lunedì 2 febbraio 2015

500 anni di Aldo Manuzio


Manuzio, il "papà" del corsivo e del punto e virgola
Avvenire 5 febbraio 2015

I 500 anni di ManuzioAldo, inimitabile editore di mondo moriva, credeva nei buoni libridi Nicola Gardini il Sole Domenica 1.2.15

Il prossimo 6 febbraio ricorre il quinto centenario della morte di Aldo Manuzio, uno dei più grandi editori di tutti i tempi. Alla sua grandezza contribuisce già la cronologia. Quando, infatti, sul finire del Quattrocento, Aldo comincia a mandar fuori libri, la stampa è ancora invenzione fresca. Ma, se il tempismo può essere un’abilità, non è di per sé un merito. Il merito di Aldo è stato questo: darsi un programma educativo e perseguirlo attraverso la produzione di libri, con fede, fiuto e abilità artistica, mettendoci dentro tutto se stesso e tutte le sue risorse. Cercò professatamente di innalzare l’umanità. Creò un mercato di lettori colti.

Era nato a Bassiano (nell’odierna provincia di Latina), nel 1449. Si educò negli ambienti romani, istruì il principe di Carpi, suo ideale uomo di cultura e continuo punto di riferimento, ed elesse Venezia a sede della sua impresa. Lì stesso concluse la sua vita. Formatosi come maestro o, secondo Carlo Dionisotti, «professore di scuola media» (e non, si badi, come professore universitario), arrivò all’editoria già adulto. Tra le sue pubblicazioni più rappresentative non a caso compaiono una grammatica latina e una greca, opere di Aldo stesso; gli Erotemata di Lascaris, altro testo grammaticale; e anche un trattato linguistico come l’ Orthographia di Giovanni Tortelli, il creatore della Biblioteca Vaticana.
Nell’arco di un ventennio Aldo produsse un centinaio di edizioni, molte delle quali rimangono capisaldi nella storia della filologia e della stampa. Era partito con l’idea di diffondere, in un’Italia dominata dal latino, la conoscenza della letteratura greca, che del latino era la fonte. Ecco, dunque, per cominciare, il monumentale Aristotele, ecco l’Aristofane. Ma ecco anche, nel 1499, uscire come nel giro di una notte un’isola dalle profondità dell’oceano l’Hypnetomachia Poliphili, ovvero un testo «volgare», con l’edizione del quale Aldo non solo offre a un largo pubblico uno straordinario, meraviglioso libro (un protoromanzo architettonico linguisticamente spericolato, che non è troppo oggi considerare una summa dell’umanesimo italiano), ma anche dà trionfale avvio alla tradizione del libro illustrato. Nella vetrina celebrativa che la Bodleian Library dell’Università di Oxford, dove sto scrivendo, ha allestito in questi giorni l’edizione dell’Hypnerotomachia ovviamente fa la parte del leone: la pagina su cui è aperto il volume mostra un elefantino che poggia su un basamento e sorregge sul dorso un obelisco. Un’immagine di altrettanto splendida foggia – il ritratto dell’autrice – distingue anche l’edizione di poco successiva di un’altra opera volgare, le epistole di santa Caterina da Siena, pure loro in bella mostra nella vetrina oxoniense, con alcuni altri gioielli minori, trascelti tra le decine di esemplari che la Bodleian Library acquisì in specie nel corso dell’Ottocento.
