Ma Renzi lo gela: «Giusta la scelta della Bce»
di Antonella De Gregorio Corriere 6.2.15
Draghi fa ballare Grecia e Merkel
di Paul Krugman Repubblica 6.2.15
NELLA drammatica vicenda della Grecia le cose si fanno quasi folli.
In
pratica, la Bce non accetterà più in garanzia i titoli del debito
pubblico di Atene. La reazione iniziale all’annuncio da parte di alcuni
osservatori è che questa è la fine e che la Bce di fatto sta staccando
arbitrariamente e bruscamente la spina. Ancor prima che avessi modo di
approfondire i particolari, però, ho intuito che non deve essere così.
Di Mario Draghi si possono dire molte cose: che forse non riuscirà a
salvare l’euro, e che forse commetterà qualche errore madornale. Ma
ottusità e durezza no, non rientrano nel suo stile. Certo, stiamo
parlando di una decisione che implica molto più di quanto abbiano
suggerito i primi titoloni. Le banche greche non fanno più molto ricorso
a questo canale di finanziamento, che non necessariamente le mantiene a
galla. Tramite la loro banca centrale, le banche greche potranno
continuare a chiedere prestiti indirettamente. Di conseguenza, non si
tratta di un evento in grado di innescare una crisi.
Qual è il punto, allora? Si tratta di un atteggiamento. Di un segnale. Ma lanciato a chi? E a quale scopo?
Forse
si tratta di uno sforzo mirante a spingere i greci a raggiungere un
accordo, ma secondo me — e la mia è una semplice supposizione — tutto
ciò di fatto è rivolto ai tedeschi.
Da un lato, la Bce sta facendo la
voce forte, così da togliere un po’ i tedeschi dal groppone dei greci.
Dall’altro, si tratta di un vero e proprio segnale d’allarme: “Cara
Cancelliera Merkel, ormai siamo tanto vicini a un crac delle banche e
all’uscita di Atene dall’euro. Sei sicura, davvero sicura, di voler
proseguire lungo questa strada? Davvero davvero?”. È un colpo
d’avvertimento a tutti, affinché capiscano che cosa accadrà in seguito.
Draghi sa quello che sta facendo? No, ovviamente. Nessuno, in simili
circostanze sa esattamente che cosa sta facendo, perché siamo in un caos
strutturale. In ogni caso, non facciamoci prendere dal panico. Non
ancora.
La protesta Gli ateniesi in piazza mobilitati dalla Rete “Prima la gente, poi l’Ue” Polizia con i manifestanti
Centinaia di persone sui gradini del Parlamento liberati ormai da ogni protezione Doppio scoglio per il premier: la fiducia al governo e il candidato alla Presidenza
di Ettore Livini Repubblica 6.2.15
MILANO
Atene – convocata via Facebook – scende in piazza per protestare contro
la Bce. E Alexis Tsipras, rientrato in patria dopo il tour europeo,
chiude la porta alla richiesta di rinnegare le promesse elettorali nel
nome del compromesso con Bruxelles: «Siamo un Paese sovrano e
democratico – ha detto ieri ai parlamentari di Syriza dopo il giuramento
del nuovo Parlamento – Abbiamo un contratto con chi ci ha votato e
onoreremo i nostri impegni ». Tradotto per i creditori: il programma di
governo che verrà presentato da domenica in aula (un’altra partita
delicatissima per il premier) dovrebbe contenere le misure – rialzo
dello stipendio minimo e assistenza sanitaria universale su tutte –
andate di traverso a Berlino.
I greci, almeno per il momento,
sembrano ancora schierati al suo fianco. Lo schiaffo di Eurotower ha
scatenato una rivolta social nel Paese. Poche ore dopo la decisione di
Francoforte, un gruppo di ragazzi ha lanciato via Facebook l’idea di una
manifestazione contro Mario Draghi (“No ai ricatti, non abbiamo paura”
lo slogan) e di sostegno a Tsipras. Il tam tam virale ha funzionato e in
un tramonto luminoso e tiepido – ad Atene ieri c’erano 21 gradi –
piazza Syntagma ha ospitato il primo corteo digitale della storia.
Migliaia di persone senza bandiere di partito – “La gente conta più dei
mercati”, recitava uno dei pochi cartelli issati sopra le teste – a
conferma della trasversalità del consenso anti-austerity di Syriza.
Tutti pigiati sulle scale di fronte al Parlamento aperte al pubblico per
decisione del governo pochi giorni fa con l’eliminazione delle
transenne anti-contestatori piazzate da Antonis Samaras nel 2012. La
polizia ha seguito la manifestazione da lontano e con discrezione, quasi
fosse schierata a fianco dei manifestanti.
