Tra le tante conseguenze della globalizzazione, una delle rivoluzioni a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni è quella religiosa: a causa soprattutto dei flussi migratori, che ogni anno spostano intere comunità da una parte all'altra del pianeta, per la prima volta tradizioni spirituali diverse, che sono nate e hanno prosperato a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, stanno entrando in contatto. Oggi, nelle periferie delle metropoli d'Occidente, cristiani, musulmani ed ebrei, ma anche buddhisti, indù e sikh abitano fianco a fianco, fanno la spesa negli stessi negozi, vanno a lavoro percorrendo le stesse strade. Culture e sensibilità religiose che per secoli hanno saputo poco o nulla le une delle altre - o, peggio ancora, le hanno immaginate in maniera distorta, ostile - si trovano d'improvviso a dover convivere. Ma che significa "convivere"? Secondo John Hick, eminente teologo e libero pensatore, si può fare molto di più che semplicemente "tollerare il diverso". Lontano da facili panteismi new age e profetico nelle sue intuizioni, Hick è il primo a sostenere - in questo libro che attirò l'anatema del cardinale Ratzinger, allora a capo del Sant'Uffizio - che tutte le religioni potrebbero venerare la stessa divinità, che si sarebbe rivelata a ciascun ramo dell'albero umano in modo diverso, usando linguaggi diversi in base alle caratteristiche dei differenti popoli. È possibile, in altre parole, che nella storia Dio si sia presentato molte volte, con molti nomi?
mercoledì 28 gennaio 2015
Una teologia universalistica
Risvolto
Tra le tante conseguenze della globalizzazione, una delle rivoluzioni a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni è quella religiosa: a causa soprattutto dei flussi migratori, che ogni anno spostano intere comunità da una parte all'altra del pianeta, per la prima volta tradizioni spirituali diverse, che sono nate e hanno prosperato a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, stanno entrando in contatto. Oggi, nelle periferie delle metropoli d'Occidente, cristiani, musulmani ed ebrei, ma anche buddhisti, indù e sikh abitano fianco a fianco, fanno la spesa negli stessi negozi, vanno a lavoro percorrendo le stesse strade. Culture e sensibilità religiose che per secoli hanno saputo poco o nulla le une delle altre - o, peggio ancora, le hanno immaginate in maniera distorta, ostile - si trovano d'improvviso a dover convivere. Ma che significa "convivere"? Secondo John Hick, eminente teologo e libero pensatore, si può fare molto di più che semplicemente "tollerare il diverso". Lontano da facili panteismi new age e profetico nelle sue intuizioni, Hick è il primo a sostenere - in questo libro che attirò l'anatema del cardinale Ratzinger, allora a capo del Sant'Uffizio - che tutte le religioni potrebbero venerare la stessa divinità, che si sarebbe rivelata a ciascun ramo dell'albero umano in modo diverso, usando linguaggi diversi in base alle caratteristiche dei differenti popoli. È possibile, in altre parole, che nella storia Dio si sia presentato molte volte, con molti nomi?
Tra le tante conseguenze della globalizzazione, una delle rivoluzioni a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni è quella religiosa: a causa soprattutto dei flussi migratori, che ogni anno spostano intere comunità da una parte all'altra del pianeta, per la prima volta tradizioni spirituali diverse, che sono nate e hanno prosperato a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, stanno entrando in contatto. Oggi, nelle periferie delle metropoli d'Occidente, cristiani, musulmani ed ebrei, ma anche buddhisti, indù e sikh abitano fianco a fianco, fanno la spesa negli stessi negozi, vanno a lavoro percorrendo le stesse strade. Culture e sensibilità religiose che per secoli hanno saputo poco o nulla le une delle altre - o, peggio ancora, le hanno immaginate in maniera distorta, ostile - si trovano d'improvviso a dover convivere. Ma che significa "convivere"? Secondo John Hick, eminente teologo e libero pensatore, si può fare molto di più che semplicemente "tollerare il diverso". Lontano da facili panteismi new age e profetico nelle sue intuizioni, Hick è il primo a sostenere - in questo libro che attirò l'anatema del cardinale Ratzinger, allora a capo del Sant'Uffizio - che tutte le religioni potrebbero venerare la stessa divinità, che si sarebbe rivelata a ciascun ramo dell'albero umano in modo diverso, usando linguaggi diversi in base alle caratteristiche dei differenti popoli. È possibile, in altre parole, che nella storia Dio si sia presentato molte volte, con molti nomi?
