La lezione sprecata di Malcom X il leader che sognava la rivolta dei neri
Ucciso ad Harlem era “l’antagonista” del reverendo King Ma cinquant’anni dopo la questione razziale resta ancora all’ordine del giorno negli Stati Uniti
di Federico Rampini Repubblica 21.2.15
NEW YORK «SE SUCCEDE un reato in quartiere nero arrivano 20 auto della polizia. Il dispiegamento di forze crea risentimento. I neri si sentono in uno Stato di polizia». Chi parla non è un ragazzo afroamericano in una delle recenti proteste dopo le uccisioni di Michael Brown a Ferguson e di Eric Garner a New York (neri, disarmati, uccisi da agenti bianchi). Quelle sono parole pronunciate da Malcom X, il grande leader afroamericano assassinato 50 anni fa. Una figura controversa, di cui oggi l’America riscopre una sorprendente attualità: sia la sua visione dei diritti umani calpestati nei quartieri neri, sia la sua dissociazione dall’Islam più fanatico e violento. Nell’America di Barack Obama, quella di Malcom X è stata a lungo una storia tabù: il primo presidente afroamericano ha potuto costruire il suo successo elettorale solo prendendo le distanze da qualsiasi forma di radicalismo. Guai a identificarsi con lo stereotipo del “nero arrabbiato”, che coagula diffidenza e ostracismo tra gli elettori bianchi, anche democratici. Tra “l’antagonista” Malcom e il profeta della non violenza Martin Luther King, Obama ha sempre scelto il secondo come riferimento storico, etico e politico.
Malcom X però fu una personalità molto più complessa di quanto si crede, aperto al compromesso con l’ala moderata del movimento per i diritti civili. A riscoprire la sua vera storia sta dando un contributo “Selma”, uno dei film candidati all’Oscar. Il Washington Post gli dedica un ampio reportage storico. “Selma” ricostruisce una vicenda dove il protagonista è l’altro grande leader afroamericano degli anni Sessanta, il reverendo King. Nel marzo del 1965 da Selma a Montgomery, in Alabama, si svolsero delle marce per i diritti civili, dapprima represse con violenza dalla polizia locale. Furono un capitolo chiave nella battaglia pacifista di King, che spinse il presidente Lyndon Johnson a far passare il Voting Rights Act: fino a quel momento negli Stati del Sud i neri di fatto non riuscivano ad esercitare i loro diritti di voto.
In “Selma” fa una breve apparizione anche Malcom X. Pochi minuti, quanto basta a sfatare tra il pubblico di massa una leggenda negativa che gli era rimasta incollata addosso. Il film descrive, in modo storicamente accurato, la visita di Malcom X a Selma nei giorni in cui King è in carcere. Malcom incontra la moglie del pastore, Coretta King. Lei è tesa, diffidente, ricorda che in passato Malcom ha definito suo marito “uno zio Tom” cioè un nero collaborazionista e subalterno ai bianchi. Il Malcom che Coretta si trova di fronte quel giorno, usa un linguaggio molto diverso, per nulla ostile: «Signora King, la prego di dire a suo marito che volevo visitarlo in carcere ma non ci riuscirò ora. Non sono venuto a Selma per rendere più difficile la sua missione. Penso solo che i bianchi devono capire che esiste un’alternativa, e allora forse saranno più disponibili ad ascoltare suo marito». L’alternativa a cui allude, è una forma di lotta più dura, che risponda colpo su colpo alle aggressioni della polizia. In quel breve dialogo Malcom allude a una divisione dei ruoli: lui e King hanno lo stesso obiettivo, le differenze sono solo di ordine tattico, e possono aiutarsi a vicenda.
La storia di quell’avvicinamento tra Mal- com e l’ala non violenta, ha un epilogo tragico poco tempo dopo. E’ il 21 febbraio 1965, quando Malcom X sale sul palcoscenico dell’Audubon Ballroom, storico teatro nel quartiere di Harlem a New York. Non fa in tempo a prendere la parola, e viene crivellato di colpi. Muore poco prima di compiere i 40 anni; oggi sarebbe sulla soglia dei 90. Molti gli avevano sconsigliato di entrare in quella sala. Da tempo Malcom X, pur sorvegliatissimo dall’Fbi, era oggetto di minacce di morte. Ce l’avevano con lui proprio per quella sua apertura a King, l’ala dura del movimento non gli perdonava il suo dialogo con i non violenti. Di più: la sua condanna a morte, probabilmente Malcom X l’aveva siglata uscendo dalla Nation of Islam, organizzazione radicale musulmana. Le indagini sull’assassinio di Malcom X sono inquinate da ogni sorta di interferenze, all’epoca vengono arrestati tre uomini, di cui due saranno rimessi in libertà negli anni Ottanta e non hanno mai smesso di proclamarsi innocenti. Uno storico afroamericano, Manning Marable, ha dedicato la sua vita a delucidare i misteri di quella esecuzione di 50 anni fa. Probabilmente furono cinque i sicari, tutti legati alla Nation of Islam e a personaggi come Elijah Muhammad, Louis Farrakhan. La chiave della tragedia è proprio il rapporto con la religione musulmana. Malcom Little, come si chiamava alla nascita, si converte all’Islam mentre è in prigione, nei primi anni Cinquanta, e sconta diverse condanne per rapina. Dal 1952 in poi diventa uno dei leader più influenti della Nation of Islam e contribuisce a farne un’organizzazione di massa con oltre mezzo milione di seguaci. Poi un lungo viaggio in Africa e in Medio Oriente, incluso il pellegrinaggio dello Hajj alla Mecca, lo spinge a un ripensamento. Si converte all’Islam sunnita, ne abbraccia la versione maggioritaria e moderata. Fino a sconfessare quello che lui stesso definisce «il razzismo nero-musulmano». Pur continuando a legittimare «l’autodifesa dei neri» in caso di aggressione da parte delle forze di polizia.
Nessun commento:
Posta un commento