Robert Putnam: Our Kids.
The American Dream in Crisis, Simon & Schuster
Risvolto
A groundbreaking examination of the growing inequality gap from the bestselling author of Bowling Alone: why fewer Americans today have the opportunity for upward mobility.
It’s
the American dream: get a good education, work hard, buy a house, and
achieve prosperity and success. This is the America we believe in—a
nation of opportunity, constrained only by ability and effort. But
during the last twenty-five years we have seen a disturbing “opportunity
gap” emerge. Americans have always believed in equality of opportunity,
the idea that all kids, regardless of their family background, should
have a decent chance to improve their lot in life. Now, this central
tenet of the American dream seems no longer true or at the least, much
less true than it was.
Robert Putnam—about whom The Economist
said, “his scholarship is wide-ranging, his intelligence luminous, his
tone modest, his prose unpretentious and frequently funny”—offers a
personal but also authoritative look at this new American crisis. Putnam
begins with his high school class of 1959 in Port Clinton, Ohio. By and
large the vast majority of those students—“our kids”—went on to lives
better than those of their parents. But their children and grandchildren
have had harder lives amid diminishing prospects. Putnam tells the tale
of lessening opportunity through poignant life stories of rich and poor
kids from cities and suburbs across the country, drawing on a
formidable body of research done especially for this book.
Our Kids
is a rare combination of individual testimony and rigorous evidence.
Putnam provides a disturbing account of the American dream that should
initiate a deep examination of the future of our country.
Figli d’America, tempo scaduto
Il nuovo saggio del politologo Robert Putnam La degenerazione del tessuto sociale è un’emergenza
Corriere 12.3.15
NEW YORK Il 70 per cento dei ragazzi americani con padre e madre poco
istruiti cresce in famiglie nelle quali c’è un solo genitore. Solo il 10
per cento dei figli di coniugi laureati, invece, si trova in questa
condizione. Redditi troppo bassi non significano soltanto un tenore di
vita più modesto, sopra o sotto la soglia di povertà: le forti
diseguaglianze producono anche disgregazione delle famiglie, istruzione
inadeguata, solitudine dei giovani che non vengono seguiti adeguatamente
né aiutati a fare le scelte giuste. Una degenerazione del tessuto
sociale che si è manifestata gradualmente e ora è diventata emergenza:
nell’America degli anni Sessanta del Novecento le famiglie ad alta e
bassa scolarizzazione avevano più o meno la stessa struttura, ora tutto è
cambiato.
Dopo la denuncia dell’impatto economico della polarizzazione dei redditi
fatta un anno fa da Thomas Piketty, un economista francese, nel suo
Capitale , ora arriva quella di Robert Putnam sull’impatto sociale
dell’impoverimento delle classi sociali che hanno perso terreno sotto la
pressione della deindustrializzazione, dei processi di automazione,
della globalizzazione. Our Kids , il nuovo saggio dello scienziato
politico di Harvard è uscito da appena due giorni ma fa già discutere,
anche per il senso di urgenza che cerca di imprimere alle discussioni su
una crisi finita da tempo sul tavolo della politica, ma che fin qui non
ha trovato risposte. E invece, incalza Putnam, non si può aspettare che
venga completato l’esame scientifico dei fenomeni sociali in atto. Ci
vorranno anni, mentre qui bisogna agire subito, altrimenti diventerà
troppo tardi, come per il «climate change»: ghiacciai svaniti, livello
dei mari in crescita, alluvioni senza precedenti e città semisommerse
durante gli uragani, mentre si continua a discutere della natura dei
mutamenti climatici e dell’impatto dell’uomo sull’ambiente.
Quindici anni fa con Bowling Alone , potente denuncia dell’impoverimento
del «capitale sociale» di un Paese che stava perdendo il suo tessuto
associativo e nel quale aumentava l’isolamento dei singoli e dei gruppi,
Putnam scosse la coscienza dell’America. Si mosse perfino Bill Clinton
che lo chiamò alla Casa Bianca per discutere dei possibili rimedi.
