domenica 1 marzo 2015

Il libro di Varoufakis

Risultati immagini per Varoufakis: Il MinotauroYannis Varoufakis: Il Minotauro Globale, Asterios

Risvolto
Il Minotauro Globale confuta provocatoriamente la credenza che la crisi finanziaria globale sia stata causata da regolamentazioni inefficaci, avidità e globalizzazione, e diagnostica un malessere molto più profondo con origini risalenti agli anni ‘70. Proprio come il mostro mitologico richiedeva un tributo, così gli Stati Uniti e Wall Street hanno ricevuto vasti capitali dal ‘’resto del mondo’’ e hanno dominato l’economia mondiale dai primi anni ‘80 al 2008.

La crisi in Europa, i dibatti negli Usa su ulteriori stimoli fiscali e gli scontri tra la Cina e l’ amministrazione Obama sui tassi di cambio sono gli inevitabili sintomi di un sistema globale ormai insostenibile a causa del suo essere sbilanciato.

Varoufakis delinea le opzioni disponibili per reintrodurre un briciolo di ragione in un ordine economico globale assolutamente irrazionale.





Sommario
1. Introduzione,  2. Laboratori del futuro,  3. Il progetto globale,  4. Il Minotauro Globale,   5. Le ancelle della Bestia,   6. Crollo,   7. Le ancelle al contrattacco,   8. Il retaggio globale del Minotauro: il Sole Impallidito, le Tigri Ferite, un’Europa Volubile e un Dragone Ansioso, 9. Un futuro senza il Minotauro?

"Siamo un Impero, ora e ogni volta che agiamo, creiamo la nostra realtà. Mentre voi studierete quella realtà – con tutta l’attenzione che volete – noi agiremo ancora, creando altre realtà cosicché potrete studiare anche quelle ed è così che le cose si svilupperanno. Noi siamo i protagonisti della storia […] e a voi, a tutti voi, non resterà che studiare quello che noi facciamo."

Con queste parole, un alto funzionario degli Usa colse con precisione l’essenza della grandiosa spavalderia dell’America postbellica. Gli Stati Uniti distrussero la realtà preesistente non una bensì due volte, per crearne di nuove. La prima volta non avevano altra scelta. La Seconda guerra mondiale aveva imposto all’America il ruolo di ideatore di realtà, sia pure contro la sua volontà. Ed essi risposero brillantemente, con un Piano globale che diede avvio alla stagione più felice del capitalismo globale. Quando poi il Piano globale ebbe raggiunto la sua data di scadenza, gli Stati Uniti non persero più tempo a tergiversare o a “studiare” la realtà esistente.

Piuttosto, cercarono attivamente di disintegrare la realtà che stava già degenerando, in modo da provocare una decisiva crisi mondiale da cui sarebbe uscita una realtà ben più nuova e vitalissima: il Minotauro globale. Per la seconda volta nella sua storia, l’America aveva ridisegnato il mondo non tanto a propria immagine e somiglianza, bensì in un modo che aveva trasformato una strisciante debolezza in una maestosa egemonia.
La chiave del successo dell’America fu il riconoscimento dell’indispensabilità di un meccanismo di riciclo delle eccedenze globali (gsrm). L’egemonia differisce dal dominio, o dal volgare sfruttamento, in quanto il vero egemone capisce che il suo potere deve essere rialimentato non mediante l’ulteriore prelievo dai suoi sudditi, bensì dall’investimento nelle loro capacità per generare eccedenze. Per togliere ai suoi sudditi, l’egemone deve padroneggiare l’arte di dare in cambio. Per mantenere il potere, deve sostenere le proprie eccedenze: ma per far questo, deve reindirizzare copiose quote di quelle eccedenze ai suoi subordinati.
Manovrando le due distinte realtà del dopoguerra che aveva creato con una sola mano, l’America dedicò grande attenzione a instaurare un gsrm che potesse essere via via aggiustato, di cui si aspettava di mantenere il completo controllo. Nel periodo del Piano globale, prevedeva di diventare il paese che avrebbe messo in circolazione più eccedenze. Pertanto la sua egemonia si imperniava sul riciclo di grosse quote del suo capitale in eccedenza (accumulato grazie ai suoi surplus commerciali) in Giappone e in Europa; così com’era concepita, beneficiava di questo riciclo, dato che i giapponesi e gli europei usavano i trasferimenti per acquistare beni e servizi prodotti o controllati dagli Usa.
Quando gli Stati Uniti si trovarono, inavvertitamente, in una situazione di grave deficit commerciale e di bilancio, decisero di andare avanti. Provocarono un terremoto globale come preludio dell’Età del Minotauro globale: la mia allegoria di un gsrm all’ingrosso che invertiva il flusso di commercio globale e flussi di capitale. Per questo l’America avrebbe dovuto rifornire i centri industriali stranieri di una domanda sufficiente alla loro produzione, in cambio di circa l’80 per cento dei loro flussi di capitale. Il fatto che questa transizione violenta impiegasse almeno un decennio di terribile disintegrazione, crisi del credito, instabilità generalizzata e stagflazione globale era, per le élite americane, un prezzo ragionevole da pagare: non più di un costo di transizione, per il quale l’economia sociale del mondo e le famiglie operaie d’America ricevettero il conto dei nostri protagonisti della storia: gli astuti funzionari che si succedettero nell’amministrazione di tutte le presidenze americane, una dopo l’altra.

