giovedì 29 gennaio 2015

Una storia del dibattito sul libero arbitrio

Libero arbitrio
Mario De Caro, Mas­simo Mori ed Emi­dio Spi­nelli: Libero arbitrio. Storia di una controversia filosofica, Carocci

Risvolto

Sulla questione del libero  filosofi, teologi e scienziati arbitrio si interrogano da più di due millenni: tuttavia essa conserva intatta tutta la sua problematicità. Già Kant sosteneva che la libertà, per quanto indispensabile sotto il profilo morale, non sia dimostrabile sul piano teorico. Nel volume il tema viene illustrato da studiosi di diversa formazione, intrecciando ricostruzione storica e analisi concettuale. I contributi mettono in luce le alternative teoriche e i nuclei tematici cruciali, emersi di volta in volta nei singoli autori o periodi, con l’obiettivo di chiarire il senso complessivo di un dibattito che occupa ancora una posizione centrale sulla scena della riflessione filosofica contemporanea.


L’azione ingannevole 
Intervista. Una conversazione con Mario De Caro, in occasione dell'uscita del libro «Libero arbitrio. Storia di una controversia filosofica»

Paolo Ercolani, il Giornale 29.1.2015 

Il libero arbi­trio è una di quelle que­stioni in grado di met­tere in evi­denza lo sta­tuto pro­prio della filo­so­fia, intesa come disci­plina che si inca­rica di riflet­tere con metodo su que­stioni che non pre­ve­dono porti defi­ni­tivi. Ma il cui viag­gio ter­ri­bile e avven­tu­roso per mari sem­pre aperti può fare chia­rezza sul per­corso di tutti noi.
Ne par­liamo con Mario De Caro, docente all’Università Roma Tre e alla Tufts Uni­ver­sity, già autore de Il Libero arbi­trio (Laterza 2011) e in que­sti giorni coau­tore, insieme a Mas­simo Mori ed Emi­dio Spi­nelli, di Libero arbi­trio. Sto­ria di una con­tro­ver­sia filo­so­fica, Carocci, pp. 392, euro 24). 

Secondo lei, è suf­fi­ciente affer­mare come faceva il filo­sofo Epit­teto nelle sue «Dia­tribe», che libero è chi vive come vuole, chi non può essere costretto né osta­co­lato né for­zato, i cui impulsi sono privi di impe­di­menti, i cui desi­deri rag­giun­gono il segno e le avver­sioni non incor­rono in ciò da cui rifug­gono?

Il buon Epit­teto dà una buona defi­ni­zione del libero arbi­trio ossia della capa­cità di auto­de­ter­mi­narsi deci­dendo di agire in un modo o nell’altro, quando ci si pre­sen­tano pos­si­bi­lità alter­na­tive di azione. Il libero arbi­trio è con­di­zione neces­sa­ria per­ché qual­cuno sia respon­sa­bile per ciò che fa: chi com­pia un’azione in stato ipno­tico, oppure per­ché non ha alter­na­tive o è obbli­gato, dun­que non può essere con­si­de­rato respon­sa­bile per quell’azione. Il pro­blema fon­da­men­tale, però, è che non è chiaro se il libero arbi­trio sia reale – e se dun­que sia cor­retta la nostra idea che noi siamo respon­sa­bili per molte delle azioni che compiamo. 


C’è poi la que­stione della meta­fi­sica. Se esi­ste un Dio onni­po­tente, o comun­que un ordine supe­riore, l’uomo può con­ser­vare una ragio­ne­vole libertà? Sant’Agostino pen­sava di sì, men­tre Lutero par­lava di un «servo arbi­trio»…

Dal punto di vista teo­lo­gico, la que­stione del libero arbi­trio è una delle più dibat­tute da mil­lenni. La ragione è che qua­lun­que posi­zione si prenda, nascono grandi pro­blemi. Se si nega il libero arbi­trio, ci si deve chie­dere per­ché Dio abbia creato gli esseri umani: molti di loro andranno all’inferno per l’eternità, vai a capire il per­ché. Ma anche chi sostiene il libero arbi­trio ha il pro­blema di spie­gare per­ché Dio non inter­venga a impe­dire che quel dono venga usato male o malis­simo. Per­ché Dio non ha fatto nulla per impe­dire l’Olocausto? Soste­nere, come fanno vari teo­logi, che Dio non può toglierci un dono che ci ha dato è del tutto insod­di­sfa­cente. Sarebbe come dire che un geni­tore non deve togliere al figlio la mazza da base­ball che gli ha rega­lato, pure se il par­golo la usa per pic­chiare gli amici. Insomma, la que­stione teo­lo­gica è com­pli­cata assai. Ma anche per chi abbia una visione laica del mondo, il pro­blema del libero arbi­trio è una delle que­stioni filo­so­fi­che più complesse. 


