martedì 17 febbraio 2015

Ancora su "Il nuovo spirito del capitalismo"

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L’infernale mondo di Boltanski e Chiapello 
Saggi. «Il nuovo spirito del capitalismo» di Luc Boltanski e Ève Chiapello per Mimesis. Finalmente pubblicato il volume salutato come uno dei più rilevanti sul lavoro contemporaneo. Il libro presenta la provocatoria tesi dove la prassi artistica è un’attitudine da usare per innovare la produzione di merc 

Benedetto Vecchi, 17.2.2015

Il libro di Luc Bol­tan­ski e Ève Chia­pello Il nuovo spi­rito del capi­ta­li­smo ha avuto un buffo destino in Ita­lia. Pub­bli­cato nel 1999 in Fran­cia, fu allora salu­tato come un con­tri­buto rile­vante nella com­pren­sione delle nuove carat­te­ri­sti­che del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo forte di una pro­vo­ca­to­ria tesi: la capa­cità delle imprese di met­tere a pro­fitto, per defi­nire nuovi pro­cessi lavo­ra­tivi, la cri­tica all’organizzazione gerar­chica del lavoro espressa durante il mag­gio stu­den­te­sco del Ses­san­totto. Tesi che fece discu­tere non poco le «scienze sociali» euro­pee, che sot­to­li­nea­vano tut­ta­via la sostan­ziale con­ti­nuità del capi­ta­li­smo «digi­tale» con il suo pas­sato indu­striale a dif­fe­renza di quanto soste­ne­vano i due autori fran­cesi. In Ita­lia il libro fu accolto con inte­resse da eco­no­mi­sti, filo­sofi e socio­logi, dando vita nel nostro paese una discus­sione ad alta inten­sità pole­mica, cosi come era acca­duto in altri paesi. Ma era tut­ta­via una discus­sione rele­gata in ristretti campi disci­pli­nari. Quando Fel­tri­nelli annun­ciò la sua tra­du­zione, in molti salu­ta­rono con favore que­sta deci­sione della casa edi­trice mila­nese.
Anno dopo anno, la sua pub­bli­ca­zione fu però rin­viata. I motivi dei rin­vii pos­sono essere rin­trac­ciati nel lin­guag­gio non sem­pre lineare del sag­gio, ma soprat­tutto nello sco­prire che molti dei temi affron­tati da Bol­tan­ski e Chiap­pello erano nel frat­tempo entrati in quel senso comune che con­trad­di­stin­gue sem­pre la mani­fe­sta­zione dell’opinione pub­blica. Ma a far desi­stere Fel­tri­nelli nel pub­bli­carlo può aver influito il fatto che la rice­zione del «nucleo cen­trale» de Il nuovo spi­rito del capi­ta­li­smo — il Ses­san­totto come periodo fon­dante del capi­ta­li­smo digi­tale — sia diven­tata nel chiac­chie­ric­cio media­tico l’avvio di una demo­niz­za­zione «di sini­stra» del Ses­san­totto, rele­gato a cata­liz­za­tore del nascente neo­li­be­ri­smo, sia nella sua ver­sione pre­sen­ta­bile — gli Stati Uniti — che in quella «vol­gare», il ber­lu­sco­ni­smo e il popu­li­smo postmoderno. 