Il ministro dell’Economia del Governo Tsipras lo definiva pieno di «buone intenzioni», «di promesse che non possono e non saranno soddisfatte»



Fuga dall’austerità 
Eurolandia. «Il Minotauro Globale» è un saggio di macroeconomia marxista del ministro greco per le finanze Yannis Varoufakis. Vi analizza le origini della crisi e la nascita della speculazione come unico modello, dall'America all'Ue 

Christian Marazzi, 24.2.2015
Nulla ci rende umani quanto l’aporia: quello stato di intenso diso­rien­ta­mento in cui ci tro­viamo quando le nostre cer­tezze vanno a pezzi». Così ini­zia il libro di Yanis Varou­fa­kis, Il Mino­tauro Glo­bale (Aste­rios Edi­tore, tra­du­zione di Piero Budi­nich, Trie­ste 2015). Il mini­stro delle finanze greco si rife­ri­sce al set­tem­bre del 2008, i giorni della crisi della Leh­man Bro­thers e di un’intera epoca, quella del capi­ta­li­smo finan­zia­rio. Ma lo stato di apo­ria non si è certo dis­solto, lo stiamo vivendo in que­sti giorni di nego­zia­zione tra la Gre­cia e l’Unione euro­pea, giorni di «guer­ri­glia seman­tica» se non fosse per la posta in gioco, la con­qui­sta di un mar­gine di tempo per avviare quel pro­cesso di rico­stru­zione interno di cui il popolo greco ha dram­ma­ti­ca­mente biso­gno. Di cui tutti noi abbiamo biso­gno, se è vero che l’esperimento Syriza, quell’essere «den­tro e con­tro» il sistema mone­ta­rio e finan­zia­rio euro­peo, rap­pre­senta il primo ten­ta­tivo di «ver­ti­ca­liz­zare» i movi­menti, di far tran­si­tare biso­gni, riven­di­ca­zioni, aspi­ra­zioni dai luo­ghi con­creti e sof­ferti in cui si espri­mono all’unico piano isti­tu­zio­nale ade­guato, quello euro­peo in cui si gioca la par­tita deci­siva. Vec­chia tat­tica per una nuova stra­te­gia, e l’avvio, per quanto este­nuante, convince. 


Oltre il crack
Il Mino­tauro Glo­bale è un sag­gio di macroe­co­no­mia mar­xi­sta, scritto per essere letto oltre gli ambienti acca­de­mici, risul­tato di un lungo per­corso ini­ziato con l’economista Joseph Halevi con un primo arti­colo pub­bli­cato nel 2003 dalla Mon­thly Review, poi con­fluito, con la col­la­bo­ra­zione di Nicho­las Theo­ca­ra­kis, in un libro acca­de­mico inti­to­lato Modern Poli­ti­cal Eco­no­mics. Varou­fa­kis cerca di rispon­dere alla domanda «cosa è real­mente acca­duto?», ponendo al cen­tro della sua ana­lisi lo squi­li­brio fon­da­men­tale che ha deter­mi­nato, sto­ri­ca­mente, forme diverse di gover­na­men­ta­lità geopolitico-finanziaria. «La mia rispo­sta evo­ca­tiva è: il crack del 2008 ha avuto luogo quando un ani­male chia­mato il Mino­tauro glo­bale è stato ferito in maniera fatale. Fin­ché gover­nava il pia­neta, il suo pugno di ferro era impla­ca­bile, il suo domi­nio spietato». 
Il Mino­tauro della nostra epoca prende forma a par­tire dal 1971 e ha un nome pre­ciso: si tratta dei defi­cit gemelli sta­tu­ni­tensi, quello del bilan­cio del governo Usa e il defi­cit com­mer­ciale dell’economia ame­ri­cana, defi­cit che si erano andati accu­mu­lando verso la fine degli anni ses­santa col venir meno delle ecce­denze com­mer­ciali (espor­ta­zioni) ame­ri­cane e con la cre­scita delle eco­no­mie tede­sca e giap­po­nese. Invece di ridurre i defi­cit gemelli, nel corso degli anni set­tanta gli Stati Uniti deci­sero di tra­sfor­marli in una immensa aspi­ra­pol­vere tale da assor­bire i capi­tali pro­ve­nienti dal resto del mondo.
Attra­verso que­sto pri­sma, que­sta chiave di let­tura, scrive l’Autore, «tutto sem­bra più moti­vato: l’ascesa della finan­zia­riz­za­zione, il trionfo dell’avidità, la dimi­nuita impor­tanza degli orga­ni­smi di rego­la­men­ta­zione, l’egemonia del modello di cre­scita anglo-celtico. Tutti i feno­meni che hanno carat­te­riz­zato quell’epoca improv­vi­sa­mente appa­iono come meri sot­to­pro­dotti dei mas­sicci afflussi di capi­tale per ali­men­tare i defi­cit gemelli degli Stati Uniti», per nutrire il Minotauro. 
Varou­fa­kis svi­luppa que­sta tesi con molta intel­li­genza e ele­ganza lungo tutto il suo libro, pas­sando dagli anni cin­quanta del Piano glo­bale all’epoca della finan­zia­riz­za­zione, dal for­di­smo al post-fordismo, svi­sce­rando tutti gli arcani «tec­nici» della crisi del 2008 e i suoi effetti deva­stanti sull’Europa. Non è irri­le­vante osser­vare che nel pieno della crisi, già a par­tire dal 2009, sulle pagine del Finan­cial Times e anche di gior­nali come l’Eco­no­mist abbiamo avuto modo di leg­gere ana­lisi simili alla sua. Si pensi solo agli arti­coli di Mar­tin Wolf, cer­ta­mente non mar­xi­sta, ma tra i più con­vinti soste­ni­tori della tesi dello squi­li­brio fon­da­men­tale.
In una nota finale, Varou­fa­kis scrive: «Dal momento che il Mino­tauro è stato abbat­tuto dalla crisi del 2008, tutti ora rico­no­scono che gli squi­li­bri glo­bali sono un pro­blema – sia a livello inter­na­zio­nale (sur­plus della Cina nei con­fronti degli Stati Uniti e dell’Europa), sia in Europa (sur­plus della Ger­ma­nia nei con­fronti del resto dell’eurozona». Ma, appunto, ci è voluta una crisi sto­rica per illu­mi­nare la notte. E non sem­bra bastare. 