Per buona parte del Nove­cento la que­stione del libero arbi­trio ha susci­tato scarso inte­resse in ambito filo­so­fico. Come se lo spiega?

Ciò è acca­duto per varie ragioni. Innan­zi­tutto, la mag­gior parte delle espe­rienze filo­so­fi­che del Nove­cento ha rifiu­tato la meta­fi­sica tra­di­zio­nale nel suo com­plesso, com­preso il pro­blema del libero arbi­trio, che è stato cen­trale nella meta­fi­sica tra­di­zio­nale (si pensi a Tom­maso d’Aquino, Car­te­sio, Hume, Leib­niz o Kant). Molto impor­tante è stata poi la cosid­detta «svolta lin­gui­stica» che nel Nove­cento ha attri­buto cen­tra­lità filo­so­fica al lin­guag­gio (si pensi a Witt­gen­stein, alla filo­so­fia ana­li­tica, a Hei­deg­ger, alla semio­tica). In quella pro­spet­tiva, que­stioni come il rap­porto linguaggio-mondo o linguaggio-verità pre­sero il soprav­vento sui clas­sici temi «onto­lo­gici», come la que­stione del libero arbitrio. 


I risul­tati più impor­tanti, negli ultimi anni, sono arri­vati dalla psi­co­lo­gia cogni­tiva e dalle neu­ro­scienze. Gli espe­ri­menti di Libet, neu­ro­fi­sio­logo di Stan­ford, ci dicono che l’atto di volontà ha comun­que delle cause incon­sce, e quindi non si può mai par­lare pro­pria­mente di libertà.

Gli espe­ri­menti di Libet sono assai popo­lari e molti (soprat­tutto scien­ziati in pen­sione) pen­sano che mostrino che il libero arbi­trio sia un’illusione. Ma non è così. Que­sti espe­ri­menti iden­ti­fi­cano la deci­sione da parte del sog­getto con il momento in cui il sog­getto stesso avverte l’impulso ad agire.

In realtà, però, il darsi di un impulso non è né con­di­zione neces­sa­ria né con­di­zione suf­fi­ciente di un’azione libera. Non è con­di­zione neces­sa­ria (e dun­que pos­sono esserci azioni volon­ta­rie senza l’impulso a com­pierle) per­ché spesso quando com­piamo volon­ta­ria­mente un’azione non avver­tiamo alcun impulso a com­pierla: si pensi a quando, gui­dando, ster­ziamo per cur­vare o a quando, man­giando por­tiamo una posata verso la bocca o, ancora, a quando pro­nun­ciamo inten­zio­nal­mente una frase durante una nor­male con­ver­sa­zione. Inol­tre, la pre­senza dell’impulso ad agire non è nem­meno con­di­zione suf­fi­ciente per agire volon­ta­ria­mente: spesso, un tale impulso pre­cede azioni non volon­ta­rie, come quando ci viene da star­nu­tire o sba­di­gliamo di fronte a un inter­lo­cu­tore poco bril­lante. Insomma: que­sti espe­ri­menti non par­lano vera­mente di azioni libere. 

Sarà quindi la filo­so­fia oppure la scienza (o magari lo faranno insieme) a diri­mere la seco­lare que­stione dell’esistenza di un libero arbi­trio per l’uomo? Ammesso che si possa diri­mere…

Ben detto: ammesso che la que­stione del libero arbi­trio si possa diri­mere! Per­so­nal­mente, non credo che le que­stioni filo­so­fi­che genuine pos­sano rice­vere una rispo­sta come quella che si dà a un pro­blema scien­ti­fico o, meno ancora, a un pro­blema mate­ma­tico.

Non­di­meno la discus­sione sul tema del libero arbi­trio può cer­ta­mente pro­gre­dire, come è già acca­duto nel corso dei secoli. Oggi su que­sto tema abbiamo le idee molto più chiare di quanto non le aves­sero Epi­curo e gli stoici, San Tom­maso e Car­te­sio, Leib­niz, Hume e Kant. Quel che è sicuro è che, con­ti­nuare a pro­gre­dire nella nostra com­pren­sione della que­stione, dob­biamo attin­gere sia alla filo­so­fia sia alla scienza. Cosa che, pur­troppo, non suc­cede abba­stanza spesso.

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