martedì 24 marzo 2015

Dai piani del lavoro della Cgil al Jobs Act, la fine della democrazia - e della sinistra - in Italia

"Annali della Fon­da­zione Giu­seppe Di Vit­to­rio": Il piano del lavoro del 1949. Con­te­sto sto­rico inter­na­zio­nale e pro­blemi inter­pre­ta­tivi, Ediesse, pp. 384, euro 20

Risvolto
Questo numero degli Annali della Fondazione Giuseppe Di Vittorio affronta il problema storico del Piano del Lavoro, formulato dalla CGIL tra il 1949 e il 1950 e basato su un programma di corposi investimenti pubblici da parte dello Stato in campo agricolo, edilizio ed energetico per combattere la piaga strutturale della disoccupazione; un piano da realizzare con la costituzione di appositi enti di indirizzo e gestione, e da finanziare attraverso politiche monetarie e misure fiscali.
Il libro analizza alcuni precedenti storici, attraverso una serie di saggi che ripercorrono i momenti più rilevanti delle tendenze «planiste» degli anni Trenta e Quaranta, con l’obiettivo di fornire nuove indagini sulla dimensione internazionale nella quale il Piano del Lavoro venne a situarsi e sulle «influenze culturali» che in parte ispirarono, in parte condizionarono la formulazione del Piano. Inoltre, esso propone nuovi studi sulla sua elaborazione e sulle modalità con le quali fu proposto, discusso, accolto, e segnala nuovi strumenti di ricerca e fondi archivistici.
Il volume assume una rilevanza particolare proprio oggi che il tema si arricchisce di un’ulteriore tappa, con la proposta di un nuovo Piano del Lavoro, presentato dalla CGIL nel 2013 e finalizzato all’uscita dalla crisi più devastante conosciuta dal capitalismo dopo quella del 1929. Il collegamento tra i Piani del 1949 e del 2013, nonostante l’ampio arco di tempo che li separa, è giustificato dal fatto che entrambi individuano nella centralità del lavoro la via maestra per l’uscita dalla crisi, attraverso l’abbattimento della disoccupazione.


L’economia fuori schema 
Saggi. Il nuovo Annale della Fondazione Giuseppe Di Vittorio dedicato al rilancio del lavoro nell'Italia del dopoguerra. Si parte dalla crisi del '29 per poi guardare ai piani francesi e al New Deal americano 

Michele Fumagallo, il Manifesto 24.3.2015 

In tempi di domi­nio libe­ri­sta, rimet­tere al cen­tro il lavoro è più che una neces­sità. Stu­diare le ricette del pas­sato è ancora meglio e quindi si farebbe bene a non per­dere que­sto nuovo Annale della Fon­da­zione Giu­seppe Di Vit­to­rio dedi­cato a Il piano del lavoro del 1949 — Con­te­sto sto­rico inter­na­zio­nale e pro­blemi inter­pre­ta­tivi (Ediesse, pp. 384, euro 20). Va sol­tanto detto che que­sti Annali, come capita spesso a molte rac­colte dei lavori delle Fon­da­zioni, andreb­bero rivi­ta­liz­zati per evi­tare una serio­sità che può ren­derli pro­dotto buro­cra­tico di élite. 

Il volume di saggi, nella prima parte, ana­lizza il con­te­sto inter­na­zio­nale in cui si rispose — negli Stati uniti, l’Urss, la Ger­ma­nia, la Fran­cia e il Bel­gio, la Gran Bre­ta­gna e l’Italia — alla crisi eco­no­mica del 1929; per poi con­cen­trarsi nella seconda parte sul piano del lavoro della Cgil del 1949 nel nostro paese. 

L’ambizione del volume è anche quella di intro­met­tersi nel pro­blema oggi, con accenni al nuovo piano della Cgil di due anni fa ed è ciò che sug­ge­ri­scono Fabri­zio Loreto e Ste­fano Musso nell’introdurre i tre­dici saggi del libro. Un discorso solo accen­nato, ma forse è meglio così, per­ché richie­de­rebbe altra trat­ta­zione. Oltre a porre qual­che inter­ro­ga­tivo scot­tante sulla capa­cità, per un sin­da­cato in gran parte buro­cra­tiz­zato, di avere la stessa spinta pro­pul­siva del dopoguerra. 

Dun­que è la pia­ni­fi­ca­zione, parola stu­pi­da­mente in disuso oggi, ad emer­gere negli inter­venti sulle ricette post crisi 1929 nel con­te­sto inter­na­zio­nale. E se Marco Goz­ze­lino, nella sua dis­ser­ta­zione sul New Deal, rimarca l’ispirazione che esso ebbe sul Piano del lavoro della Cgil del 1949, David Bidussa si sof­ferma invece sul piano (plan) fran­cese e belga con un utile pre­messa sul signi­fi­cato poli­tico della parola: «Il pla­ni­smo è stato inter­pre­tato come un movi­mento di idee votato a dare ruolo e spa­zio al lavoro pro­dut­tivo e al sapere appli­cato. Include nel pro­prio pro­getto la domanda di riforme poli­ti­che facen­done un piano com­ple­men­tare di riflessione». 

Edmondo Mon­tali, Rita Di Leo, Michele Colucci, Lorenzo Mechi com­ple­tano la prima parte con le loro dis­ser­ta­zioni sulla Ger­ma­nia nazi­sta, l’Urss, la Gran Bre­ta­gna, il Piano sovra­na­zio­nale Schu­man (car­bone e acciaio). A Ste­fano Musso tocca poi l’analisi sulle poli­ti­che con­tro la disoc­cu­pa­zione in periodo fasci­sta. Le ricette di que­gli anni, soprat­tutto quelle del pla­ni­smo fran­cese e del New Deal ame­ri­cano, fanno da sfondo al Piano della Cgil di Giu­seppe Di Vit­to­rio nel 1949 con solu­zioni che rilan­ciano il lavoro come cen­tra­lità della per­sona e spinta all’economia sociale con inter­venti sull’edilizia popo­lare, sull’elettricità, sulle boni­fi­che. E qui, men­tre Adolfo Pepe sot­to­li­nea i limiti del piano in ambito indu­striale e Fabri­zio Loreto fa risal­tare l’abbandono di vec­chi schemi e l’apertura inno­va­tiva da parte della Cgil pur con con­trad­di­zioni, Maria Paola Del Rossi ci con­se­gna una disa­mina det­ta­gliata su come venne accolto il piano nelle realtà ter­ri­to­riali e sulle con­trad­di­zioni che si aprirono.

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