Il rom­pi­capo reale
Ora, cosa suc­cede «quando il despota oppres­sore si ammala e le ancelle pren­dono il comando?». È il pro­blema, oggi, dell’Europa e, per quanto riguarda l’Asia, della Cina.
La crisi per­si­ste e è desti­nata a durare per­ché manca un mec­ca­ni­smo di rici­clo delle ecce­denze nel cuore di euro­lan­dia. In assenza di tale mec­ca­ni­smo, lo squi­li­brio tra eco­no­mie in sur­plus e paesi in defi­cit viene gestito con inie­zione di liqui­dità da parte della Bce che però non sgoc­ciola nelle eco­no­mie reali in disa­vanzo, ma ali­men­tano il cir­cuito finan­zia­rio della speculazione. 
Le misure d’austerità, inol­tre, non ridu­cono cer­ta­mente gli squi­li­bri, ma li acui­scono, depri­mendo la cre­scita e aggra­vando la povertà. La lotta della Gre­cia per intac­care que­sto squi­li­brio e l’assenza di una poli­tica mone­ta­ria con una Bce che funga da vera banca cen­trale, ruota attorno a que­sto rom­pi­capo. È l’epilogo del libro di Varou­fa­kis.
Su scala inter­na­zio­nale lo squi­li­brio fon­da­men­tale non sem­bra aver ancora col­pito a morte il Mino­tauro. Oggi l’Europa ha un sur­plus com­mer­ciale trai­nato dalle espor­ta­zioni soprat­tutto tede­sche (verso gli Usa, ma anche verso la Cina e la Rus­sia). La Cina, sep­pur in per­dita di velo­cità, con­ti­nua comun­que ad espor­tare più di quanto importa. Ma, soprat­tutto, que­sti paesi, invece di inve­stire al loro interno, con­ti­nuano a pre­fe­rire gli inve­sti­menti spe­cu­la­tivi dei loro risparmi all’estero, e gli Stati Uniti sem­brano aver risco­perto il gioco dell’aspirapolvere. 

Riprese fit­ti­zie
Lo squi­li­brio fon­da­men­tale, almeno nel medio periodo, è desti­nato a raf­for­zarsi a causa di poli­ti­che mone­ta­rie diver­genti da una parte e dall’altra dell’Atlantico, con gli Stati Uniti pro­iet­tati verso l’aumento dei tassi di inte­resse (e quindi un raf­for­za­mento del dol­laro) e l’Europa avviata verso poli­ti­che di espan­sione della liqui­dità (e quindi un inde­bo­li­mento dell’euro).
Que­sta volta, secondo l’Economist, si pos­sono pre­ve­dere due peri­coli. Uno a breve ter­mine, con la dimi­nu­zione delle espor­ta­zioni ame­ri­cane a causa sia del dol­laro riva­lu­tato e della scarsa domanda dei paesi impor­ta­tori (come l’Europa e la stessa Cina), sia della ridu­zione degli inve­sti­menti interni, spe­cie nel set­tore ener­ge­tico (a causa del basso prezzo del petro­lio).
La ripresa sta­tu­ni­tense rischia quindi di durare poco. L’altro peri­colo, ma a medio ter­mine, è una ripresa dell’indebitamento delle eco­no­mie dome­sti­che ame­ri­cane che, certo, è dimi­nuito nel corso della crisi, ma sta già aumen­tando, spe­cie nel set­tore immo­bi­liare.
L’eterno ritorno dello squi­li­brio rende ancor più fon­da­men­tale la lotta della Gre­cia, e la let­tura del libro di Varoufakis.

