Siamo sempre alle solite: chi nega la tragedia palestinese, per dirne una, pretende la galera per chi nega la tragedia ebraica.
In questo modo non si va da nessuna parte. La libertà di ricerca va salvaguardata dal controllo politico a costo di correre dei rischi. Persino Battista appare più lucido. Per non parlare della lezione di Enzo Traverso (il testo è stato postato su fb da Natalina Lodato) [SGA].
Enzo Traverso, da La fine della Modernità Ebraica:
«Desiderosi di mettere in atto le virtù di una memoria eretta a religione civile, i parlamenti sono i luoghi di una proliferazione legislativa che inquadra il passato sia sul piano penale sia nella sua dimensione simbolica [...]Dopo numerosi anni di applicazione, le leggi antinegazioniste adottate in diversi paesi europei, dalla Francia alla Germania, hanno ampiamente messo in luce tutti i loro limiti. In primo luogo, hanno sortito l’effetto perverso di trasformare gli assassini della memoria in “vittime”: i negazionisti si presentano come perseguitati e cercano puntualmente di legittimare le proprie menzogne in nome della libertà di espressione. Un altro effetto perverso di tutti i processi, le condanne o gli arresti riconducibili all’applicazione di queste leggi risiede nella vasta copertura mediatica che li ha accompagnati, trasformandoli paradossalmente in vettori di propaganda.[..]Al di là di queste considerazioni pragmatiche, le leggi antinegazioniste sono opinabili per una ragione più profonda: contribuiscono a stabilire una norma ufficiale nell’interpretazione del passato, trasformando la verità storica in legge di stato. Per questo molti studiosi le hanno criticate. In Francia, nel dicembre 2005, un gruppo di storici eminenti ha sottoscritto un appello intitolato “Libertà per la storia” che proponeva l’abrogazione di tutte le leggi memoriali. Quest’appello ha suscitato un ampio dibattito in seno all’opinione pubblica su un principio fondante della democrazia: la verità storica non ha bisogno di una tutela legale ma deve essere il risultato di una ricerca condotta
liberamente. E non deve nemmeno mutare in funzione dei cambiamenti delle maggioranze parlamentari. Come si presume che non spetti ai giudici scrivere la storia, allo stesso modo i parlamenti non hanno il compito di legiferare sul passato, fissando con un voto la verità storica. Una nazione deve riconoscere non soltanto le proprie vittime, ma anche quelle causate dai crimini che in suo nome sono stati
perpetrati, e questo riconoscimento talvolta esige il ricorso alla legge (per esempio l’apertura degli archivi). Il legislatore non dovrebbe tuttavia oltrepassare le sue prerogative».
Enzo Traverso, da La fine della Modernità Ebraica:
«Desiderosi di mettere in atto le virtù di una memoria eretta a religione civile, i parlamenti sono i luoghi di una proliferazione legislativa che inquadra il passato sia sul piano penale sia nella sua dimensione simbolica [...]Dopo numerosi anni di applicazione, le leggi antinegazioniste adottate in diversi paesi europei, dalla Francia alla Germania, hanno ampiamente messo in luce tutti i loro limiti. In primo luogo, hanno sortito l’effetto perverso di trasformare gli assassini della memoria in “vittime”: i negazionisti si presentano come perseguitati e cercano puntualmente di legittimare le proprie menzogne in nome della libertà di espressione. Un altro effetto perverso di tutti i processi, le condanne o gli arresti riconducibili all’applicazione di queste leggi risiede nella vasta copertura mediatica che li ha accompagnati, trasformandoli paradossalmente in vettori di propaganda.[..]Al di là di queste considerazioni pragmatiche, le leggi antinegazioniste sono opinabili per una ragione più profonda: contribuiscono a stabilire una norma ufficiale nell’interpretazione del passato, trasformando la verità storica in legge di stato. Per questo molti studiosi le hanno criticate. In Francia, nel dicembre 2005, un gruppo di storici eminenti ha sottoscritto un appello intitolato “Libertà per la storia” che proponeva l’abrogazione di tutte le leggi memoriali. Quest’appello ha suscitato un ampio dibattito in seno all’opinione pubblica su un principio fondante della democrazia: la verità storica non ha bisogno di una tutela legale ma deve essere il risultato di una ricerca condotta
liberamente. E non deve nemmeno mutare in funzione dei cambiamenti delle maggioranze parlamentari. Come si presume che non spetti ai giudici scrivere la storia, allo stesso modo i parlamenti non hanno il compito di legiferare sul passato, fissando con un voto la verità storica. Una nazione deve riconoscere non soltanto le proprie vittime, ma anche quelle causate dai crimini che in suo nome sono stati
perpetrati, e questo riconoscimento talvolta esige il ricorso alla legge (per esempio l’apertura degli archivi). Il legislatore non dovrebbe tuttavia oltrepassare le sue prerogative».
