Nelle sue varie forme, la fortuna di Machiavelli è stata indagata, in dotti volumi, da illustri studiosi che, da Oreste Tommasini a Giuseppe Toffanin a Raab, hanno recato, in questo campo di studi, un contributo rilevante; che può essere riassunto, in primo luogo, nell’invito a distinguere quel che è dell’autore del Principe e dei Discorsi e quel che ne è derivato, non solo nella varia corrente del cosiddetto machiavellismo, ma nella media communis opinio, ricca di libri e di altrettanti fraintendimenti. In effetti, la fortuna di Machiavelli invita a una prima considerazione, semplice ma fondamentale, e che non dovrebbe perciò essere dimenticata. A pochi decenni dalla morte, mentre la sua fortuna editoriale non conosceva flessioni, della sua biografia si cominciò a perdere l’esatta notizia; e Machiavelli divenne perciò un autore, nello stesso tempo, tanto noto quant’era privo di precisi connotati storici, un autore sul quale sembrò lecito esercitare lo ius utendi, e, soprattutto, direi, abutendi, senza alcun riguardo e senza che di averlo si avvertisse il dovere. Non è un paradosso, ma la semplice verità, che la vita di Machiavelli fu ricostruita nella sua verità storica non prima della seconda metà del secolo decimonono e degli inizi del ventesimo, a opera di Pasquale Villari, di Francesco Nitti e soprattutto di Oreste Tommasini, anche se soltanto in anni relativamente recenti fu definita, per merito soprattutto di Nicolai Rubinstein, la natura del grado che egli ebbe nella Cancelleria fiorentina.
domenica 8 febbraio 2015
Ancora l'Enciclopedia machiavelliana di Sasso e Inglese per la Treccani
Grandi opere / Treccani
Niccolò voce per voce
L’Enciclopedia
italiana dedica tre volumi a Machiavelli: all’informazione sulle
tendenze della critica si affianca lo studio sul lessico politico,
intellettuale, religioso e filosofico
di Gennaro Sasso Il Sole Domenica 8.2.15
Nelle sue varie forme, la fortuna di Machiavelli è stata indagata, in dotti volumi, da illustri studiosi che, da Oreste Tommasini a Giuseppe Toffanin a Raab, hanno recato, in questo campo di studi, un contributo rilevante; che può essere riassunto, in primo luogo, nell’invito a distinguere quel che è dell’autore del Principe e dei Discorsi e quel che ne è derivato, non solo nella varia corrente del cosiddetto machiavellismo, ma nella media communis opinio, ricca di libri e di altrettanti fraintendimenti. In effetti, la fortuna di Machiavelli invita a una prima considerazione, semplice ma fondamentale, e che non dovrebbe perciò essere dimenticata. A pochi decenni dalla morte, mentre la sua fortuna editoriale non conosceva flessioni, della sua biografia si cominciò a perdere l’esatta notizia; e Machiavelli divenne perciò un autore, nello stesso tempo, tanto noto quant’era privo di precisi connotati storici, un autore sul quale sembrò lecito esercitare lo ius utendi, e, soprattutto, direi, abutendi, senza alcun riguardo e senza che di averlo si avvertisse il dovere. Non è un paradosso, ma la semplice verità, che la vita di Machiavelli fu ricostruita nella sua verità storica non prima della seconda metà del secolo decimonono e degli inizi del ventesimo, a opera di Pasquale Villari, di Francesco Nitti e soprattutto di Oreste Tommasini, anche se soltanto in anni relativamente recenti fu definita, per merito soprattutto di Nicolai Rubinstein, la natura del grado che egli ebbe nella Cancelleria fiorentina.