La linea d’ombra di Syriza tra illusione e realtà
di Vittorio Da Rold Il Sole 24.2.15
Syriza è un partito di lotta o di governo? Dopo le illusioni vendute a piene mani durante la campagna elettorale è il momento della dura realtà dove non esistono pasti gratis né tantomeno qualcuno che paga la tua montagna di debiti .
Atene, che dall’inizio della crisi ha visto ridursi del 25% il Pil, deve dimostrare di recuperare soldi dall’evasione fiscale di massa, dal florido contrabbando di carburanti e sigarette , di ridurre la burocrazia bizantina e la corruzione straripante e con i soldi incassati finanziare le politiche di sostegno alle fasce più deboli e ridurre quell’austerità che ha colpito la classe media esentando gli oligarchi. La palla, ora, è tutta nel campo greco.
Alle elezioni di giugno 2012 molti dirigenti di Syriza speravano di perdere il confronto elettorale con il premier Antonis Samaras e il suo alleato socialista Evangelos Venizelos perché non si sentivano pronti a governare in una situazione troppo compromessa. E il loro desiderio venne esaudito, seppur di poco.
Ma nel gennaio 2015 la maggioranza dei greci, di fronte al 26% di disoccupazione e al Pil che si era ridotto di un quarto, ha deciso che la misura era colma e che Syriza dovesse avere la sua occasione di governo. E ora dopo un braccio di ferro devastante con Berlino e l’Eurogruppo, dove è emersa imperiosa la vittoria dell’Europa intergovernativa a discapito di quella comunitaria, Atene si trova a dover rinunciare ad alcune delle illusioni vendute in campagna elettorale.
Una situazione abbastanza ricorrente in democrazia, ma qui l’inversione di rotta è drammatica rispetto alle speranze che aveva suscitato.
È il momento in cui Syriza e il suo leader Tsipras devono mantenere i nervi saldi e prendere atto che l’accordo raggiunto a Bruxelles non aveva alternative, perché, in caso contrario, il governo greco avrebbe dovuto mettere il controllo dei capitali per sostenere le banche che in due mesi hanno visto ritirare 25 miliardi di euro dai conti correnti.
Atene, che rischia di tornare in recessione nel primo trimestre del 2015, secondo Diego Iscaro della Ihs Economics, ha dovuto dire sì al controllo della Troika, a non modificare i precedenti accordi e a non prendere iniziative unilaterali.
In cambio ha ottenuto quattro mesi di estensione degli aiuti finanziari, e la possibilità di allentare la morsa fiscale, con un avanzo primario per il 2015 che «terrà conto della situazione economica». Piccoli spazi di manovra che però potranno essere utili a riguadagnare la fiducia con i partner europei gravemente compromessa.
Tsipras ha l’occasione di fare quelle riforme che ad Atene sono solo state annunciate ma mai fatte davvero: la lotta all’evasione fiscale, combattere la corruzione, ridurre i privilegi dei grandi dirigenti pubblici e degli oligarchi.
Il governo potrebbe cominciare a cambiare direzione politica proponendo un condono fiscale per chi ha somme detenute all’estero: l'economista della London School of Economics Gabriel Zucman stima che i greci avrebbero depositi per 60 miliardi di euro nei caveau della banche in Svizzera. L’esecutivo potrebbe far pagare finalmente un po’ di tasse agli armatori , magari in base al tonnellaggio della flotta, senza colpire eccessivamente uno dei punti vitali dell’economia ellenica.
L’esecutivo potrebbe anche lavorare sul tema delle liberalizzazioni, cercando di aprire alla concorrenza e quindi alla riduzione dei monopoli, il settore delle vendite all’ingrosso e al dettaglio, e delle telecomunicazioni. Tutte idee già suggerite all’ex premier Giorgos Papandreou dal compianto Tommaso Padoa-Schioppa, ma senza successo sul campo.
Tsipras avrebbe tempo anche di varare una bad bank che risollevi i devastati bilanci delle banche greche e possa avviare una governance del credito che faccia arrivare i prestiti all’economia reale, alle piccole e medie imprese, agli agricoltori, e non ai soliti amici degli amici.
A quel punto Bruxelles, e solo a quel punto, potrebbe aiutare gli sforzi di riforma concedendo l’aumento del tetto per l’emissione dei bond a tre mesi, dando così più spazio di manovra per finanziare quelle manovre sociali di riduzione del peso dell’austerity sulle famiglie più povere. Una sfida complessa ma senza alternative, perché in caso di sconfitta sarebbe tutto il paese a mandare a casa Syriza e il suo sterile radicalismo.

Quel poco che resta di Tsipras

di Stefano Lepri La Stampa 25.2.15
Non somiglia affatto al programma elettorale di Alexis Tsipras il documento greco approvato ieri dall’Eurogruppo; ma è anche assai vago. Conferma che venerdì scorso si è siglato un compromesso politico. In prospettiva, può darsi che risulti un compromesso sbagliato: ancora troppo rigore, per contentare i tedeschi, non abbastanza riforme, perché in Grecia a chiunque sono difficili.
Molto è affidato a quanto sapranno lavorare insieme le autorità europee e un governo greco ancora con le spalle al muro perché ancora privo di finanziamenti certi almeno per due mesi. Un rischio importante è indicato da Mario Draghi nella lettera che la Bce ha inviato ieri all’Eurogruppo: a vecchie pratiche di malgoverno ad Atene non se ne devono sostituire di nuove.
La Bce invita a definire subito i termini di alcune promesse che Tsipras intende mantenere. Se si annuncia che non saranno sfrattate le famiglie non in grado di pagare le rate del mutuo, occorre chiarire che si interverrà sulle morosità preesistenti, altrimenti molti cominceranno a non pagare adesso; così come la rateizzazione-condono dei debiti fiscali non dovrà applicarsi a chi evade ora.
La Grecia ha appunto bisogno di legalità e di regole chiare; non di estendere l’illegalità ad altri.
Finora i controllori esteri avevano insistito fino in fondo sui «tagli» (a spesa pubblica e retribuzioni) di un programma di austerità troppo rapido, lasciando correre sul resto, salvo qualche schematismo dottrinario su meno Stato. Era una forma di cinismo da parte dei Paesi creditori.
Ora in diversi casi il governo greco chiede aiuto esterno, ad esempio per mettere in piedi una anagrafe tributaria o per riorganizzare la sanità. Sarà più facile superare le resistenze ideologiche dell’ala dura di Sýriza se si offriranno soluzioni pragmatiche, invece di schematismi. Occorre saper spiegare ai cittadini che si dà spazio al mercato per far funzionare meglio, non per il vantaggio di qualcuno.
Sulle privatizzazioni appunto, come lamenta il Fmi, l’intesa è tutt’altro che chiara. La Grecia finora ha saputo solo offrire la scelta tra aziende pubbliche inefficienti e clientelari e cessioni a gruppi oligarchici, spesso a prezzo di favore. Nel testo di ieri la preferenza per la prima soluzione è scomparsa, come pure il riferimento ambiguo all’«interesse nazionale»; per il resto, chissà.
Non ci saranno nuove strette al bilancio. Ma non è possibile stabilire, ad esempio, se aumenterà l’aliquota Iva o no. Per compensare le annunciate erogazioni ai più poveri si sarebbe potuto intervenire sulla esenzione fiscale per le proprietà della Chiesa ortodossa o sulle ingenti spese militari: lo impedisce l’accordo di governo con il partitino di destra Anel.
Neppure si sa che cosa avverrà dei privilegi fiscali dell’industria armatoriale, potenza finora intoccabile anche data la minaccia di trasferirsi altrove. Il classico della sinistra pura e dura, l’imposta patrimoniale, è escluso perché lo Stato non è in grado di conoscerne le basi imponibili.
Ma proprio nelle sue parole limate e generiche la lista di ieri inventa un linguaggio comune tra sinistra greca e tecnocrati europei. Assomiglia a un corposo programma riformista: realizzarne un terzo sarebbe già gran cosa. Chissà quanto sarà traumatica per un partito estremo che era cresciuto accorpando tutt’altro, sindacati sconfitti, ceti medi in rivolta contro prebende perdute, transfughi politici dotati di pacchetti di voti.
La sfida di rifare la Grecia è importante per tutti, non solo per chi la governa. Si è deciso di farla restare nell’euro, si deve ora saper collaborare per renderla più europea. Alla chiusura dei 4 mesi ora concordati, se saranno iniziate efficaci riforme si dovrà compensarle con obiettivi di bilancio meno soffocanti.