Tsipras però non si fa
troppe illusioni. E sa che la strada è in salita, non solo in Europa ma
anche quando gioca in casa. Ieri gli esperti economici di Syriza hanno
aperto un filo diretto con la banca centrale per verificare se lo stop
della Bce all’uso di titoli di Stato ellenici come garanzia per
finanziamenti al sistema creditizio avesse scatenato – come temono in
molti – una corsa ai Bancomat. Dati ufficiali non ce ne sono ma fonti
vicine al partito confermavano in effetti un timido rialzo, pur se
ancora non da allarme rosso, di prelievi. «I depositi sono al sicuro»,
ha provato a gettare acqua sul fuoco il Governatore Yannis Stournaras.
Ma i risparmiatori hanno buona memoria e non dimenticano che la stessa
rassicurazione era stata fatta ai ciprioti pochi giorni prima che il
Paese mettesse dalla sera alla mattina rigidi controlli sui capitali
usando poi le cifre oltre i 100mila euro sui conti correnti per salvare
le banche nazionali.
Il primo cruccio del premier – che il 9 maggio
su invito di Vladimir Putin sarà in visita ufficiale a Mosca – è però
quello della fiducia al governo in Parlamento. L’iter partirà domenica
per concludersi con un voto martedì. Sulla carta non c’è storia. La
strana coppia rosso-nera Syriza-Anel ha in aula 162 voti su 300. Il
passaggio però è lo stesso molto delicato e Tsipras dovrà stare attento a
calibrare anche le virgole. Se il programma dell’esecutivo replicherà
in fotocopia quello presentato agli elettori – luce e pasti gratis ai
poveri, riassunzione di chi è stato licenziato senza giustificazione,
ritorno ai contratti collettivi e stop alle privatizzazioni, per capirsi
– Bruxelles e Bce potrebbero far saltare subito il tavolo dei
negoziati, spingendo Atene verso il default. Se invece farà qualche
concessione di troppo ai creditori, rischia di scatenare la rivolta
interna al suo partito dove l’ala più massimalista e di sinistra (su
alcuni punti più rigida di Wolfgang Schauble) ha già mal digerito
l’alleanza con la destra di Panos Kammenos.
La strada insomma è molto
stretta. E il rischio di incidenti di percorso è altissimo. Il rischio,
dicono i catastrofisti, è che il Paese sia costretto a tornare subito a
nuove elezioni in caso di divisioni interne a Syriza, con conseguenze
politiche e sociali (Alba Dorata è pronta a monetizzare i guai altrui)
che nessuno vuole nemmeno immaginare. Incassata la fiducia, Tsipras
dovrebbe presentare mercoledì il nome del candidato alla Presidenza
della Repubblica. Qualche giorno fa si era ipotizzato il nome
affascinante del regista Costa Gavras. Il premier però potrebbe calare
un asso a sorpresa: un candidato del centrodestra, nel nome dell’unità
nazionale. Qualche avances sarebbe stata fatta a Kostas Karamanlis, ex
premier e “totem” di Nea Demokratia. La scelta però potrebbe cadere su
Dimitris Avramopoulos, commissario agli Affari Interni della Ue, altro
uomo del partito dell’ex nemico Samaras. Il senso della scelta sarebbe
chiaro: la partita per salvare la Grecia è delicatissima. E, nel nome
della realpolitik, c’è bisogno davvero di tutti.
Gianni Cuperlo “Renzi cambi l’Italia con la sinistra ricominci prima che la casa si svuoti”
“Finito il Patto del Nazareno? Non mi metto a lutto. Ma se sul Quirinale è andata bene ora serve uno scatto Non cambiare Italicum e Senato è un errore. Matteo si fidi di più del suo partito, quando l’ha fatto non s’è pentito
Tsipras e Podemos danno voce a bisogni ignorati. Ora si punti su una Ue radicalmente diversa”intervista di Alessandra Longo Repubblica 6.2.15
ROMA
Gianni Cuperlo, chi l’avrebbe detto, solo un mese fa: abbiamo un capo
dello Stato votato da tutto il Pd (ma non solo), il Patto del Nazareno è
agonizzante, il centrodestra allo sbando. Con Mattarella cambia
l’orizzonte della politica.
«Sarà un ottimo presidente, aiuterà a
ricucire il legame tra il Paese e le istituzioni. Ha doti morali e
politiche per riuscirci. Darà stabilità e, non a caso, le destre
reagiscono in modo scomposto».
Addio Patto del Nazareno.
«Non sarò io a vestire il lutto. Piuttosto l’insieme di questi fatti chiede uno scatto».
Uno scatto? Renzi ha giocato bene la sua partita.
«Sì,
è stato abile. Ha compreso il senso del confronto nel Pd. Il nome di
Mattarella era tra quelli sostenuti dalle minoranze e, per una volta,
l’ascolto ha prevalso sulla diffidenza. Lo considero un bene. Se esiste
un metodo Mattarella è fatto di condivisione, della capacità di
scegliere le persone giuste, e Mattarella lo è, e dell’ascolto del
Parlamento. Ma per avere l’unità del Pd bisogna cercarla».
