giovedì 19 febbraio 2015
L'irruzione della modernità nell'arte: una mostra a Rovigo
Il demone della modernità. Pittori visionari all’alba del secolo breve
Palazzo Roverella di Rovigo, fino al 14 giugno
James Ensor, Paul Klee, Franz Von Stuck, Leo Putz, Odillon Redon, Arnold Böcklin, M. Kostantinas Ciurlionis, Max Klinger, Karl Wilhelm Diefenbach, Gustav Moreau, Mario De Maria, Guido Cadorin, Alberto Martini.
Il diavolo probabilmente
Una mostra a Rovigo raccoglie opere di grandi pittori simbolisti Così si espressero gli incubi dell’Europa di fronte ai cambiamenti della modernità tra Ottocento e Novecento Alle radici dell’inquietudine moderna le città regno degli oscuri visionari
di Melisa Garzonio Corriere 19.2.15
Paris brûle-t-il? Parigi brucia? Le truppe di Hitler non hanno ancora
invaso la Ville Lumière, eppure. Siamo nel ventennio fin de siècle, la
Belle Époque si sta avviando al tramonto, si spengono le luci dei
boulevard, finita la magia, basta champagne. È la modernità che avanza,
ma non ci sono istruzioni per l’uso. Bella la scienza, apre nuovi
orizzonti ma insieme porta tensioni e crea grossi scompensi. Forse il
passato era più seducente?
Il vento del cambiamento (e dello spaesamento) si coglie non solo nella
Parigi bella e corrotta di Baudelaire, ma soffia impetuoso in tutta
Europa, a Berlino, Vienna, Venezia, Dresda, Monaco, nella Londra noir di
Edgar Allan Poe. La guerra del ‘14 è alle porte, e nel ‘29 arriverà la
grande depressione che metterà in ginocchio l’economia del pianeta. Ma
torniamo a Parigi. C’è un pittore, apparentemente incurante dei venti
avversi, che si fa cronista dei fatti in chiave seducente, ambienta le
sue tele in luoghi eclettici, esotici e fiabeschi, fa di ogni derelitto
l’emblema di condizioni, caratteri, di destini e maledizioni: si chiama
Gustave Moreau.
I suoi quadri, scriveva Zola, «sono enigmi... fantasticherie sottili,
complicate, enigmatiche, di cui non si riesce subito a svelare il
senso». Insensatezze che però interpretano stati d’animo e inquietudini
collettive. È da Moreau, dal suo luciferino armamentario di sfingi,
chimere, rapaci, mostri e incubi che prenderà le mosse la corrente del
Simbolismo europeo. Ed è con due tra le tele più citate e dissacranti
del pittore francese, Edipo e la sfinge e Salomè danzante che si apre il
percorso della mostra «Il demone della modernità» al Palazzo Roverella
di Rovigo (fino al 14 giugno).
L’eroe antico e la danzatrice lasciva, due temi che Moreau ha replicato
ossessivamente, fin quasi alla morte. Scaldata l’atmosfera, si dà la
parola ai pittori che sulla scia del maestro visionario hanno
interpretato il nuovo con gusto nero e interventi audaci. Una trentina
di nomi, con tante celebrità: Marc Chagall, Paul Klee, Max Klinger,
Odilon Redon, Félicien Rops, Leo Putz, Alberto Martini. Ma la mossa
vincente del curatore, Giandomenico Romanelli, è aver portato a Rovigo
artisti magnifici e quasi sconosciuti, come Sascha Schneider, Oskar
Zwintscher, Mirko Racki.
Dipingono donne, diavoli e metropoli impossibili. Come quelle di
Mikalojus Konstantinas Ciurlionis, una pittura intrisa di nebbie
colorate, un vedo non vedo di acropoli con torri immaginarie e cieli
rarefatti.
Fu un «mistico veggente», come lo definiva Bernard Berenson, colto fino
alla ricercatezza e dotato, anche, di poteri taumaturgici. «Un’arte
magica — come osservava lo scrittore Romain Rolland ammirando le
riproduzioni dei suoi quadri sulla rivista russa Apollon — di fronte
alla quale si prova la stessa sensazione di quando, addormentandoci
all’improvviso, ci sembra di volare».