Fassina: “Per sopravvivere devono uscire dall’euro”
Il deputato Pd: “Questa strada non è più sostenibile. È un problema che deve porsi anche il nostro Paese”intervista di Francesca Schianchi La Stampa 25.2.15
Stefano Fassina, deputato Pd ed ex viceministro dell’Economia, la convince il piano greco?
«Il piano contiene riforme strutturali che affrontano punti importanti, credo che si possa trovare il consenso dei partner europei. Ma il punto è un altro».
Quale?
«Questo accordo, o anche uno più spinto verso le proposte greche, temo non sia sufficiente a risollevare la situazione. Sono stati lasciati cadere punti sistemici come la conferenza sul debito o quello che è stato enfaticamente chiamato new deal per gli investimenti, e le altre misure non sono adeguate a dare una svolta alla situazione greca».
Qual è allora la via d’uscita?
«Dati i vincoli politici che abbiamo riscontrato in queste settimane a Bruxelles e a Berlino, temo che sia molto complicata una svolta dentro l’euro per la Grecia».
Intende dire che Atene dovrebbe uscire dall’euro?
«Se vuole sopravvivere, e se la sinistra greca vuole sopravvivere, dati i vincoli politici che vi sono oggi nell’Eurozona, temo che per la Grecia non vi sia altra possibilità che uscire».
Ma quali sarebbero le conseguenze? C’è chi descrive scenari apocalittici…
«E’ evidente che non sarebbe una passeggiata, ma credo che l’Apocalisse in Grecia sia già arrivata… La linea proposta porterà inevitabilmente tra qualche mese a dover ristrutturare il debito, quest’accordo serve solo a prendere tempo. E’ ovvio che ci sarebbero costi di breve periodo che possono essere elevati, ma lungo la strada che è stata impostata non ci sono soluzioni: l’impatto arriverà e, temo, in condizioni peggiori di quelle di ora».
E non ci sarebbe il rischio di un effetto domino su altri Paesi?
«I rischi sono tanti, ma l’Eurozona arriva al naufragio lungo la rotta che sta percorrendo. Non è che stiamo percorrendo una rotta lenta e faticosa ma alla fine arriveremo alla Terra promessa: no, con questa rotta stiamo andando al naufragio».
Scusi ma uscire dall’euro non è la ricetta della Lega?
«Innanzitutto, stiamo parlando della Grecia, con le sue condizioni e le sue difficoltà. Dopodiché, a un certo punto c’è il buon senso oltre alla politica: se uno continua su una strada che lo porta alla deflazione e all’impennata dei debiti pubblici, si deve rendere conto che è su una strada non più sostenibile. Non è un problema di destra o sinistra: è un problema di prenderne atto».
Potrebbe succedere che anche l’Italia si debba porre il problema di uscire dall’euro?
«Questo problema se lo devono porre tutti, anche la Germania, la Francia, la Spagna... Vede, è male impostata la discussione se abbia vinto Tsipras o l’Europa: al contrario di quello che ha detto il ministro Padoan, in questa partita hanno perso tutti. Le correzioni necessarie a far funzionare l’euro sono politicamente impossibili: vogliamo dirci questa amara verità o vogliamo far finta che con un’altra operazione di precarizzazione del lavoro riusciamo a far ripartire l’economia?».

