lunedì 9 febbraio 2015
Il partito di Laclau, di Casarini e di Concita
I ragazzi di Podemos
Sono nati quando Franco era già morto. L’era di Gonzalez l’hanno vissuta da bambini. Si sono formati nei movimenti no global Hanno
fra 30 e 40 anni. Gli uomini e le donne di Pablo Iglesias si preparano a
conquistare la Spagna: ispirandosi anche a Games of Thrones
di Cocita De Gregorio Repubblica 9.2.15
BARCELLONA
SONO nati che il dittatore era già morto. Venuti al mondo, in Spagna, a
cavallo fra i Settanta e gli Ottanta. Pablo Iglesias aveva 4 anni
quando nel 1982 Felipe Gonzalez è diventato per la prima volta Primo
ministro in un’ondata ineguagliata di entusiasmo popolare. Sua madre
Maria Luisa, sindacalista, gli leggeva per addormentarlo le storie di
Salgari e di Giulio Verne. Andavano al nido, o all’asilo, negli anni
della transizione democratica. Hanno avuto vent’anni nel Duemila. Sono
stati al G8 di Genova e alle adunate no global di Puerto Alegre nel
2001. Hanno manifestato contro il disastro ambientale causato dalla
petroliera Prestige, 2002, e contro l’intervento in Iraq. Poi contro le
banche che toglievano la casa ai senza casa. Hanno creato gruppi come
Gioventù senza futuro, Generazione precaria, Democrazia reale adesso!
Decine di blog con nomi tipo Rebelion.org. Infine si sono indignati
tutti quanti l’15M, 15 maggio del 2011, ed erano milioni. Giovani e
vecchi, insegnanti e studenti, imprenditori sull’orlo del fallimento e
lavoratori di quelle imprese.
Gli attuali dirigenti di Podemos —
Possiamo. Yes, we can — sono cresciuti alla scuola dell’attivismo di
piazza, hanno militato in organizzazioni antagoniste della sinistra
radicale, a volte riformista. Sbaglia chi li paragona al movimento
Cinquestelle: a parte l’uso della Rete e la radice grassroot , movimenti
di cittadini di base, sono assai più le differenze sostanziali delle
somiglianze apparenti. Piuttosto il loro specchio è quello di Syriza:
soprattutto perché Tsipras ha vinto e come hanno detto gli spagnoli:
«Con loro riconquisteremo l’Europa, quella dei diritti e della dignità».
Perché Podemos è un movimento radicato nella sinistra politica, al
contrario dei grillini siede nel gruppo della sinistra
all’Europarlamento, i suoi leader sono docenti universitari con un lungo
passato di militanza. Vengono dalla contro-informazione, dalla gioventù
comunista. Poi sono andati all’Università, i ragazzi e le ragazze della
nidiata di “El Coleta”, Codino — così chiamano Pablo Iglesias Turriòn,
il leader — e si sono tutti, quasi tutti laureati in Scienze politiche o
in Filosofia. La generazione che potrebbe presto governare la Spagna
nasce dall’incubatrice della Facoltà di Filosofia della Complutense di
Madrid, una culla di pensiero non molto diversa da quello che fu la
Facoltà di Sociologia di Trento negli anni Sessanta-Settanta.
Tempi
diversi, ovviamente, diverse conseguenze. Tuttavia non si riesce a
mettere a fuoco lo strabiliante e rapidissimo successo di Podemos se non
si legge la radice ideologica e culturale del movimento. Che nasce
dalla sinistra, e dall’università. Tutti, quasi tutti i leader anche
locali sono docenti plurilaureati e dottorati, per quanto spesso
precari. Hanno fatto gavetta nelle rivoluzioni sociali dell’America
Latina. Avrebbero militato nei partiti della sinistra tradizionale se
solo li avessero lasciati entrare: invece il Psoe (a volte Izquierda
Unida) li ha chiusi fuori dai circuiti delle decisioni, li ha mandati a
fare minoranza nei consigli di quartiere o oltreoceano. Col movimento
zapatista in Messico, nella guerra per l’acqua in Bolivia, coi caracazos
in Venezuela. Chavez e Morales i loro riferimenti politici. In
conclusione dell’oceanica assemblea di Vistalegre, il 18 ottobre scorso,
hanno suonato “L’estaca” di Lluis Llach, inno anti-franchista catalano
scritto nel maggio ‘68. Come se in Italia si chiudesse un’assemblea
politica fitta di venti e trentenni con “I treni per Reggio Calabria” di
Giovanna Marini. Del resto Antonio Gramsci, Ernesto Laclau, Toni Negri e
Slavoj Zizek sono i testi nelle loro biblioteche. Questi i riferimenti
di el Coleta, insieme naturalmente a Game of Thrones ( Il Trono di
Spade, n.d.r.).