E in questa sorta di sogno a occhi socchiusi, ecco apparire gli angeli,
custodi meditabondi di paesaggi che adombrano una modernità addirittura
industriale. «Quegli angeli sembrano vegliare su città antiche ma anche
futuribili, sono Babilonia e Gerusalemme, metropoli celesti e
città-macchine silenziose come cimiteri arcaici», spiega Romanelli,
indicando l’incredibile tela notturna con creatura alata intitolata
Demonio: una cornice di cipressi böckliniani alternati a colonne doriche
e torri di Babele che custodisce una figura oscura con grandi ali da
pipistrello.
Sarà il demonio, ma a noi pare una prefigurazione di Batman, il
Cavaliere oscuro. E come non accostare a Gotham City, teatro delle
imprese del supereroe della DC Comics, la New York livida e saettante
dall’acqua nera della baia, dipinta nel 1930 da Gennaro Favai dal ponte
del piroscafo Conte Rosso? La mostra arriva in porto con questo quadro
omaggio al film Metropolis (1927) di Fritz Lang, che a sua volta ebbe la
visione del capolavoro mentre stava sbarcando a New York per la prima
dei Nibelunghi .
«La mostra — conclude Giandomenico Romanelli — vuole cogliere e
percorrere lo spazio di mezzo , il tempo contrastato e irripetibile in
cui la modernità si mostra come in visioni e illuminazioni che ciascuno
interpreta sotto la specie di rivelazioni di forme e colori, di temi e
soggetti dominati da una travolgente forza visionaria».
Dall’inferno agli abissi umani Le raffinate astuzie di Satana
Tra Otto e Novecento Belzebù ha perso la sua carica simbolica e si è annidato nella psiche
di Roberta Scorranese Corriere 19.2.15
Nel 1872 un russo divorato dalla febbre del gioco scrisse I demoni , un
romanzo-affresco su una umanità posseduta, mossa da uno estremo istinto
di distruzione creatrice. Nello stesso anno, un pittore (anche questo
russo) dipinse una delle più singolari Tentazioni di Cristo: Gesù è
solo, in mezzo al deserto, il demonio non è visibile, non ha le consuete
sembianze caricaturali (come, per esempio, nelle Prove di Cristo di
Botticelli). Perché il demonio è in Cristo , è nella sua espressione
perduta, nelle sue mani strette dall’ansia, nelle pietre aride.
Così Fëdor Dostoevskij e Ivan Kramskoi hanno dato vita a una nuova,
rivoluzionaria visione di Satana. In Russia, e forse non a caso: nella
terra degli Zar il nichilismo assunse una fisionomia originale, sospesa
tra la filosofia e la denuncia sociale. L’eclisse di Satana, o, meglio,
la sua trasfigurazione, prende piede anche qui.
Un’eclisse che, nel periodo al centro dalla mostra «Il demone della
modernità», tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, poco
alla volta trasforma il demonio in qualcosa di interiore. Nevrosi, sensi
di colpa, rimorsi, tormenti modernissimi, poi sigillati dalle sentenze
di Freud (se non c’è Dio non può esserci il demonio, diceva in sintesi)
e, in definitiva, c’è la conferma della geniale intuizione di
Baudelaire: «Il miglior trucco del diavolo è nel convincerci che non
esiste».
Ma il percorso non è semplice: sin dalla metà dell’Ottocento Lucifero,
spogliato di una teofania impoverita, si annida nelle idee, prende a
nascondersi negli abissi insondabili dell’uomo descritti da Edgar Allan
Poe. Nel Diavolo nel campanile (1840) Belzebù compare nei panni di un
ometto insignificante e stravolge la normalità di un piccolo, sereno
borgo. Nell’inno A Satana di Carducci c’è tutta l’energia di un pensiero
libero, rivolto alle cose materiali — si è detto: da massone.