Per Syriza brusco risveglio dal sogno
di Vittorio Da Rold Il Sole 25.2.15
Il programma elettorale di Syriza era un “libro dei sogni” dai toni messianici più che politici. Ma il capitolo intitolato “Come affrontare la crisi umanitaria” era la madre di tutte le disillusioni future, che avrebbero colpito gli elettori, che avevano creduto nelle promesse di Alexis Tsipras di poter entrare senza problemi nell’età dell’oro. E come i sogni, anche le promesse elettorali di Syriza, sono svanite all’alba.
In quel capitolo sulla riduzione delle politiche di austerità si prometteva di fornire gratuitamente l’energia elettrica e i buoni pasto a 300mila famiglie bisognose, concedere affitti politici per 30mila appartamenti, restituire la 13a mensilità a ben 1.262.920 pensionati con una pensione inferiore a 700 euro al mese, fornire sanità e medicinali gratis ai disoccupati, carta dei trasporti speciale per i poveri, riduzione del prezzo del gasolio da riscaldamento e per le autovetture. Costo previsto, allora di queste misure: 1,9 miliardi di euro. Di tutto questo capitolo lastricato di buone intenzioni, nella lettera inviata a Bruxelles da Atene per ottenere la proroga di 4 mesi al programma di aiuti, è rimasto solo un pallido ricordo. Nell’ultimo capitolo della lettera - che non caso era il primo del cosidetto Programma elettorale di Salonicco di Syriza - è dedicato alle «sfide umanitarie» che derivano dall’aumento della povertà nel Paese. Sfide sociali che andranno affrontate riformando la pubblica amministrazione in modo da ridurre burocrazia e la corruzione. Insomma niente di concreto sul piatto. Syriza prometteva anche di ridurre il debito, come avvenne nel 1953 alla Germania, introdurre una moratoria nel pagamento degli interessi sul debito, varare un New Deal di investimenti pubblici . Di tutto ciò non è rimasto che un timido segnale di riduzione dell’avanzo primario ancora tutto da discutere.
Lavoro
Nel programma elettorale, Syriza prometteva di alzare il salario minimo a 751 euro, ridotto a 580 euro dalla troika, per aumentare l’attrattività per gli investimenti. Inoltre Tsipras prometteva la creazione di 300mila nuovi posti di lavoro, la reintroduzione dei contratti collettivi, dei limiti ai licenziamenti collettivi e la riassunzione dei 100mila statali licenziati per far dimagrire l’elefantiaca amministrazione statale. Di tutte queste promesse scritte sulla sabbia è rimasto ben poco. Atene oggi vuole rivedere le normative sui salari minimi ma a condizione che non ci sia un impatto negativo sui conti pubblici. Insomma di aumenti salariali se ne parlerà alla “calende greche”. Inoltre ora Atene promette riforme in materia di lavoro da elaborare con l’Ocse e l’Ilo. Atene ora vuole estendere contratti che diano lavoro ai disoccupati. L’inversione di rotta in questo settore è totale, quasi imbarazzante.
Fisco
Prima del voto Syriza prometteva di abolire l’imposta (Enfia) sugli immobili (compresa la prima casa) e terreni sostituita da una tassazione sui grandi patrimoni immobiliari. Poi Tsipras prometteva l’innalzamento dell’esenzione fiscale a 12mila euro rispetto agli attuali 5mila euro, in sostanza un taglio della pressione fiscale. Di tutte queste promesse non sono rimaste che le briciole. Come pure è sparita la patrimoniale. La lotta all’evasione è diventato il primo punto del primo capitolo e sembra scritta dai funzionari dell’Ocse, piuttosto che dal flamboyant ministro Varoufakis. Il governo vuole riformare il sistema fiscale, proprio puntando al recupero del gettito evaso, anche con il ricorso a pagamenti ellettronici. Prevista la riforma dell’Iva. Atene si impegna a migliorare l’efficienza dei meccanismi di spesa pubblica: a una stretta sui pensionamenti anticipati, a controllare la spesa sanitaria, e ad iniziare una spending review sui ministeri ridotti da 16 a 10. Altro punto chiave, fare della lotta alla corruzione una priorità. Nel mirino il contrabbando di tabacchi, alcolici e carburanti.
Banche
Nel pilastro dedicato allo sviluppo economico, Syriza minacciava di nazionalizzare le banche, ridurre il segreto bancario, contrastare la fuga di capitali. Prometteva di bloccare per 12 mesi le operazioni di confisca di conti correnti, prima casa e salari. Inoltre chiedeva il blocco della messa all’asta della prima casa. Inoltre minacciava di “mettere le mani” nella cassaforte del Fondo ellenico per la stabilità del credito, che ha 11 miliardi di euro in cassa, per dirottarli in finanziamenti di misure sociali . Cosa è rimasto di tutto ciò? Degli 11 miliardi non si toccherà nemmeno un euro senza preventivo permesso dell’Esm, di Ue e Bce, e la questione più rilevante del secondo capitolo è diventata la «stabilizzazione e il consolidamento del sistema bancario greco», che, chiarisce il governo Tsipras, non potrà prescindere dal sostegno della Bce, della Commissione e del nuovo sistema di risoluzione Ue delle crisi bancarie. Atene sta poi studiando un sistema per affrontare la questione dei crediti deteriorati. Ma in cima al capitolo il governo targato Syriza mette la volontà di depenalizzare i fallimenti dei debitori di cifre di modesta entità. Più avanti parla invece genericamente di «tutele a favore delle famiglie a basso reddito sui pignoramenti di immobili ipotecati da parte delle banche creditrici», unica concessione al vecchio programma di Salonicco.
Privatizzazioni e Pa.
Sulle privatizzazioni Syriza annunciava ai quattro venti di volerle congelare. Inoltre il programma di Salonicco prevedeva una nuova regolazione delle licenze televisive e il ritorno della tv di stato Ert, precedentemente chiusa dal governo Samaras. Ora è tutta un’altra musica. Il primo punto del capitolo crescita è l’impegno a non bloccare le privatizzazioni già avviate, mentre le altre verranno «riesaminate» caso per caso. Previste anche la rimozione delle barriere alla concorrenza e una riforma della Giustizia. Atene, dal mondo dell’iperuranio di Platone, è tornata alla realtà di un Paese con il debito più alto di Eurolandia.

Varoufakis ora deve cambiare ruolo
di Vittorio Da Rold Il Sole 25.2.15
Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze greco, deve cambiare rapidamente ruolo in campo. Come ha ammesso lui stesso, la Grecia «ha guadagnato qualche settimana» con la proroga del piano di aiuti della Ue. Ma evidentemente «è solo un passo nella direzione giusta», hanno affermato fonti del ministero delle Finanze, dopo il responso positivo dell’Eurogruppo alla lettera di impegni sulle riforme inviata da Atene.
«Chiaramente saremo sotto il controllo della Commissione. E nei prossimi quattro mesi dovremo superarci, in termini di lotta all’evasione, di riforma del servizio pubblico - hanno aggiunto dal ministero greco - e di lotta alla corruzione». Insomma tutto il contrario di quello che Varoufakis aveva chiesto, quando aveva proposto misure di stimolo sul fronte della domanda, rialzo di stipendi e pensioni, anche su suggerimento del suo collega di Università in Texas, James Galbraith , figlio di John Kenneth Galbraith, l’economista del presidente Kennedy. Ma Varoufakis ha dovuto tornare sui suoi passi e cedere il passo all’austerity di Wolfgang Schaeuble.
«Le riforme che abbiamo proposto avrebbero potuto essere più ampie», ma sarebbero servite risorse che non ci sono. Si è dovuto cercare «compromessi» con la Ue, hanno aggiunto le fonti del governo Tsipras. «Non ci sono nuove misure che siano recessive. Ma nemmeno misure di sviluppo». Insomma per Atene una situazione di parità. Ma la partita, in realtà, è solo all’inizio del negoziato e se Varoufakis saprà portare risultati sul fronte dell’offerta, migliorando la concorrenza, riducendo la burocrazia e mettendo ordine e trasparenza in quella giungla che sono le norme degli appalti statali greci, allora avrà trovato la strada per aprire gradualmente a quelle misure di sollievo per le fasce più deboli della società greca.
I mercati, per ora, sembrano snobbare l’ennesima crisi greca, perché convinti che ci siano margini per un accordo a giugno. Tutti scommettono che il Parlamento di Atene approvi l’estensione di quattro mesi del precedente piano, anche se l’ala radicale di Syriza è sul piede di guerra ed è tentata dal voto contrario in aula. Una mossa che potrebbe far piombare il paese nel vortice di una nuova bufera dei mercati e della eventualità di dover imporre misure di controllo sui capitali. Anche i governi di Germania, Finlandia, Slovenia e Olanda devono far approvare la proroga del programma di salvataggio ai loro Parlamenti.
Tutti gli occhi sono rivolti al 5 marzo quando la Bce potrebbe riaprire i rubinetti alle banche greche, ripristinando le agevolazioni sui collaterali. Ma queste sono ancora ipotesi di studio: quello che conta è che la Grecia ha evitato, all’ultimo momento, l’iceberg verso cui si stava dirigendo a tutta velocità. Fortunatamente ha invertito la rotta all’ultimo momento. Ora si tratta di lavorare sodo e fare i compiti a casa che per troppi anni si sono rinviati. Gli esami nella vita non finiscono mai.

