giovedì 12 marzo 2015
L'intervista di Swinton a Marx del 1880
Nel 1880 un giornalista americano incontrò l’autore del “Capitale” Ecco l’articolo inedito in Italia
Due chiacchiere col signor Marx e i suoi nipotini
Si trovava in vacanza nel suo cottage a Ramsgate attorniato dalla famiglia Qual è, gli chiesi a un tratto, la legge ultima dell’esistenza. “La lotta”, mi rispose
di John Swinton Repubblica 12.3.15
FRA gli uomini più degni di nota del nostro tempo vi è di sicuro Karl
Marx, colui che ha giocato un ruolo imperscrutabile eppure decisivo
nella politica rivoluzionaria degli ultimi quarant’anni. È uomo scevro
da qualsiasi brama di esibizione e di successo, indifferente alla gran
fanfaronata della vita e alla messinscena del potere, privo di premure
ma infaticabile, dotato di una mente possente, in grado di spaziare e di
raggiungere vette sublimi e traboccante di ambiziosi progetti,
strumenti logici e scopi pratici.
Egli è stato ed è tuttora più di chiunque altro in Europa, ivi incluso
lo stesso Giuseppe Mazzini, l’ispiratore dei tanti terremoti che hanno
sconvolto nazioni e fatto crollare dinastie e che minacciano e fanno
inorridire oggi teste coronate e ciarlatani matricolati. Da studente a
Berlino, da critico della filosofia hegeliana, direttore di giornali e
corrispondente di vecchia data del New York Tribune ha avuto modo di dar
prova delle proprie qualità e della propria tempra; fondatore e spirito
guida dell’un tempo temuta Internazionale nonché autore del Capitale, è
stato espulso da mezza Europa, bandito nella quasi totalità dei paesi
del continente per trovare infine, negli ultimi trent’anni, rifugio a
Londra.
Durante il mio ultimo soggiorno londinese egli si trovava a Ramsgate, la
nota località di mare meta abituale degli abitanti della capitale
britannica, ed è lì che sono andato a trovarlo nel suo cottage,
attorniato dalla famiglia composta di figlie e nipoti. La donna
aggraziata e gentile che mi accoglie alla porta, dal cui volto promana
un’aura di santità e la cui voce giunge dolce alle mie orecchie, è con
tutta evidenza la padrona di casa, la moglie di Karl Marx. Ed è forse
quest’ultimo l’uomo sulla sessantina che mi trovo di fronte, la testa
enorme, il fare magnanimo, i modi raffinati e cortesi e una massa di
lunghi capelli grigi festanti? Il suo modo di conversare mi ha ricordato
quello di Socrate, tanto era libero, in grado di spaziare, creativo,
incisivo e sincero, con i suoi accenti beffardi, il bagliore delle sue
punte umoristiche e la sua giocosa allegria. Egli si è dilungato sulle
forze politiche e sui movimenti popolari propri dei vari paesi europei:
l’ampia corrente dello spirito russo, i movimenti della mente tedesca,
l’azione francese, l’immobilismo inglese. Ha parlato con fiducia e
ottimismo della Russia, seguendo un registro filosofico della Germania,
in maniera allegra della Francia e rabbuiandosi dell’Inghilterra,
riferendosi in particolare in maniera sprezzante alle «riforme
atomistiche » che impegnano le giornate dei deputati liberali al
parlamento britannico.
Esaminando la realtà europea un paese dopo l’altro e indicandone le
peculiarità, gli sviluppi e le personalità, tanto quelle che agiscono in
superficie quanto quelle che operano al di sotto di essa, egli è
riuscito nell’intento di dimostrare come tutto tenda verso fini che non
potranno che realizzarsi. Mentre parlava sono rimasto spesso sorpreso.
Appariva infatti chiaro come quest’uomo, del quale sappiamo così poco e
sentiamo parlare così di rado, abbia una conoscenza profonda del proprio
tempo e come la sua mano sia all’opera ovunque, dalla Senna alla Neva,
dagli Urali ai Pirenei, intenta a preparare l’avvento di una nuova era. E
questo lavoro, va detto, non è invano; non lo è oggi come non lo è
stato in un passato che ha visto la realizzazione di diversi cambiamenti
quanto mai opportuni, che ha assistito a tante lotte eroiche e in cui
il culmine è stato raggiunto con la fondazione della repubblica
francese.