Podemos si è presentata in pubblico per la prima
volta il 17 gennaio 2014. Dopo 128 giorni, il 25 maggio, ha preso alle
europee un milione e duecentomila voti, 5 deputati eletti. 128 giorni,
una cosa mai vista. Ha seminato panico e condivisa ostilità in tutti i
partiti dell’arco costituzionale. A novembre, un mese dopo l’assemblea
dell’inno anti-franchista, i sondaggi li davano al 27 per cento, primo
partito di Spagna. Il 4 febbraio, a Madrid, hanno invaso la Puerta del
Sol. L’ultima previsione di voto, tre giorni fa, li vede al 27.7. Ancora
il calo il Pp di governo di Mariano Rajoy, al 20.9. In caduta libera il
Psoe del bel Pedro Sanchez, al 18.3. Alle prossime elezioni generali di
novembre 2015 se non si fermano vincono. «Non ci fermiamo. Non siamo
qui per fare testimonianza ma per governare», dice Iglesias. Il
manifesto del suo pensiero, da settimane bestseller, si intitola
“Vincere o morire. Lezioni politiche in Game of Thrones”. E’ ispirato
alla serie tv, avverte una nota, non ai libri. E’ scritto a molte mani
dai principali dirigenti di Podemos. Professori e ricercatori di
filosofia e scienze politiche, appunto. Per capirsi, i titoli di qualche
capitolo. Juan Carlos Monedero firma il saggio “Innamorarsi di un
camminante delle nevi ma sposare un Lannister”. Monedero, classe 1963, è
l’anziano del gruppo: politologo alla Complutense ed editore, già
assistente di Chavez, ora conduce il talk “La Tuerka”, una cosa come
‘giro di vite’ con la kappa a segnalare antagonismo: è il programma che
ha reso celebre Iglesias il quale tuttora, qualche giorno, lo conduce.
Altri capitoli del saggio. Ruben Martinez Dalmau: “Un uomo molto piccolo
può proiettare un’ombra molto grande. La legittimità del potere del re
in Game of Thrones”. Hector Meleiro: “Perché Ned Stark perde la testa?”.
Nella lunga prefazione lo stesso Iglesias spiega la musa ispiratrice di
Podemos sia Daenerys Targaryen, Madre dei Draghi e Distruttrice di
Catene. La regina Khaleesi insegna — scrive — che «né lignaggio né
diritti dinastici né stirpe bastano da soli a dare legittimità. Libera
gli schiavi e dice loro: non sono io che vi ho liberato, la libertà è
vostra». Un manifesto, in sostanza. «Serve in chi governa la connessione
con azioni esemplari. I governanti invece si comportano come Joffrey,
che pensa che gli basti stare seduto sul Trono di Ferro per essere
riconosciuto come legittimo rappresentante del potere. Sono trincerati,
barricati nei loro uffici dentro le loro macchine blindate ». L’odiata
casta. «Come in GoT anche nella nostra società si sono rotti i patti che
garantivano pace e stabilità. Il potere è contendibile. La sfiducia
cresce a ritmo esponenziale e ciascuno ha ogni giorno meno ragioni per
obbedire ». E’ questo un linguaggio, un esempio che chiunque in quella
generazione capisce. A destra come a sinistra. Le analisi dei flussi
elettorali mostrano che il 17 per cento degli elettori di Podemos viene
dal Ppe. Del resto Iglesias dice che «la parola sinistra impedisce a
chiunque abbia avuto un nonno fucilato dai rossi di votare per noi», e
la esclude. A destra e sinistra si sono sostituite nuove parole chiave:
quelli di sopra e quelli di sotto. Il «99 contro l’1 per cento», come
negli slogan di Occupy. Egemonia, legittimazione. Non classe operaia ma
precariato. Il nuovo soggetto politico. Le indagini pubblicate dalle
migliori riviste — La Maleta de Portbou una di queste — mostrano come in
sei anni, dal 2008 al 2014, sia aumentato di 12 punti il precariato dei
30-40enni di istruzione medio superiore. Una generazione che non ha
altro da perdere se non la sfiducia. La colonna vertebrale di Podemos,
il cui slogan è «Trasformare l’indignazione in cambiamento politico». In
governo, insomma. Qualche biografia aiuta a capire. Pablo Iglesias,
1978. Un nonno condannato a morte dal franchismo, poi graziato, un altro
fondatore dell’Ugt, sindacato paragonabile alla nostra Cgil. Prime
esperienze nella gioventù comunista, movimento no global, Izquierda
unida. Laurea in giurisprudenza e scienze politiche, master in
comunicazione. Un anno all’università di Padova, in contatto con Luca
Casarini. Fa carriera accademica e insieme conduce un programma in tv,
La Tuerka, che lo lancia come leader. La sua compagna, Tania Sanchez
Melero, 1979, è stata fino al 4 febbraio deputata per Izquierda Unida.