Repubblica 25.2.15
Ora la partita più difficile per Tsipras riconquistare la Grecia
di Ettore Livini


ATENE Alexis Tsipras guadagna quattro mesi di tempo per salvare Atene. E vara un piano di riforme che — dopo l’ok dell’Eurogruppo — affronta ora l’esame più difficile: quello dei greci e di Syriza. Le sei pagine di «ambiguità costruttiva » ( copyright dell’autore Yanis Varoufakis) prive di numeri e cifre approvate dall’ex Troika hanno regalato una giornata da incorniciare ai mercati (+10% la Borsa ellenica) ma non hanno placato i mal di pancia della sinistra nazionale. «I vecchi combattenti come te sanno che in certi casi la forza non basta — ha spiegato Tsipras al compositore Mikis Theodorakis, capofila con l’eroe della Resistenza Manolis Glezos della fronda domestica — . Servono cervello e strategia per non cadere nelle trappole».
Dovrà utilizzarli entrambi nelle prossime ore per convincere il Paese che i “pro” dell’intesa — «nessuno ci detterà più le riforme e abbiamo vincoli meno stretti sull’avanzo primario» — sono di gran lunga superiori ai contro: il ritorno sotto mentite spoglie del memorandum e della Troika e la mezza marcia indietro — obbligata viste le forze in campo — su alcune promesse elettorali. «Siamo partiti da Marx e siamo arrivati a Blair» scherzavano (ma non troppo) ieri alcuni uomini dell’ala più radicale di Syriza. La vera sfida di Tsipras è riuscire a realizzare le ambiziose riforme proposte per liberare le risorse necessarie ad affrontare la crisi umanitaria nazionale: luce gratis ai poveri, la tredicesima per le pensioni più basse, assistenza sanitaria per tutti, ritorno dei contratti collettivi. «Priorità unilaterali da approvare il primo giorno di governo», alla vigilia delle elezioni, relegate oggi in coda agli impegni presi con la Ue, subordinate oltretutto all’ok dei creditori e — come recita lapidaria l’ultima frase del documento — «alla certezza che non avranno alcun effetto sui conti dello Stato ».
LA GUERRA AGLI EVASORI
E’ il capitolo più aggressivo nella lettera di Varoufakis e quello che è piaciuto di più a Bruxelles. Il governo si impegna («con l’aiuto dei partner») al varo di un’anagrafe tributaria hi-tech in grado di passare ai raggi x anche le dichiarazioni passate e a rafforzare l’indipendenza del Segretario generale del Fisco dalla politica. Guerra totale anche a contrabbando tabacco (800 milioni l’anno di entrate in più) e benzina (1,5 miliardi) rendendo obbligatorio il Gps sulle navi per evitare che scarichino carburante fuori dai porti autorizzati. Queste entrate dovrebbero consentire di evitare i tagli alle pensioni e l’aumento dell’Iva annunciati da Samaras.
CONDONO E BUROCRAZIA
Altre risorse arriveranno da un mega condono fiscale in stile Robin Hood. Syriza consentirà di riscadenzare in 100 rate gli arretrati con l’erario, privilegiando le famiglie più povere e penalizzando i grandi evasori. Operazione che dovrebbe garantire 2,5 miliardi di entrate. In arrivo, con gli applausi dell’Eurogruppo, un piano di aste online per tagliare i costi delle forniture dello Stato e una riorganizzazione della pubblica amministrazione per sforbiciare le spese che non vanno in pensioni e salari, «un impressionante 56% del totale». Lotta dura anche contro cartelli e corporazioni.
PRIVATIZZAZIONI E LAVORO
Qui iniziano i guai sul fronte interno. Atene si impegna a non fa- re retromarcia sulle privatizzazioni già avviate, come quella del Pireo e degli aeroporti. E valuterà quelle successive in base «all’interesse nazionale». Panagiotis Lafazanis, ministro e leader dell’opposizione interna, ha contestato duramente ieri in Consiglio dei ministri questo punto. Molte polemiche ci sono anche in tema di lavoro. Il documento approvato in Europa prevede in modo vago «un approccio creativo» per reintrodurre i contratti collettivi e — molto gradualmente — lo stipendio minimo. Ma solo con l’ok dei creditori.
PENSIONI E CORRUZIONE
La lotta alla corruzione sarà una «priorità nazionale». Atene si impegna a rivedere il finanziamento pubblico ai partiti, a tagliare i legami tra economia e politica obbligando ad esempio gli oligarchi a pagare frequenze e tasse. Il documento non fa per ora riferimento ai privilegi fiscali di armatori e Chiesa ortodossa. Verrà abolita l’immunità parlamentare. Malumori suscita invece il delicatissimo problema delle pensioni, che Samaras, per dire, non aveva voluto affrontare. Syriza promette di legarle ai contributi versati e, soprattutto, di eliminare i privilegi. Letto in controluce, salterà la possibilità di prepensionamento per molte categorie. Tasto delicatissimo per la pax sociale nazionale.
LE MISURE UMANITARIE
E’ di gran lunga il capitolo più delicato. «Dobbiamo affrontare le emergenze sociali causate dalla crisi — dice il documento nella parte finale — . Cose basilari come cibo, casa, energia e salute. Valuteremo la possibilità di uno stipendio minimo garantito nazionale». Peccato che la solidarietà alla “tedesca” abbia precisi vincoli contabili. «Dobbiamo intervenire essendo certi che la crisi umanitaria non abbia conseguenze sulla solidità del bilancio dello Stato». I soldi, insomma, si spendono solo se ci sono. E visto che Atene è senza un euro, gli interventi per tamponare la tragedia sociale saranno costretti a rimanere in lista d’attesa.

