lunedì 2 febbraio 2015
Una storia del CNR
Lucio Bianco: La ricerca e il Belpaese. La storia del Cnr raccontata da un protagonista. Conversazione con Pietro Greco. Prefazione di Raffaella Simili. Postfazione di Luciano Canfora, Donzelli editore, Roma, pagg. 150, € 18,50
Risvolto
La storia del più grande ente scientifico italiano, il Consiglio
nazionale delle ricerche (Cnr), viene narrata e interpretata in queste
pagine da uno dei suoi protagonisti, Lucio Bianco. È una storia lunga
novant’anni che non guarda al passato, ma al futuro: i caratteri
fondanti del Cnr – ricerca d’avanguardia, proiezione internazionale,
interdisciplinarità –, infatti, sono tuttora attuali e forse, come
scrive Raffaella Simili nella sua prefazione, a novant’anni si può
ancora sognare. Il volume, snello e intenso, svela alcuni dei motivi di
fondo che ostacolano l’ingresso dell’Italia nella «società della
conoscenza» e stanno determinando il declino, economico e non solo, del
nostro paese. Questo libro racconta anche un pezzo importante di storia
della cultura italiana. E, soprattutto, di storia del rapporto tra
scienza e politica, che in Italia è stato spesso burrascoso, fino a
diventare conflittuale in due momenti precisi: quando il governo
Mussolini, negli anni venti del secolo scorso, mandò via il fondatore e
presidente del Cnr, Vito Volterra, e quando, nei primi anni di questo
secolo, il governo Berlusconi cercò di mandare via il presidente del
Cnr, Lucio Bianco. Le vicende sono ovviamente molto diverse tra loro.
Tuttavia, in entrambi i casi, i due uomini di scienza sono usciti di
scena con grande dignità, lanciando un messaggio di speranza: la scienza
italiana non è disposta a subire l’arroganza gratuita del potere
politico.
La storia del Cnr Vita dura per la scienza
Le
vicende del nostro ente di ricerca dal 1923 a oggi: un emblema di
scarsa lungimiranza politica con l’eccezione del ministro Ruberti
di Umberto Bottazzini il Sole Domenica 1.2.15
Per
chi ha a cuore le sorti della ricerca scientifica e il suo ruolo per lo
sviluppo del nostro paese, è illuminante la lettura di La ricerca e il
Belpaese, un lunga intervista in cui Lucio Bianco, ex-presidente del
Cnr, ripercorre la storia del principale ente di ricerca italiano dalle
sue origini nell’immediato primo dopoguerra fino a oggi. Una storia
emblematica dei rapporti tra scienza e politica.
Il Consiglio
Nazionale delle Ricerche nasce nel 1923 per iniziativa di Vito Volterra,
il grande matematico e senatore del Regno che rappresenta l’Italia nel
comitato esecutivo del Consiglio Internazionale delle Ricerche, cui
aderiscono gli scienziati dei paesi alleati, usciti vincitori dalla
guerra. Già nel 1918 Volterra - che si era arruolato volontario (all’età
di 55 anni!) - aveva trasformato l’Ufficio invenzioni, di cui era
direttore, da struttura di carattere militare a Ufficio invenzioni e
ricerca, con sede ancora presso il ministero della guerra ma lo scopo di
sviluppare studi nel campo della fisica, della chimica e
dell’ingegneria. Di fatto, il nucleo originario del futuro Cnr, che un
decreto ministeriale del 1919 prefigura come l’organismo per promuovere
«ricerche a scopo industriale e per la difesa nazionale». Ma dovranno
passare ancora diversi anni di inerzia - per non dire dell’ostilità di
Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione del successivo
governo Giolitti - prima che il decreto istitutivo del Cnr trovi
realizzazione, se pur con esigue risorse finanziarie. Del resto, osserva
Bianco, il Cnr nasce orientato verso le cosiddette scienze “dure”, le
scienze naturali, la fisica e la matematica, cui Croce e Gentile negano
valore culturale - e uno dei primi provvedimenti di Gentile ministro
dell’Istruzione nel governo Mussolini sarà proprio quello di un robusto
taglio del trenta per cento dei fondi per l’università e la ricerca
scientifica. Un’attitudine che, verrebbe da dire, da allora ha fatto
scuola nei governi del nostro paese, con poche luminose eccezioni. La
carenza delle risorse è infatti una costante anche nella storia del Cnr.
