziona più. Pie­vani accenna ai cam­bia­menti epo­cali in corso (le migra­zioni, la defau­na­zione) e accusa la poli­tica di non avere stru­menti ade­guati per inter­pre­tarli, “la scienza e la sini­stra dovreb­bero rico­min­ciare a par­larsi di più”.
Com­plesso anche l’intervento dell’economista Emi­liano Bran­cac­cio. Dice che la sini­stra è subal­terna “alla nar­ra­zione dei sog­getti domi­nanti”: sta ancora cele­brando i fasti della glo­ba­liz­za­zione quando “ci sono 800 misure pro­te­zio­ni­sti­che a livello mon­diale”. Cam­biano i para­digmi e non se ne accorge. Con la sua verve, il cri­tico Phi­lippe Dave­rio con­qui­sta la sala. Le parole sono: for­ma­zione, ricerca, cul­tura, “la Ger­ma­nia spende cin­que volte quello che spende l’Italia”. Scherza, dice che il Pil della Gre­cia è “solo il dop­pio di quello della pro­vin­cia di Vicenza”, dun­que “non sarà così dif­fi­cile sal­varla, ma è pre­oc­cu­pato per­ché “siamo di fronte a una scelta epo­cale”: teme una fuga euro­pei­sta xeno­foba da destra. Poi si esalta, “chi pos­siede la cul­tura con­trolla anche i mercati”.
Il pome­rig­gio è ancora lungo. I rela­tori arri­vano e aspet­tano il loro turno. Ven­dola li rin­gra­zia, li abbrac­cia. Nel frat­tempo, “a mar­gine”, deve par­lare di poli­tica. Per una volta, sem­bra quasi dispiaciuto.

Civati e Vendola contro l’asse Renzi-Berlusconi: “Per il Colle candidiamo un nome anti-Nazareno” Il Pd: “Nessuna spaccatura, il partito resta unito”
Il deputato della minoranza Pd e il leader di Sel aprono all’alleanza col M5S. Ma i Cinque Stelle: «Aspettiamo la rosa di nomi dal premier». E Guerini: «Non ci divideremo»La Stampa 24.1.15

1 commento:

Anonimo ha detto...

Uno stato sovrano con moneta sovrana stampandola proporzionalmente al PIL senza superarlo per evitare inflazione potrebbe benissimo vivere senza titoli di stato ne con la tasse poiché potrebbe perfettamente finanziare le imprese e partecipare sia ai profitti che agli eventuali perdite.Potrebbe coi profitti sovvenzionare la propria spesa pubblica a patto che sia sempre produttiva e non parassitaria senza ne stampare nuova carta moneta ne chiederla in prestito ne emettere tasse .Tutto ciò non lo vogliono fare per mantenere il sistema improduttivo e finanziario e la rendita del c.d debito pubblico