In Breve storia del diavolo (Castelvecchi), Alberto Cousté annota:
«Durante il secolo XIX il demonio si ritira per preparare una strategia
incentrata sulla metamorfosi». Il demone della modernità si nasconde, si
traveste, per poi ritornare e a volte torna in forma di caricatura: se
ne I fratelli Karamazov (ancora Dostoevskij!) appare a Ivàn in abiti
borghesi, nel Doktor Faust di Thomas Mann (1947) tornerà a sedersi in
salotto, di fronte al musicista Adrian Leverkühn. Nella novella La
Madonnina di Pirandello, se ne sta «in agguato dietro il seggiolone su
cui il padre beneficiale Fioríca sedeva con Guiduccio sulle ginocchia».
Il periodo a cavallo tra Otto e Novecento ha trasformato il demonio in
una fiction. Un «personaggio letterario che non turba la vita degli
uomini — scrive Cousté — anche se li istiga ad ampliare la coscienza e a
ribellarsi». Lucifero è astuto: ha capito che, se dio è morto, adesso
bisogna fare leva sulle nuove aspirazioni autarchiche dell’uomo. Lo
ritroviamo nella vena necrofila di Gottfried Benn o nell’iconoclastia di
Giovanni Papini, il quale, nel 1953, pubblica Il diavolo , saggio nel
quale auspica che se la misericordia di Dio è immensa, allora anche
l’angelo caduto verrà perdonato. Non verrà perdonato lui, Papini, che si
ritroverà il volume nell’Indice dei libri proibiti, ma ci penserà il
cinema a esorcizzare satanasso, a cominciare dalle commedie brillanti
come Harry a pezzi (1997) dove Woody Allen troverà un luciferino Billy
Crystal ad aspettarlo all’inferno. Ci voleva la concretezza semplice di
un Papa come Francesco a ricordarci che il demonio c’è eccome, che non è
una leggenda.
Forse è anche per questa recente consapevolezza collettiva risvegliata
dal pragmatismo del Pontefice che oggi libri come Sottomissione di
Michel Houellebecq, dove si ipotizza una Francia islamizzata, sono
capaci di destare preoccupazioni, evidenziando (come con il luminol)
quelle tracce demoniache ancora presenti nella realtà. Perché il diavolo
non è nel nemico, come ci insegna la teologia. Il diavolo è nel nostro
sguardo, più o meno consapevole. Il demone della modernità è più moderno
che mai.
L’eclissi della verità foraggia il Maligno
di Marco Ventura Corriere 19.2.15
Tempi propizi al demonio, i cambi d’epoca. Il nostro, all’inizio del
terzo millennio, come quello rievocato a Palazzo Roverella, tra fine
‘800 e primo ‘900. Si somigliano il demone moderno
di allora e il demone postmoderno di oggi. Trovano alimento nello
sconforto per un mondo al tramonto, nella paura per un nuovo mondo
ostile. I demoni infiltrano
la storia, la scienza, la tecnica; se ne impadroniscono. Di lì, sfidano
gli angeli e gli dei. Sostituiscono l’inferno al paradiso, al nirvana,
all’illuminazione. Mettono la religione in mano al potere e al denaro.
Come nel Vangelo, il diavolo è ricco e potente. Lo scorso ottobre, il
Papa ha chiamato alla battaglia contro «i principati e le potenze»,
contro Lucifero
e i suoi. Ci hanno fatto credere che il diavolo fosse «un mito, una
figura, un’idea», ha detto Francesco. Invece «il diavolo esiste»; ci
spara contro «frecce infuocate».
È il padre «dei bugiardi e della menzogna». Proprio nell’eclissi della
verità trova linfa il demonio. Gli artisti lo percepiscono. Esplorano le
ombre perché hanno fede nella luce. Sono blasfemi, ieri e oggi, perché
si ribellano alla menzogna. Dando forma al Maligno ne denunciano la
presenza; esplorando gli abissi del falso, spingono l’uomo verso il
vero. Per questo l’artista è indispensabile nei cambi d’epoca.
Per questo è perseguitato. Nel primo Novecento, toccò agli artisti
degenerati invisi a nazisti e comunisti. Oggi è ucciso in nome di Allah
chi profetizza un mondo in balìa dell’odio religioso. Come un secolo fa,
l’artista sente la tragedia incombente. Vede angeli e demoni in lotta.
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