L’introduzione del direttore Gennaro Sasso all’Enciclopedia machiavelliana in tre volumi, due di Lemmi, il terzo con tutte le opere di Machiavelli, dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani
Nelle sue varie forme, la fortuna di Machiavelli è stata indagata, in dotti volumi, da illustri studiosi che, da Oreste Tommasini a Giuseppe Toffanin a Raab, hanno recato, in questo campo di studi, un contributo rilevante; che può essere riassunto, in primo luogo, nell’invito a distinguere quel che è dell’autore del Principe e dei Discorsi e quel che ne è derivato, non solo nella varia corrente del cosiddetto machiavellismo, ma nella media communis opinio, ricca di libri e di altrettanti fraintendimenti. In effetti, la fortuna di Machiavelli invita a una prima considerazione, semplice ma fondamentale, e che non dovrebbe perciò essere dimenticata. A pochi decenni dalla morte, mentre la sua fortuna editoriale non conosceva flessioni, della sua biografia si cominciò a perdere l’esatta notizia; e Machiavelli divenne perciò un autore, nello stesso tempo, tanto noto quant’era privo di precisi connotati storici, un autore sul quale sembrò lecito esercitare lo ius utendi, e, soprattutto, direi, abutendi, senza alcun riguardo e senza che di averlo si avvertisse il dovere. Non è un paradosso, ma la semplice verità, che la vita di Machiavelli fu ricostruita nella sua verità storica non prima della seconda metà del secolo decimonono e degli inizi del ventesimo, a opera di Pasquale Villari, di Francesco Nitti e soprattutto di Oreste Tommasini, anche se soltanto in anni relativamente recenti fu definita, per merito soprattutto di Nicolai Rubinstein, la natura del grado che egli ebbe nella Cancelleria fiorentina.
Gli studi su Machiavelli hanno conosciuto nel secolo
ventesimo una fortuna considerevole. Ma soltanto nella sua seconda metà
si sono fissate le linee delle interpretazioni che ancora caratterizzano
l’inizio del ventunesimo. La prima metà del secolo fu dominata, per un
verso, dalle interpretazioni «filosofiche» di Benedetto Croce e di
Friedrich Meinecke, per un altro, da quelle di letterati, come Luigi
Russo, o di storici del pensiero politico e del diritto, interessati
soprattutto a dissertare sulla natura dello Stato e sulla relazione
dell’etica e della politica. Sullo sfondo rimase, per allora, quella di
Federico Chabod, che, di gran lunga la più dotta e storicamente
consapevole, esercitò la sua influenza nella seconda metà del secolo e
soprattutto sull’opera dello scrivente che, alla lezione appresa da quel
maestro e all’esigenza di integrale storicizzazione che le era
connessa, aggiunse l’attenzione prestata, non alla «filosofia» di
Machiavelli, ma a quanto di importante per la filosofia vi fosse nel suo
pensiero. In connessione di questo modo di vedere le cose, rinacque
allora sia l’interesse, che aveva avuto qualche sporadica espressione
nel secolo decimonono, per la definizione della cultura di Machiavelli,
soprattutto di quella antica, sia l’esigenza di edizioni filologicamente
riconsiderate (basti, al riguardo, ricordare l’edizione del Principe
allestita da Giorgio Inglese). Nacque di qui uno dei contrasti che hanno
caratterizzato gli studi italiani degli ultimi decenni, perché a chi
era convinto che, senza essere un filosofo, Machiavelli fosse tuttavia
un grande pensatore politico e un acuto interprete della storia
italiana, altri opposero una visione di tutt’altro carattere, e lo
presentarono come l’autore di opere mai sul serio concluse e nate sul
fondamento di una cultura diseguale, e assai meno classica che
«volgare».
Fuori d’Italia, fu soprattutto nella seconda metà del
secolo che si produssero, in Francia, in Inghilterra, e quindi negli
Stati Uniti, le opere più ragguardevoli; che qui, certo, non possono
essere ricordate con i nomi degli autori che le firmarono e nemmeno per
le idee che vi sostennero. L’eccezione, che in questa sede può essere
consentita, riguarda, da una parte, gli interpreti, di lingua inglese
(Pocock, Skinner) che delinearono l’interpretazione di Machiavelli come
appartenente alla tradizione del repubblicanesimo e come autore e
teorico della «religione civile», da un’altra Leo Strauss che, al
contrario, indicò in lui l’eversore della filosofia politica antica con
il suo culto della virtù e un maestro del nichilismo moderno. Due
interpretazioni di segno opposto, volta la prima a recuperare
Machiavelli dall’accusa sempre ricorrente di immoralità, diretta la
seconda a riconfermarla attraverso l’uso di un’ermeneutica tanto
raffinata quanto tendenziosa.