Stavolta Putnam, che col suo appassionato saggio sul futuro dei nostri
figli spera di incidere sulla campagna per le Presidenziali 2016, si è
mosso in anticipo. È stato consultato più volte da Barack Obama (che ha
usato le tesi del politologo in alcun suoi discorsi sulla giustizia
sociale), ha discusso con Paul Ryan, un leader conservatore molto
attento alle questioni sociali anche se nemico dell’aumento della spesa
pubblica, mentre il candidato repubblicano alla Casa Bianca Jeb Bush ha
voluto vedere il libro in anteprima. Anche il team economico di Hillary
Clinton ha incontrato Putnam più di una volta.
Quello del professore di Harvard è un saggio scientifico: 284 pagine di
testo zeppe di grafici più cento pagine di note. Ma Putnam ha una
capacità unica di coinvolgere il lettore con le sue descrizioni delle
trasformazioni sociali delle realtà che ha studiato o che conosce
meglio, come quella della sua Port Clinton in Ohio. E riesce a
trasformare i grafici in creature viventi che raccontano i percorsi
divergenti fatti dalla spesa per i figli nelle famiglie più o meno
agiate o quelli dalle madri laureate e non nella ricerca di un impiego e
nella capacità di continuare a dedicare parte del tempo alla cura dei
figli.
Dietro le statistiche, poi, ci sono le storie: Putnam racconta di
ragazzi cresciuti senza guida in famiglie povere, progressivamente
devastate dall’apatia, dalla droga, dagli abbandoni del tetto coniugale,
mentre scuole e quartieri, che ancora qualche decennio fa erano luoghi
di rapporti interclassisti e di riequilibrio sociale, sono sempre più
comunità chiuse di una segregazione che non è più solo razziale ma anche
sociale: passa attraverso il reddito e l’istruzione e, oltre ai neri e
gli ispanici, colpisce ormai anche i ragazzi bianchi, figli delle
famiglie del ceto medio impoverito.
Oltre a far discutere, Our Kids è destinato a suscitare critiche. Ad
esempio per la sua scelta di rimettere il tema delle classi sociali al
centro del dibattito in un Paese che si era illuso di essere privo di
divisioni di questo tipo. E poi perché, in qualche modo, accantona la
questione razziale. Lo storico Francis Fukuyama ha notato sul «Financial
Times» che, leggendo il libro, ci si rende conto che le famiglie degli
afroamericani sono state come il canarino nella miniera di carbone: il
declino sociale dei loro quartieri nelle città Usa degli Anni 70 e 80
del secolo scorso è ora seguito, più di recente, da quello delle
famiglie del proletariato bianco.
Il limite del lavoro di Putnam sta nelle conclusioni. La ricetta
proposta dal politologo non è particolarmente originale: più
investimenti sociali nella cura dell’infanzia, una riforma della
giustizia criminale che riduca le pene detentive per i reati minori in
modo da lasciare a casa un numero maggiore di padri, scuole migliori e
più attività gratuite per il doposcuola oltre, ovviamente, alle azioni
necessarie per favorire un aumento dei redditi minimi. Lo studioso non
entra nel merito dei comportamenti politici che hanno portato alla
situazione attuale e questo suscita le critiche dei liberal, irritati
perché Putnam non mette sotto accusa esplicitamente il «darwinismo
sociale» dei conservatori e le politiche fiscali di Bush che hanno
favorito l’eccessiva polarizzazione nella distribuzione dei redditi.
Putnam forse non lo ha fatto perché non voleva perdere la possibilità di
influenzare, in vista delle elezioni presidenziali, anche una destra
che è, sì, antistatalista, ma che ormai è anch’essa seriamente
preoccupata per l’impoverimento di gran parte della società. Comunque,
tattiche politiche a parte, Putnam cerca di spostare la discussione dal
terreno economico del trasferimento del reddito, che pure è necessario, a
quello delle regole sociali e dei comportamenti etici. Un terreno che
piace a conservatori «illuminati» come David Brooks, che vede nel libro
di Putnam un’occasione per spostare la discussione sulla rinascita del
ceto medio dal terreno degli sgravi fiscali a quello della ricostruzione
delle regole sociali sulle quali deve basarsi l’organizzazione di una
famiglia capace di far progredire i suoi figli. Un «vocabolario morale»
che, secondo Brooks, non dipende solo dalla consistenza della busta paga
e dal benessere materiale.
Nessun commento:
Posta un commento