Heidegger I Quaderni neri? Appunti di un piccolo borghese assillato dal destino
di Eugenio Mazzarella Il Sussidiario 11.2.15
Un anno fa cadeva l'annuncio che erano in uscita i Quaderni neri, le note filosofiche e storico-metafisiche di Heidegger stese a latere dei suoi corsi e del suo lavoro filosofico tra il 1931 e il 1941. Oggi un nuovo annuncio. Sono in arrivo quelli dei cruciali anni tra il '42 e il '48, e soprattutto un fatidico quaderno "ritrovato" del '45/46. Quello "decisivo". Sono gli anni della sconfitta del Reich millenario e dell'impossibilità, anche per Heidegger, di "non sapere" dell'abominio dei campi di sterminio degli Ebrei con la loro "industrializzazione" della morte. "Finalmente" un testo, dopo gli accenni agli Ebrei dei quaderni precedenti, in cui Heidegger prende esplicitamente posizione sulla Shoah, dove abbiamo la prova provata del suo antisemitismo non solo concettuale, ma politico.
Un anno fa cadeva l'annuncio che erano in uscita i Quaderni neri, le note filosofiche e storico-metafisiche di Heidegger stese a latere dei suoi corsi e del suo lavoro filosofico tra il 1931 e il 1941. Oggi un nuovo annuncio. Sono in arrivo quelli dei cruciali anni tra il '42 e il '48, e soprattutto un fatidico quaderno "ritrovato" del '45/46. Quello "decisivo". Sono gli anni della sconfitta del Reich millenario e dell'impossibilità, anche per Heidegger, di "non sapere" dell'abominio dei campi di sterminio degli Ebrei con la loro "industrializzazione" della morte. "Finalmente" un testo, dopo gli accenni agli Ebrei dei quaderni precedenti, in cui Heidegger prende esplicitamente posizione sulla Shoah, dove abbiamo la prova provata del suo antisemitismo non solo concettuale, ma politico.
Di giudizio politico, beninteso. Non certo
d'incidenza politica sugli eventi. Credo che nessun interprete dotato di
senno possa ritenere che su questo terreno — il nazismo e la sua
politica, anche nei riguardi degli Ebrei — Heidegger abbia avuto un
qualche ruolo. Politicamente, e ideologicamente (ritenendo egli il
biologismo razziale e antisemitico una volgarità filosofica), Heidegger
per il regime nazista non contava niente già dal '33. I suoi giudizi,
pertanto, tanto più allo stato di commento "privato", sugli eventi cui
partecipava osservando, andrebbero in generale presi per i contorcimenti
di un piccolo borghese tedesco nazionalista frustato nel suo
nazionalismo dagli esiti di due guerre mondiali disastrosamente perse.
Trattandosi di un filosofo i contorcimenti sono speculativi. Essendo un
grande filosofo, da cui ci si sarebbe potuto aspettare (ma invero solo
da chi non conosca il carattere "destinale" del suo pensiero da cui è
possibile dedurgli, iuxta sua propria principia, il destino
"privato" della moglie Elfride e quello "pubblico" di tedesco sconfitto:
e il nostro ha sufficiente coerenza da trarre entrambe le deduzioni)
prese di posizioni nette, questi contorcimenti fanno scandalo.
Filosoficamente, niente di rilevante. Tanto è bastato, però, a far titolare, con qualche esplicito riferimento alla Shoah venuto alla luce in questi ultimi testi, il 2014 come l'anno zero per Heidegger. La fine di una reputazione filosofica. Per questo coup de theatre ( che affinerà il rilancio editoriale dei Quaderni neri,
cui era già servita l'equazione cromatica con il colore delle camicie
brune) c'è finalmente la pistola fumante: la tesi che nella Shoah ci sarebbe «l'autoannientamento degli Ebrei». Per cui dei campi alla fine i colpevoli sarebbero loro.
Ma prima di valutare la demenzialità di questa pallottola e del suo fumo, conviene richiamare la già battuta grancassa sui Quaderni
dal '31 al '41 dello scorso anno. Che già niente dicevano di nuovo sul
rapporto con il nazismo di Heidegger, ampiamente sviscerato da decenni
in letteratura sotto tutti i punti di vista. Dai detrattori "politici"
che si spingono all'amenità di negare rango filosofico a Heidegger,
facendone un mero ideologo della destra peggiore che ha visto il 900, a
difensori "politici" a priori, che in nome della grande sua filosofia
negano l'evidenza dei fatti. Cioè il legame non episodico, ma
strutturale e motivato tra l'impianto della storia dell'essere
heideggeriana impregnata di "destino", che chiama a "decidere" tra le
"potenze della storia" (nel caso di Heidegger, decidendo male,
malissimo, che è la tesi più sobria e a cui ho dato un contributo negli
anni 80), e il nazismo.