Per John Hick l’unico dio ha molti nomi
di Massimo Nava Corriere 28.1.15
In
tempi di profeti di sventure e previsioni dello scontro di civiltà,
giunge a proposito il saggio di John Hick Dio ha molti nomi (Fazi, pp.
139, e 17,50), il grande teologo inglese, noto anche per posizioni
controcorrente che suscitarono aspre critiche nelle gerarchie. È un
libro profondo, ma di facile lettura, come se soluzioni a problemi
immensi fossero alla portata di tutti, una volta sgombrato il campo
dall’ignoranza, dal pregiudizio, dal fanatismo ideologico. Ed è un libro
che andrebbe adottato nelle scuole e nei luoghi di preghiera di ogni
confessione, soprattutto dopo la tragedia di Parigi.
Hick parte dalla
constatazione che la realtà è cambiata, anche se molti fingono di non
vedere o sognano impossibili ritorni al passato. La globalizzazione
economica, l’immigrazione, l’integrazione europea e americana hanno
messo a stretto contatto culture, esperienze spirituali e pratiche
religiose che un tempo rimanevano distanti, circoscritte al proprio
ambito d’influenza. Oggi bambini di ogni razza e convinzione frequentano
le stesse scuole, vivono negli stessi quartieri e i loro genitori fanno
la spesa negli stessi negozi. Religioni poco conosciute, a volte minate
da ostilità reciproca e pregiudizio, si trovano a convivere,
mescolandosi al dibattito sulle radici della società, sull’identità
collettiva, sulla diversità. Dibattito senza via d’uscita, che alza la
soglia dell’intolleranza ogni volta che le possibilità di confronto
vengono ridotte o azzerate da fatti criminali, episodi di terrorismo,
cronache dell’«invasione». E ogni volta che una provocazione
intellettuale (è il caso del libro di Houellebecq) raggiunge più la
pancia che il cervello dei lettori.
Fortemente influenzato dalla
filosofia kantiana, Hick sostiene che sia possibile e auspicabile andare
oltre la tolleranza e il dialogo fra le diverse fedi, per cogliere il
senso ultimo di un’esperienza spirituale comune che superi millenni di
dogmi. Allo stesso modo in cui l’universalità dei diritti umani dovrebbe
conciliare culture e sistemi diversi, la teologia universale di Hick
non pretende di annullare le diversità, bensì di togliere di mezzo le
pretese superiorità di una religione sull’altra. A ben vedere — secondo
Hick — dovrebbe sembrare assurdo che il Dio «signore e creatore di tutte
le cose» non sia lo stesso per tutti, al di là delle tradizioni diverse
nel corso dei secoli. Così come dovrebbe suonare assurdo — anche per i
cristiani — che l’unico Dio abbia poi favorito una sorta di gerarchia
dell’umanità, per cui alcuni miliardi di fedeli sarebbero esclusi dal
paradiso. Hick ricorda il Concilio di Firenze del 1438, in cui si
sostenne che «né pagani, né ebrei, né eretici o scismatici
parteciperanno alla vita eterna, ma andranno al fuoco eterno».
Da
allora, la Chiesa ha fatto passi giganteschi verso il dialogo
interreligioso, ma l’ultimo passo, quello decisivo secondo Hick, è una
reinterpretazione delle Scritture in chiave moderna, distinguendo fra
valori etici del messaggio e sovrastrutture della tradizione. Un cammino
immenso, che dovrebbe essere percorso anche dalle altre religioni, in
grado di riconciliare gli uomini con la fede propria e degli altri, con
la scienza e la tecnica, con l’insegnamento dei grandi maestri
dell’umanità: Gesù, Maometto, Buddha, Mosè e i profeti.
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