Cioè ancora non ci siamo.
«La
sinistra deve guardarsi dentro con sincerità. Alle spalle abbiamo una
storia importante che non si è proiettata in un tempo nuovo. L’esito è
il venir meno persino di una solidarietà delle classi dirigenti poco
generose e alla fine fragili. La verità è che Renzi ha trovato in errori
e avarizie di prima un viatico per la rottamazione. Io dico, cominciare
daccapo prima che la casa si svuoti».
Podemos in Spagna e Tsipras in Grecia sfidano tutti voi.
«Rappresentano
bisogni ignorati da partiti avvitati su se stessi. In questo pesa la
fiacchezza del socialismo europeo. Di fronte alla crisi peggiore della
nostra vita il riformismo classico ha reagito con flessibilità sui conti
e le primarie per la scelta dei leader. E’ stato come assistere
all’incendio confidando nella pioggia».
Sui tempi lunghi teme una
inadeguatezza del Pd?
«Il
mio problema è comprendere se il Pd è in asse con la spinta che si è
messa in moto. Voglio capire se rispetto all’Europa scommettiamo su
un’architettura radicalmente diversa. Il banco di prova sarà l’agenda
dei prossimi mesi».
A cominciare dalle riforme.
«Sì, a cominciare
da lì. Su quella costituzionale rischia di uscire un modello ambiguo.
Non si è scelto tra un Senato delle garanzie o delle autonomie. Allora
finché siamo in tempo cambiamo quello che va corretto tanto più dopo la
fine del Patto del Nazareno. Lo dico al premier: “Fidati di più del
Parlamento e del tuo partito. Quando lo hai fatto non te ne sei
pentito”».
Ovviamente non vi va bene nemmeno l’Italicum.
«Coi
capolista bloccati avremo una maggioranza di nominati e non è una scelta
popolare. Perché non consentire gli apparentamenti al ballottaggio?
Sarebbe una garanzia di governabilità in più. Quanto all’entrata in
vigore agganciamo la nuova legge alla riforma costituzionale ».
Peccato
che i renziani non vogliano cambiare più niente. «Sarebbe un errore e
un’occasione persa». La sua agenda delle priorità quale sarebbe? «Se sei
la sinistra il primo pensiero è per chi è rimasto in fondo. Salario
minimo, investimenti pubblici per modernizzare il paese, un piano di
salvataggio delle famiglie in povertà, occhio e cuore per le donne sole,
i pensionati. Se sei la sinistra e governi con Alfano, difficilmente
metterai la patrimoniale ma Obama alza l’aliquota sui profitti delle
multinazionali dispersi nei paradisi fiscali. E’ diverso da una
franchigia penale del 3 per cento per chi evade. Tanto più se la
moralità pubblica deve tornare a essere la nostra bussola. Se sei la
sinistra, per uscire dalla deflazione e rilanciare consumi e innovazione
devi trattare un congelamento del debito».
Manifesto di intenti...
«Senza
una sinistra autonoma il Pd cambia pelle, diventa una forza centrista e
moderata, ma in quel caso cambierebbe molto anche per ciascuno di noi.
Neppure basta dirsi riformisti, è un abito che indossano tutti. Bisogna
ridare senso a un’alternativa nelle politiche, nei bisogni, costruire
azioni e soluzioni su cittadinanza, diritti, lavoro, anche con la
sinistra e il solidarismo fuori dal Pd. Le battaglie di Libera o le
piazze della Camusso, figure come Pisapia, Vendola e Landini, quei preti
di periferia che aprono le parrocchie agli ultimi non sono fuori dal
nostro orizzonte. Con SinistraDem vogliamo dare una mano e fare da
ponte. E’ una marcia faticosa. Tanti sono i trasformismi e il richiamo
del potere somiglia alle sirene di Ulisse».
Renzi dice: 'Pazientate, per la rivincita aspettate il 2017'.
«Io
sono armato di infinita pazienza e non penso a rivincite, ma voglio
capire cosa stiamo diventando. Perché l’etica pubblica, prima di
predicarla la devi praticare. E allora le primarie liguri o la scelta di
Cofferati non le puoi archiviare in silenzio. Anche per questo assieme a
sigle e personalità stiamo costruendo appuntamenti dove allargare il
campo».
Cosa dovrebbe fare il segretario/ premier?
«Capire che
nella fatica del consenso dentro il suo partito oltre all’efficacia
delle scelte c’è anche la cifra della sua autorevolezza. Io gli dico:
“Cambiamo l’Italia come mai prima, ma facciamolo con la sinistra”».
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