A un certo punto compaiono nel catalogo di Aldo anche Petrarca e Dante, due presenze tutt’altro che scontate, visti i presupposti iniziali; e pure i tanto evitati latini: Virgilio, Catullo e diversi altri, tra i quali giganteggia lo scomodo – dato il cristianesimo di Aldo – ma ineludibile Lucrezio. I greci, però, restano la passione di Aldo. Da non dimenticare, oltre all’Aristotele, il Platone. Ma anche la storia è rappresentata, con Tucidide. Compare, sì, pure qualche storico latino, Cesare, per esempio, ma non Livio, non Tacito. E si aggiungono anche le cose migliori del momento: le opere del rimpiantissimo Poliziano, l’Arcadia di Sannazaro, i carmi latini di Pontano, gli Asolani di Bembo. E gli Adagia di Erasmo!
Ho accennato all’introduzione delle immagini. Non vanno passate sotto silenzio altre due fondamentali scoperte tecniche di Aldo: il carattere corsivo, ideato dall’orefice Cesare Griffo (con il quale, poi, sarebbe nata una disputa sulla proprietà dell’idea) e – fisiologica derivazione di quello – il libro tascabile, il «libellus portatilis», come lo chiamava Aldo con termine latino non certo ciceroniano, ispirato da certi manoscritti della biblioteca di Bernardo Bembo, e utilizzato dapprincipio per la poesia e poi esteso anche alla prosa. In verità, ci sarebbe da ricordare e celebrare almeno un altro carattere, il «bembo», pure questo messo a punto dal portentoso Griffo (inventore anche di caratteri greci), cosiddetto perché introdotto per l’edizione del poemetto latino De Aetna del giovane Pietro Bembo: un carattere che avrà tanta fortuna nel corso dei secoli, anche attraverso le imitazioni, e che continua, specie in America, a simboleggiare eleganza e poesia.
Le bellezze dell’editoria aldina non si finirebbero di elencare, a cominciare dal suo marchio, un delfino avvolto intorno a un’ancora, desunto da una moneta romana. Nell’occasione di questo cinquecentenario, però, ritengo che occorra soprattutto riflettere sull’esempio intellettuale di Aldo: un esempio illustre che in tempi così tenebrosi per l’editoria come i nostri (e penso in particolare alla situazione italiana) insegna che non esiste editoria felice, neanche commercialmente, se l’editore non ha un piano pedagogico da perseguire. Aldo lo aveva, e lo portava avanti per mezzo di collaboratori eccellenti, una vera e propria accademia spirituale (non universitaria, torno a mettere la negazione davanti a quell’aggettivo), pubblicando ciò che secondo lui serviva, con l’evidente volontà di allargare la cerchia dei lettori, ma senza la disperata vocazione di consegnare i suoi sogni a un’indefinita maggioranza. E non si dica, per favore, che quelli erano tempi migliori, che quello era il Rinascimento e tutto si poteva. L’opera di Aldo è intrisa di malinconia e di ansia, come le sue prefazioni dichiarano (chi le volesse leggere tutte insieme si rivolga alla spettacolare raccolta del Polifilo, Aldo Manuzio editore). Concorrenti e nemici personali a parte, che non poco amareggiano in qualunque stagione, Aldo sapeva che l’Italia, la stessa Venezia, stavano andando in pezzi, che la libertà e la pace erano minacciate e rimedio non ci sarebbe stato: che qualcosa, davvero, stava finendo per la malvagità degli uomini. Si veda in particolare la prefazione al Lascaris, del 1495: un augurio che è un epicedio. Per questo, perché il 