Perché è giusto introdurre il reato di negazionismo
di Donatella Di Cesare Corriere 11.2.15
È in discussione al Senato il provvedimento che, modificando la legge
del 1975 contro i crimini di genocidio, introduce il reato di
negazionismo della Shoah. L’Italia sarà così in linea con la direttiva
dell’Unione europea che risale al 2008.
Numerose sono state le modifiche apportate al provvedimento nel corso di
un dibattito che si è sviluppato in questi ultimi anni, mentre il
fenomeno è andato assumendo proporzioni sempre più inquietanti. Finora
ha prevalso in Italia un indubbio ottimismo. I singoli episodi sono
stati letti come spiacevoli incidenti, dovuti a ignoranza e
disinformazione. E d’altronde non c’è dubbio che educazione e cultura
siano le risposte più consone. Come non concordare?
Ma chi nega, non ignora. Che dire se, come è già avvenuto, a negare sono
insegnanti di liceo o docenti universitari? Con quali mezzi reagire?
Soprattutto non si capisce perché dovrebbe esserci un’alternativa tra
risposta culturale e intervento politico; sarebbe anzi auspicabile una
sinergia. Come tutelare altrimenti il diritto dei più giovani nelle
scuole, nelle università, ma anche nella rete?
In tal senso si deve sperare che venga preso in considerazione anche il
cyber crime . Perché proprio nei social network , dove reale e virtuale,
prova e rumore, ragionevole e assurdo vengono equiparati, i
negazionisti trovano spazio per rendere attuali e concreti i loro
fantasmi. Gli insulti antisemiti si mescolano con la negazione fino allo
scherno e all’oltraggio delle vittime.
È comprensibile la preoccupazione degli storici per la libertà di
ricerca, la cui necessità va anzi ribadita, proprio al fine di conoscere
meglio lo sterminio. Ma come alcuni storici hanno convenuto, il
negazionismo non è un’opinione come un’altra. Piuttosto è una
dichiarazione politica.
Non deve sfuggire il nesso di complicità che lega la negazione di oggi
all’annientamento di ieri. Coloro che negano le camere a gas vogliono
annientare il fondamento stesso da cui è sorta la democrazia in Europa.
Solo se si tutela il dialogo che fonda la democrazia, si consente una
polifonia di interpretazioni. Questo è il compito della legge.
Ma chi uccide la memoria non si batte in tribunale
di Pierluigi Battista Corriere 11.2.15
Il grande storico Pierre Vidal-Naquet non era d’accordo con chi voleva
mettere in galera il negazionista Robert Faurisson. Ma scrisse un
formidabile libro sugli «assassini della memoria» che rivelò l’abisso di
sconcezza, di impostura storiografica, di ignoranza, di pregiudizio
nazistoide in cui sprofondava chi negava la stessa esistenza di
Auschwitz. Non bisogna fargliela passare liscia, agli «assassini della
memoria». Ma con i libri, i fatti, gli argomenti, i documenti, le
testimonianze. Non con i poliziotti e i magistrati. In Francia c’è da
tempo una legge che considera reato il negazionismo, ma ogni anno
aumenta il numero delle aggressioni contro gli ebrei. In Austria,
qualche anno fa, hanno tenuto in prigione David Irving, ma nessun
movimento antisemita è risultato indebolito. Senza considerare le
occasioni di arbitrio, le omissioni, i silenzi diplomatici, i
doppiopesismi.
In Iran nei giorni scorsi hanno indetto un concorso per la miglior
vignetta contro gli ebrei: nessuno ha chiesto la chiusura dei rapporti
diplomatici con Teheran, dove al tempo dell’allora presidente
Ahmadinejad venne addirittura convocato un convegno internazionale per
negare l’esistenza delle camere a gas. Una legge che impedisce di dire è
una legge liberticida, anche se animata dalle migliori intenzioni.
È la cultura che deve disarmare il negazionismo, non un provvedimento
dei magistrati. Si capisce il dolore di chi vede negata l’evidenza
storica della Shoah, ma non è con i magistrati che necessariamente
interpretano una legge che si vince la battaglia contro gli assassini
della memoria. Nemmeno con l’indifferenza. E anzi, è il compito di una
società civile impedire che le menzogne circolino indisturbate. E di
insistere, ribadire, ricordare. Mai dandogliela vinta ai manipolatori
criptonazisti camuffati da storici. Si può fare, anche senza leggi
ambigue e pericolose.
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