L’antistatalismo liber­ta­rio 
Per gli Stati Uniti è stata sot­to­li­neata l’influenza della con­tro­cul­tura nello svi­luppo dell’economia dot-com. L’etica domi­nante nel capi­ta­li­smo digi­tale, è stato più volte scritto, è figlia della cri­tica al «sistema» espressa dal mou­ve­ment degli anni Ses­santa, men­tre l’attitudine hac­ker è cre­sciuta all’ombra dei gruppi liber­tari californiani. 
Una let­tura, que­sta, che ha molte frecce nel suo arco nel trat­teg­giare la genea­lo­gia dell’industria high-tech. Meno con­vin­centi sono stati invece i pam­phlet che hanno visto nella cri­tica ses­san­tot­tina all’autoritarismo e al ruolo dello Stato, in quanto tec­no­lo­gia del con­trollo sociale, un ante­nato dell’antistatalismo neo­li­be­ri­sta. Il Ses­san­totto altro non sarebbe stato che il labo­ra­to­rio teo­rico e sociale per una «con­tro­ri­vo­lu­zione libe­ri­sta» atti­vata pro­prio dal movi­mento. Ma qui ribelli, i par­te­ci­panti a quel movi­mento erano solo l’incarnazione dell’individuo pro­prie­ta­rio. Sin­to­ma­tico di tale furia ico­no­cla­sta con­tro del Ses­san­totto è il giu­di­zio di Michel Fou­cault come teo­rico mime­tico del neo­li­be­ri­smo. Una demo­niz­za­zione che non ha rispar­miato altri intel­let­tuali rite­nuti, a torto o a ragione, sim­boli di quella sta­gione di sov­ver­sione sociale. L’aspetto ricor­rente è che molte delle cri­ti­che ven­gono da intel­let­tuali e opi­nion makers che non hanno pro­blemi a riven­di­care la pro­pria ade­sione alla tra­di­zione ter­zoin­ter­na­zio­na­li­sta o maoi­sta del movi­mento ope­raio. Non sono man­cati, in tutti que­sti anni, aspetti para­dos­sali: per esem­pio, il giu­di­zio su ana­lisi cri­ti­che del capi­ta­li­smo digi­tale o post­for­di­sta come espres­sione di una quinta colonna del nemico tra le file dei movi­menti sociali, evo­cando così un les­sico poli­tico che non avrebbe certo sfi­gu­rato nel dia­mat sta­li­niano degli anni Trenta. 
Sta di fatto che solo ora la casa edi­trice Mime­sis ha deciso di man­dare il sag­gio di Bol­tan­ski e Chia­pello in libre­ria (pp. 728, euro 38). Una deci­sione meri­to­ria non solo per aggiun­gere un tas­sello a un ipo­te­tico mosaico della sto­ria delle idee del decli­nante Nove­cento, ma per­ché con­sente di rico­struire il per­corso acci­den­tato che ha por­tato ad inno­vare l’analisi del capitalismo. 
Bol­tan­ski e Chia­pello con­si­de­rano il Ses­san­totto un punto di svolta nei rap­porti sociali. L’intero assetto fuo­riu­scito dalla seconda guerra mon­diale viene sot­to­po­sto a cri­tica dai movi­menti sociali. L’intervento sta­tale in eco­no­mia ha cer­ta­mente atte­nuato gli effetti col­la­te­rali del libero mer­cato, ma non aperto nes­suna brec­cia nel capi­ta­li­smo. Le misure key­ne­siane per lo stato impren­di­tore hanno sem­mai raf­for­zato la società del capi­tale, garan­tendo una poli­tica mode­rata negli aumenti sala­riali, attra­verso un vero e pro­prio scam­bio con le orga­niz­za­zioni sin­da­cali e poli­ti­che del movi­mento ope­raio: con­flitto sociale a bassa inten­sità, aumenti sala­riali legati alla pro­dut­ti­vità in cam­bio di assi­stenza sani­ta­ria, accesso alla for­ma­zione sco­la­stica, pensioni. 
La poli­tica dei diritti sociali di cit­ta­di­nanza poteva variare a seconda dei con­te­sti nazio­nali, ma era un fat­tore di sta­bi­liz­za­zione sociale. Sono stati i glo­riosi trenta anni di svi­luppo eco­no­mico, ora ama­ra­mente rim­pianti dal pen­siero poli­tico demo­cra­tico e rifor­mi­sta. Nel Ses­san­totto ne viene cri­ti­cato il carat­tere auto­ri­ta­rio che impe­di­sce la pos­si­bi­lità di una tra­sfor­ma­zione radi­cale dei rap­porti sociali. 
I due autori di que­sto pon­de­roso sag­gio sot­to­li­neano invece il fatto che l’ordine del discorso nel Ses­san­totto vede — ad esem­pio, nella pro­du­zione arti­stica e nel supe­ra­mento dell’alienazione della società dei con­sumi attra­verso la libera espres­sione del desi­de­rio — dimen­sioni poli­ti­che che met­tono in discus­sione il capi­ta­li­smo. È dun­que la crea­ti­vità, l’attitudine arti­stica che può con­sen­tire una effi­cace e effi­ciente poli­tica del fat­tore umano nelle imprese, men­tre nella società il rifiuto dell’autorità può favo­rire feno­meni inno­va­tivi tanto nella pro­du­zione di merci che nelle rela­zioni sociali. Il nuovo spi­rito del capi­ta­li­smo trova in que­sta imma­nenza della cri­tica all’autorità la sua fon­da­zione. È pro­prio in tale linea­rità tra Ses­san­totto e neo­li­be­ri­smo uno dei limiti più evi­denti de Il nuovo spi­rito del capitalismo. 

Il mer­canti del fat­tore umano 
È spesso acca­duto che istanze del movi­mento ope­raio o dei movi­menti sociali radi­cali siano entrate a far parte dell’agenda poli­tica di chi eser­cita il potere. Anto­nio Gram­sci ha scritto a lungo della «rivo­lu­zione pas­siva», cioè quando le classi domi­nanti hanno cam­biato di segno a riven­di­ca­zioni, punti di vista dei «domi­nati» per farle diven­tare parte inte­grante e com­pa­ti­bili con i nuovi rap­porti di potere defi­niti dopo una fase di crisi — poco importa se eco­no­mica o poli­tica -; oppure ci sono stati autori che hanno spie­gato l’innovazione delle rela­zioni sociali come rispo­sta ai con­flitti sociali e di classe. Nel volume di Bol­tan­ski e Chia­pello, ad esem­pio, la cri­tica all’alienazione e alla par­cel­liz­za­zione del lavoro è stata pie­gata all’innovazione della orga­niz­za­zione pro­dut­tiva. Il mana­ge­ment del fat­tore umano è da con­si­de­rare quindi un dispo­si­tivo teso a ripren­dere il con­trollo di un lavoro vivo ribelle all’ordine costi­tuito nell’impresa. 
Que­sto avviene sem­pre come supe­ra­mento di una crisi o quando vanno ripri­sti­nati i rap­porti di forza nella società dopo un periodo di aspro e radi­cale con­flitto sociale e di classe. Il volume di Bol­tan­ski e Chia­pello rimuove que­sto ele­mento «poli­tico» e fa ger­mo­gliare il nuovo spi­rito del capi­ta­li­smo dal fluire neu­tro delle dina­mi­che sociali e cul­tu­rali. È il suo limite mag­giore. Il suo merito è di aver messo a tema la neces­sità per le scienze sociali di inda­gare come il capi­ta­li­smo stava cam­biando, all’interno di una dina­mica che alterna «dia­let­ti­ca­mente» discon­ti­nuità a con­ti­nuità con il suo passato.

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