Mentre parlava, la domanda che gli avevo rivolto — «Perché, oggi, lei
non è più politicamente attivo?» — è stata percepita come un
interrogativo posto da uno sprovveduto, al quale egli non riusciva a
rispondere in maniera diretta. Alla mia richiesta di spiegazioni circa
il fatto che la sua grande opera, Il Capitale, il campo arato fonte di
un così ricco raccolto, non fosse stata tradotta in inglese
dall’originale tedesco mentre ne erano già uscite una versione in russo e
una in francese, egli è sembrato impossibilitato a rispondere, anche se
ha detto che una proposta di traduzione in inglese gli è giunta da New
York. Ha aggiunto inoltre che il libro già pubblicato è in realtà solo
una piccola parte di un lavoro ben più ampio, che ne conterà alla fine
tre, due delle quali ancora inedite, nel quadro di una trilogia su
«Terra», «Capitale » e «Credito». La terza parte, ha detto, trova negli
Stati Uniti, dove il credito ha avuto un così formidabile sviluppo, un
ambito di esemplificazione privilegiato. Il signor Marx è un acuto
osservatore degli eventi americani e i suoi commenti relativi ad alcune
delle forze che orientano e sostanziano la vita del nostro paese sono
stati per me altamente evocativi. A questo proposito, parlando del suo
Capitale egli ha affermato che chi volesse leggerlo troverà la
traduzione francese, da tanti punti di vista, di molto superiore
all’originale tedesco. Il signor Marx si è poi riferito al francese
Henri Rochefort e, dal modo in cui ha parlato di alcuni dei suoi seguaci
ormai deceduti, dall’impetuoso Bakunin all’acuto Lassalle passando per
altri, ho potuto rendermi conto di come il suo genio avesse esercitato
un forte influsso su uomini che, in altre circostanze, avrebbero potuto
dirigere il corso degli eventi storici. Il pomeriggio va spegnendosi nel
crepuscolo di una serata inglese estiva quando il signor Marx,
continuando la conversazione, propone di fare una passeggiata attraverso
la cittadina di mare e lungo la battigia fino a raggiungere la
spiaggia, che troviamo colma di diverse migliaia di persone, per lo più
bambini, intente a divertirsi. Lì incontriamo sulla sabbia la sua
squadra di familiari: la moglie, che mi aveva già accolto all’ingresso,
le due figlie con i loro bambini e i due generi, di cui uno è professore
al King’s College di Londra e l’altro, se ricordo bene, un letterato.
Un quadretto delizioso, composto da dieci persone in tutto, col padre
delle due giovani mogli felici di stare coi loro bambini e la nonna di
questi ultimi appagata dalla letizia e dalla serenità della propria
indole coniugale. Karl Marx comprende l’arte di essere nonno non meno
bene dello stesso Victor Hugo, ma è più fortunato di quest’ultimo nella
misura in cui la sua prole coniugata è tuttora in vita a festeggiarne i
compleanni.
Al calar della notte, lui e i suoi due generi si separano dalle
rispettive famiglie per trascorrere ancora un’oretta col proprio ospite
americano. La conversazione si è concentrata a quel punto sul mondo,
sull’uomo, sul tempo e sulle idee, mentre i nostri bicchieri
tintinnavano in riva al mare. Il treno non aspetta e la notte è ormai
vicina. Al di sopra del caos e del brusio che caratterizzano la nostra
epoca come ogni epoca, a coronamento delle discussioni avute durante il
giorno e delle scene viste in serata, si era fatta strada nella mia
mente una domanda riguardante la legge ultima dell’esistenza alla quale
desideravo che il saggio che avevo di fronte offrisse una risposta.
Tuffandomi quindi negli abissi del linguaggio e innalzandomi a un tempo
fino alle vette del massimo trasporto, durante una pausa di silenzio
interrogai il rivoluzionario e il filosofo pronunciando le gravi parole
«Cos’è?». La sua mente mi è parsa allora quasi capovolgersi, almeno per
un attimo, mentre osservava il ruggire del mare di fronte a sé e la
folla irrequieta sulla spiaggia. «Cos’è?», avevo chiesto, ed egli ha
risposto, in maniera assorta e grave: «La lotta!». In un primo momento
mi è sembrato di udire l’eco della disperazione ma, forse, era solo la
legge della vita. (Traduzione di Marco Zerbino)
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