Nel
1927, alla scadenza del mandato di Volterra, noto e aperto
antifascista, Mussolini chiama alla presidenza Guglielmo Marconi, premio
Nobel e figura di prestigio internazionale, non ostile al regime, anzi.
Marconi è iscritto al partito (sarà addirittura membro del Gran
Consiglio) e nei dieci anni della sua presidenza il budget del Cnr
riceve un sostanzioso, anche se ancora insufficiente, incremento e
vengono creati i primi Istituti - per le applicazioni del calcolo,
l’ottica, l’elettroacustica, le ricerche aereonautiche, la geofisica, la
radiotecnica. Il prezzo è una progressiva perdita di rilevanza
internazionale, esito della politica di autarchia perseguita dal regime e
incrementata quando, alla morte di Marconi, alla presidenza viene
nominato il maresciallo Badoglio, rientrato in patria dalla guerra
d’Etiopia con l’aura del vincitore. Tuttavia, afferma Bianco, nonostante
le aspettative di Mussolini il Cnr non ha un «ruolo bellico» ma «cerca
di sopravvivere in quei tempi turbinosi».
A guerra ancora in corso,
una nuova stagione comincia nel 1944, dopo la liberazione di Roma, con
la nomina del matematico Guido Castelnuovo a commissario seguita,
qualche mese dopo, dalla chiamata di Gustavo Colonnetti, un ingegnere e
matematico torinese che resterà alla guida del Cnr per dodici anni. È
stato Colonnetti l’artefice della ricostruzione dell’ente nel
dopoguerra: il Cnr diventa organo dello Stato, con personalità giuridica
e posto alle dipendenze della presidenza del Consiglio. Nelle parole di
Bianco, che nel Cnr è entrato come giovane ricercatore con un contratto
a tempo determinato per poi trascorrervi l’intera carriera scientifica,
rivivono le fasi cruciali attraversate dal mondo della ricerca
nell’ultimo cinquantennio: negli anni Sessanta l’emblematico caso
Ippolito che fa seguito alla morte di Mattei ed ha un forte impatto
negativo sulla politica energetica del nostro paese, l’arresto di
Domenico Marotta, direttore dell’Istituto superiore di sanità, alle
dimissioni di Adriano Buzzati-Traverso dalla direzione del Laboratorio
internazionale di genetica e biofisica di Napoli. E poi i “Progetti
finalizzati” lanciati da Alessandro Faedo, il matematico che, alla guida
del Cnr negli anni Settanta, raccoglie e sviluppa l’eredità di Giovanni
Polvani e Vincenzo Caglioti, progetti poi ripresi dalle successive
presidenze di Ernesto Quagliariello e Luigi Rossi-Bernardi. E, infine,
la presidenza dello stesso Bianco con le vicende di ieri, la riforma
Berlinguer-Zecchino e i contrasti con la ministra Moratti e la sua
riforma, che portano alle sue dimissioni da presidente.
Nell’Italia
repubblicana i rapporti tra scienza e politica sono stati a lungo
caratterizzati, dice Bianco, dalla «mancanza di un reale interesse da
parte della classe politica per la ricerca» con l’eccezione di Antonio
Ruberti, sia perché restando cinque anni al ministero «ha avuto modo di
dare una direzione alla politica della ricerca», sia perché era «un
ministro esperto» e «sapeva di cosa parlava». Pur non essendo al centro
degli interessi dei politici, qualche governo della cosiddetta prima
Repubblica ha finanziato la ricerca scientifica in maniera
significativa, anche se non al livello di altri paesi europei. Negli
ultimi vent’anni invece è venuta meno «la disponibilità culturale verso
la ricerca» cui si è accompagnata una politica di tagli dei
finanziamenti. «È vero che siamo in un periodo di crisi finanziaria e di
scarsa disponibilità economica», conclude Bianco. «Tuttavia, negli
altri paesi non hanno toccato i fondi destinati all'università e alla
ricerca. Anzi, in Germania Angela Merkel ha realizzato un’ampia spending
review, tagliando in maniera incisiva il bilancio dello Stato, ma ha
aumentato i fondi per l’università e la ricerca, perché li considera
investimenti strategici per lo sviluppo del paese.
In Italia, per
trovare un esempio simile di lungimiranza politica, bisogna ritornare
indietro a Quintino Sella, mitico ministro delle Finanze del Regno
subito dopo l’Unità d’Italia, che si diceva disposto a «tagliare
qualsiasi cosa, ma non i fondi per la scuola”. Ma, appunto, erano altri
tempi.
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