La ricchezza dei motivi presenti
nell’odierna letteratura machiavelliana non può essere esaurita in breve
spazio. Ma deve dirsi, invece, che è stata la considerazione di questa
ricchezza e della connessa varietà tematica che ha suggerito l’idea di
affiancare, nell’ambito dell’Istituto della Enciclopedia italiana, una
Enciclopedia machiavelliana (in tre volumi) a quelle che da tempo sono
state dedicate a Dante, a Virgilio e a Orazio. Di queste l’Enciclopedia
machiavelliana ha ripreso, nelle grandi linee, il carattere
fondamentale, e cioè, da una parte, l’informazione, la più larga
possibile, relativa alle tendenze principali della critica, da un’altra
la «lemmatizzazione» dei termini più caratteristici del lessico
politico/intellettuale dell’autore del Principe e dei Discorsi (virtù,
fortuna, occasione, armi, proprie e mercenarie), di quello
politico/istituzionale (principato – nuovo, misto, civile, assoluto –
repubblica, costituzione mista), di quello religioso e filosofico (Dio,
religione, eternità del mondo). A differenza di quello seguito dai
curatori delle suddette Enciclopedie, dantesca, virgiliana, oraziana, la
machiavelliana ha adottato, per le «voci» di maggiore impegno
interpretativo un taglio che definirei saggistico, in modo che agli
autori fosse concesso di assumere la piena responsabilità scientifica
delle tesi da essi sostenute, e al lettore di trovare subito, accanto
all’informazione, l’interpretazione. Non c’è, credo, bisogno di dire che
nella scelta dei collaboratori si è seguito, con rigore e senza alcuna
faziosità, il criterio della competenza, in modo che, nella serietà
dell’informazione ricevuta, il lettore colto trovasse compenso alla
delusione eventualmente provocatagli nell’interpretazione.
Ampia è
stata l’attenzione dedicata all’ambiente culturale. Non solo ai grandi
autori della cultura antica, latina e greca, e di quella fiorentina e
italiana (Poliziano, Ficino, Giovanni Pico, Leonardo) a contatto della
quale Machiavelli si formò, ma anche ai personaggi con cui egli divise
la vita e il lavoro nella Cancelleria fiorentina (Marcello Virgilio
Adriani, Biagio Buonaccorsi, Agostino Vespucci). Non solo alle
riflessioni dei grandi pensatori del passato (da Spinoza a Vico, da
Montesquieu a Rousseau, da Fichte a Hegel), ma anche alle opere degli
studiosi che più e meglio contribuirono, nel tempo, all’interpretazione
del suo pensiero. Voci di particolare impegno sono state dedicate ai
grandi personaggi dell’età machiavelliana (da Giulio II ai re di Francia
e di Spagna), mentre un impegnativo censimento è stato eseguito per i
personaggi minori, la cui trattazione ha costituito per chi se ne
assunse la responsabilità un particolare impegno.
Nell’Introduzione
che premisi al primo volume dell’Enciclopedia (che ne conta tre) fra le
altre cose dissi che la liberalità con cui erano stati scelti gli
studiosi che dovevano redigerla aveva avuto un limite: da essa erano
stati esclusi coloro che ritenevano che Machiavelli fosse stato un
gangster che aveva scritto per gangsters. Debbo dire che la scelta del
termine non era dovuta alla mia fantasia, perché così, anche se non
necessariamente con quel termine, Machiavelli era stato definito da non
pochi. Confermo che a quanti avessero condiviso quel giudizio avrei
avuto difficoltà a rivolgere l’invito a collaborare all’Enciclopedia.
Per la stessa ragione, non ne avrei invece alcuna a invitarli a
consultarla e, qua e là, a leggerla. Machiavelli è, senza dubbio, uno
scrittore duro che nella politica ha guardato senza illudersi che fosse,
e potesse essere diversa da come gli appariva. Dell’interpretazione che
debba darsi del suo modo di intenderla, non si può parlare qui. Ma
nell’Enciclopedia molti ne hanno parlato con onestà e competenza. Chi
sul gangster avesse qualche dubbio, e cominciasse a pensare che la
questione machiavelliana non è trattabile con termini come quelli, forse
vi troverà qualcosa che rafforzerà i suoi dubbi nello stesso tempo
avviandolo verso una più responsabile considerazione della sua
complessità. Se poi dalla lettura dell’Enciclopedia fosse spinto a
leggere, con più pura mente, le opere di Machiavelli (che trovano spazio
nel terzo volume), potrebbe non esserne deluso. Vi troverà, se
italiano, le ragioni, o alcune delle ragioni che all’Italia hanno
tenacemente impedito di realizzare il compito che una volta Machiavelli
le indicò: quello di far rinascere le cose morte.
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