Il bel carattere Dal Rinascimento al mondo digitale
Cinquecento anni fa moriva a Venezia Aldo Manuzio il tipografo che usò le rivoluzionarie lettere in corsivo e inventò l’antenato del libro tascabiledi Marco Belpoliti La Stampa 12.5.15
Cinquecento anni fa moriva a Venezia Aldo Manuzio, l’uomo che ha decretato con il suo genio tipografico e commerciale lo stile delle parole che ancora leggiamo ogni giorno. Come racconta, S. H. Steinberg nel suo classico Cinque secoli di stampa (Einaudi), Manuzio fu prima di tutto abile e fortunato nello scegliere il punzonista che incise i suoi caratteri, il bolognese Francesco Griffo, che gli fornì una nuova serie basata sulla scrittura cancelleresca corsiva in uso nella cancelleria papale, adottata dagli umanisti per i loro scritti non ufficiali. Quella che oggi conosciamo come «corsivo» funzionò perfettamente quale complemento ideale del tondo ufficiale.
Griffo incise anche varie serie in tondo, a prima fu usata per il De Aetna di Pietro Bembo nel 1495, la terza per la Hypnerotomachia Poliphili, quattro anni dopo, uno dei più bei libri di tutti i tempi. Manuzio, da uomo pratico qual era, non fu attratto solo dalla bellezza del carattere di Griffo per le sue collane popolari – inventò i libri tascabili –, ma dal fatto che essendo stretto e condensato permetteva un utilizzo più economico della zona destinata alla stampa: perfetto per i suoi fini commerciali. Dietro alla competenza di Griffo c’era la sua esperienza di calligrafo e anche la conoscenza dei caratteri del tempo; per il disegno della maiuscole romane s’ispirò all’Alberti e al Pacioli.
Il Rinascimento diventò così un modo di pensare attraverso la scrittura, dal momento che le lettere modellano la nostra visione del mondo. Oggi, quali sono gli eredi del grande stampatore veneziano? Nel 1965 è stato introdotto un nuovo concetto rivoluzionario nella composizione, Digiset, a opera dell’ingegnere Rudolf Hell. Le matrici, precedentemente distribuite sul mercato con lettere incise, non esistevano più; erano costituite da un certo numero di impulsi conservati in una memoria elettronica, così da apparire con estrema rapidità, in qualsiasi istante, e nella grandezza voluta, su un tubo elettronico e da lì essere fotografate, come spiega Vilmo Rossi nel suo esaustivo Lettering (Pazzini Editore). Nel 1975 è apparso Demos il carattere disegnato da Gerard Unger, graphic designer olandese nato nel 1943, uno dei primi della nuova generazione digitale, realizzato appositamente per Digiset. Demos ha le forme robuste, un chiaroscuro assai ridotto, e si differenzia poco tra parti spesse e parti sottili, con gli angoli arrotondati, così da renderlo leggibile e sottile. Dato che la scrittura si stava spostando sempre più verso i visori dei computer, Matthew Carter studiò per la Microsoft Georgia e Verdana dietro suggerimento di Tom Rickner, esperto di software per caratteri, «erede» del punzonatore Griffo. La famiglia dei caratteri Verdana ha una struttura diversa dai caratteri per la stampa tipografica e quelli tracciati a mano: sono strutturati attraverso griglie di pixel. Oggi al posto dello stampatore veneziano ci sono multinazionali come Adobe System, che ha sede in California, la nuova patria dei software di lettura.
Nata nel 1982 con lo scopo di sviluppare il linguaggio PostScript, Adobe è nei nostri computer. Carol Twolbly, calligrafa americana e type designer, nata nel 1959, ha lavorato per Adobe: un «punzonatore» donna finalmente, in un mestiere, la tipografia, dominato per secoli dagli uomini. Lei ha disegnato Myriad, «uno dei più versatili e famosi San Serif odierni». Ora si parla di «pacchetto di caratteri». Un esempio è Lucida del 1985 opera di Charles Bigelow e Kris Holmes, capostipite dei caratteri destinati alle stampanti laser. Da Venezia e dall’Italia la tipografia elettronica si è spostata in America.
Sarebbe piaciuta ad Aldo Manuzio Emigre, la società di distribuzione di caratteri fondata negli anni Ottanta a Berkeley? Penso di sì, se non altro per la loro forza d’innovazione. Rudy VanderLans e Zuzana Licko, i due creatori del marchio, hanno aperto una delle prime fonderie indipendenti e si sono concentrati sui caratteri digitali. La loro rivista, Emigre Magazine, che ha avuto una grande influenza sulla grafica degli anni Novanta, luogo di sperimentazione dei giovani type designer, fucina di grafica innovativa per 69 numeri. Il computer ha permesso alla grafica di prosperare e di diventare un elemento importante nella trasformazione del mondo visivo. Forse non ha reso ricchi i disegnatori di caratteri, ma certamente ha collegato il mondo del computer alla cultura visiva del passato, rimettendo in circolazione immagini di lettere e disegni di forme, ibridando il mondo dell’arte contemporanea con quello dell’arte classica, romana in particolare.
Il digitale ha riciclato tutto quello che meticolosi punzonatori e type designer rinascimentali avevano inventato e sperimentato nelle loro botteghe. Tra tutti gli strumenti nelle mani dei giovani ex studenti californiani quello che si è rivelato il più adatto al cambiamento è stato il Mac. Nel 1984 VandeLans, nato a L’Aia, neolaureato in fotografia al College of Environmental Design, e Licko, di Bratislava, studentessa a Berkeley, acquistano insieme il loro primo computer della Apple, e cominciato la loro avventura. Nuovo Mondo e Vecchio Mondo insieme, tutti a guardare vecchie aldine, a sbirciare antiche lapidi romane o a fissare a testa in su la Colonna che dal 113 dopo Cristo in Roma ci trasmette silenziosa la forma elegante delle lettere. 

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