Ha abbandonato il gruppo per «creare una nuova formazione politica»,
vedremo quale. Anche lei, come il compagno con la coda di cavallo, viene
dai movimenti: ha un passato punk di cui il piercing al labbro re- sta
testimone. Teresa Rodrigues, 1981, andalusa, è stata eletta
all’Europarlamento dove indossa d’abitudine maglie Free Palestine.
Laureata in filologia araba viene dal mondo delle proteste anti-Nato,
attivista di Marea verde. Il suo film preferito è ‘Terra e libertà’ di
Ken Loach. Il suo libro d’elezione la raccolta di scritti di David
Franco Monthiel, classe 1976, una rassegna delle parole della protesta
dalla morte di Carlo Giuliani ad oggi. Gemma Ubasart, candidata a
guidare la formazione in Catalogna (le primarie si aprono oggi e si
chiudono il 14 febbraio) è docente di Diritto all’università di Girona.
Inigo Erregon, 1983, leader della campagna elettorale per le europee.
Ricercatore in Scienze politiche alla Complutense, tesi di dottorato
sulla politica dei Mas in Bolivia. Ha lavorato in Venezuela, era al G8
di Genova tra i manifestanti il giorno della morte di Giuliani. Poi c’è
il gruppo dei filosofi. Daniel Iraberri Perez e Luis Alegre Zahonero,
tra i tanti. Cresciuti nella contro-informazione, allievi di Carlos
Fernandez Liria, 1959, ideologo del gruppo e stretto collaboratore di
Hugo Chavez in Venezuela.
Sono queste le persone che hanno redatto il
manifesto di Podemos. Nazionalizzazioni, equo sistema fiscale, più
servizi pubcome blici, più partecipazione di base. «Un programma che
qualunque democratico può votare», dice Iglesias. «E se la signora
Merkel vuole governare il nostro paese venga a farsi eleggere qui.
Quanto all’euro: no, non usciremo dall’euro in nessun caso». Si
finanziano con il crowdfounding.
Qualche notevole donatore deve aver
avuto la sua parte nella fase d’impulso. Si parla di Jaume Roures,
imprenditore trotkista, già editore di Mediapro ( Publico, la Sexta ),
oggi produttore cinematografico: “Comandante” di Oliver Stone.
Il
problema, ora sull’onda del successo, è evitare di imbarcare
cambiacasacca corrotti e arrivisti, dice Iglesias. Succede spesso, è
successo in Italia a Di Pietro. «Ma noi abbiamo dalla nostra l’evidenza
del saccheggio prodotto dalla politica arroccata al potere. La
disillusione dei cittadini, la loro frustrazione è il motore del
cambiamento. Siamo qui per trasformarla, attraverso le migliori
competenze, in governo politico ». E’ «un utopista regressivo», dice
Felipe Gonzalez di Iglesias. «Populisti», volta le spalle Pedro Sanchez
il neo-segretario socialista. «Sovvertitori della democrazia », dicono i
leader del Ppe. «Sovvertitori del potere», corregge Iglesias, che di
nuovo cita la regina Khaleesi. «Il potere è scalabile. La legittimità è
nella connessione col popolo. Il potere nasce dalla moralità di azioni
esemplari. Poi serve un esercito». Da Game of Thrones alla conquista del
Regno. Il giovane Re Felipe di Borbone di certo conosce la saga. Se non
i libri, almeno la serie tv.
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