venerdì 23 gennaio 2015

L'iconologia della Torre di Babele

Giovanni Iudica: La casa del fondamento del cielo e della terra. La torre di Babele tra segno e forma, La Vita Felice, pp. 224, euro 20
Risvolto

Babilonia è diventata per noi un simbolo fuori dal tempo, dalle connotazioni di confusione e peccato, di stupore e meraviglia, tramandateci dalla Bibbia e dai classici. Ma cosa si nasconde in realtà dietro il mito? Come ha potuto una delle città più importanti dell’antichità trasformarsi in un’immagine così nefasta?
In questo viaggio nell’antica Mesopotamia, arricchito da un’affascinante e colorata galleria fotografica, Giovanni Iudica ci racconta la storia della città, delle sue straordinarie meraviglie – i Giardini Pensili, le Mura, la Torre di Babele – e delle incredibili conquiste culturali lasciate in eredità sia
a Oriente che a Occidente.
La nascita della prima codificazione organica di norme giuridiche nella storia del diritto (il Codice di Hammurabi), gli eserciti vittoriosi di Nabucodonosor II, la cattività dei popoli vinti, la schiavitù degli ebrei e la vendetta della Bibbia, la sovrana saggezza di Ciro il Grande, i trionfi di Alessandro Magno, la discesa dal cielo del dio supremo, nella notte di Capodanno, nel mese di Nisan, la vita fremente di umanità, di commerci, di ricchezza, di contraddizioni, di riti lussuriosi e crudeli, ma anche brulicante di uomini di cultura, di letterati, di scienziati, di magi, nella più grande megalopoli multietnica della Storia, prima della Roma imperiale, che si vantava di possedere ben due delle sette meraviglie del mondo: tutto questo accadde ai piedi della Casa del fondamento del cielo e della terra (É-temen-an-ki), più nota in Occidente come la mitica Torre di Babele. Il testo è completato da una ricca iconografia.

Una Torre per sfidare il cielo o per esaltare l’ingegno umano La tradizione biblica maledice Babilonia ed esalta la punizione divina, ma un saggio mostra come l’iconografia abbia preferito far trionfare il sogno dell’architetto Nimrud23 gen 2015 Libero MISKA RUGGERI
Bellezza e stupore. Confusione e peccato. Nella terra del paradiso terrestre, tra i due fiumi, all’alba della civiltà. Babilonia - la città, celebrata come «fondazione dell’eternità» dall’Enum a Elish, in cui tutto era sacro - e i suoi tesori, comprese due delle sette meraviglie del mondo antico. Le mura «alte come montagne», le otto porte urbiche, i lussureggianti Giardini Pensili voluti per la tradizione dalla regina assira Semiramide (figlia della dea siriana Derceto) e per la storia da Nabucodonosor II, ma inspiegabilmente ignorati da Erodoto, il Palazzo Sud di Nabucodonosor, l’Esagila (il tempio di Marduk, il re degli dei), la Via delle Processioni, i dodici giorni di celebrazione dell’Akitu, la festa del Nuovo Anno...
Ma soprattutto l’Etem enanki, la Torre di Babele iniziata da Hammurabi, semidistrutta da Sennacherib, restaurata da Nabopolassar e infine completata dal figlio sino ad arrivare a una costruzione gradata di sette piani a pianta quadrata (91 metri per lato) e alta circa 100 metri. Un mito, come il labirinto o il numero aureo. Entrato da protagonista assoluto nella religione (la Bibbia), nella narrativa (Borges), nella poesia (Szymborska), nell’arte, nella musica e nei film, simbolo a un tempo di genialità e di caos. Ben descritto, con taglio divulgativo, da Giovanni Iudica, giurista della Bocconi con passioni umanistiche, nel saggio La casa del fondamento del cielo e della terra ( La Vita Felice, pp. 224, euro 20), arricchito da un vasto apparato iconografico - carte geografiche, incisioni, illustrazioni, silografie - a cura di Giovanna Gallina e Stefania Seccareccia.
Certo, la tradizione biblica ci è andata giù pesante contro la città del distruttore del Tempio di Gerusalemme e quindi sede della cattività del popolo ebraico per 60 anni (dal 597 a.C. al 538 a.C.), fino all’arrivo del liberatore Ciro II il Grande: Babilonia sentina di ogni vizio, madre di prostitute e destinataria di terribili maledizioni («Sarà sconvolta da Dio come Sodoma e Gomorra. Non sarà abitata mai più, né popolata di generazione in generazione», scriveva il profeta jahvista Isaia; «È diventata covo di demoni, rifugio di ogni bestia impura e orrenda», gli farà eco Giovanni nell’Apocalisse). Ancora più tremendo l’odio per la Torre dell’architetto Nimrod (“Ribelle”), sino a trasformare la naturale difficoltà di comunicazione tra maestranze provenienti da ogni parte dell’impero babilonese in una micidiale punizione divina, di un dio vendicativo irato per la hybris di uomini tracotanti desiderosi di raggiungere il cielo e conquistare il potere delle stelle.
Ciononostante, nell’iconografia si trovano anche altre interpretazioni. In alcune delle più antiche rappresentazioni della Torre - dal bassorilievo romanico della sagrestia della Cattedrale di Salerno (circa 1050) al mosaico bizantino della Cappella Palatina di Palermo (1135), dalla miniatura del Libro d’Ore del duca di Bedford (1424-1430) al capolavoro (1563) di Pieter Bruegel il Vecchio - prevale l’attenzione per gli aspetti architettonici, sorta di campanili di stampo medievale o a forma elicoidale sull’esempio del minareto di Samarra; Dio è sì presente, ma si limita perlopiù a guardare l’operosità umana, non scaglia fulmini. Se in numerosi casi si intuisce il castigo imminente, con nubi oscure a solcare il cielo e muli e cammelli in fuga, all’apparire dei liberi pensatori del Settecento, all’epoca dei Lumi, accade il miracolo: la Torre è compiuta, gli uomini hanno vinto la loro battaglia e addirittura, in alcune incisioni, in cima alla Torre appare un’intera città, la Civitas Solis.
La vera Babilonia, invece, in lenta decadenza dalla morte di Alessandro Magno, distrutta dalle ondate islamiche, mongole e ottomane, riapparirà dalle sabbie del deserto solo ai primi dell’Ottocento grazie a Claudius Rich, console britannico a Baghdad. E i dati della vera Torre nel 1913, grazie all’architetto tedesco Robert Koldewey.

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