Atene, il ritorno della paura “Dopo l’accordo temiamo che tutto resti come prima”
Tsipras ha quattro mesi per non passare dalla luna di miele all’incubodi Roberto Giovannini La Stampa 26.2.15
Sono servite oltre dieci ore di discussione al premier greco Alexis Tsipras per far passare all’interno del gruppo parlamentare di Syriza la sua linea a favore dell’accordo stipulato con Bruxelles. Una riunione infinita, certamente, e non priva di tensioni. Ma è durata tanto a lungo anche per l’iperdemocratico modo di procedere del partito della sinistra radicale ellenica. Dei 149 deputati di Syriza, 140 hanno chiesto la parola. E, pazientemente, il premier si è dovuto ascoltare 140 interventi prima di chiudere la riunione.
Per convincere (con qualche fatica) il gruppo parlamentare, Tsipras e il suo ministro dell’economia Yanis Varoufakis hanno dovuto lavorare sodo. Ricordando, ad esempio, che in base agli impegni presi dal vecchio governo Samaras, i greci avrebbero avuto presto rincari delle tasse, altri tagli delle pensioni e 150 mila licenziamenti pubblici. Ma soprattutto, dando una lettura dell’intesa molto diversa da quella di Bruxelles e Berlino. Ad esempio, ripetendo che il governo farà di tutto per ridiscutere le privatizzazioni di porti, aeroporti e compagnia elettrica. Non basterà a far stare tranquilla l’area trotzkista di Syriza, che prima o poi uscirà.
Quattro mesi
Prima o poi qualcuno chiederà conto di queste evidenti contraddizioni. Per trovare una miracolosa quadratura del cerchio ci sono a disposizione solo i quattro mesi di autonomia finanziaria assicurati dall’accordo con l’Eurozona. Dovranno essere impiegati per attuare il massimo delle riforme del pacchetto Europeo condivise da Syriza, per realizzare il massimo possibile delle proposte elettorali, per far entrare nelle asciuttissime casse pubbliche danari freschi. Se non funzionerà, c’è il serio rischio che la luna di miele tra i greci e Alexis Tsipras si trasformi in un incubo. E che a questa primavera prematura di Atene - con le strade trafficate e piene di sole, i negozi aperti con tanta gente che compra, i ristoranti tornati ricolmi come una volta - segua un nuovo inverno di crisi e depressione.
Sofia Lambropolou ha 36 anni, insegna, fa la musicista, fa mille lavori come tanti ateniesi. Ha accolto con entusiasmo il successo di Syriza, anche se adesso è decisamente preoccupata. «Dopo le elezioni del 25 gennaio - spiega - c’è stata come un’onda di ottimismo e di speranza. Si pensava che qualcosa stesse cambiando, in tanti hanno pensato di avviare nuovi progetti, di darsi da fare. E ora, però, sta salendo la preoccupazione che tutto resti come prima». Ovviamente parliamo del nuovo memorandum con l’Europa, e delle marce indietro evidenti rispetto alle promesse elettorali. Che però potrebbe passare in secondo piano «se il governo - continua Sofia - riuscisse a dimostrare che le cose cambiano veramente, che si faranno pagare le tasse agli oligarchi, che si pensa a risolvere almeno qualcuno dei problemi delle persone normali». A uscire dall’euro non ci pensa nessuno, troppi sono i rischi. Anche se per i sondaggisti il 30% dei greci è favorevole.
La ritirata
Yorgos Delastik è uno degli editorialisti del quotidiano «Ethnos». E non usa certo mezze parole per illustrare la situazione. «La gente ha capito - afferma - che Tsipras ha compiuto una ritirata inaccettabile. La gente sa che ci ha provato, ma è stato schiacciato dalla pressione eccezionale esercitata dalla Germania. Si è capito che il governo non ha la forza di mantenere le sue promesse, anche se la lettera all’Eurogruppo contiene elementi di ambiguità. E si è capito, infine, che in questi 4 mesi in cui la Germania ci schiaccerà, non ci saranno grandi cambiamenti, nonostante le speranze di tanti di poter voltare pagina dopo una lunga stagione di miseria». A meno (ma sarà dura), di resistere fino alle elezioni in autunno in Spagna e Portogallo, con la possibilità di creare un fronte anti-austerità più forte di quello attuale.
Nessun’altra soluzione
Alternative? Non ce ne sono all’orizzonte. «Dopo cinque anni di incubo, di impoverimento, di depressione economica e psicologica - racconta un altro valoroso giornalista, Nicholas Zerganos di “Iefemerida” - le persone non potevano più continuare a sopravvivere in uno stato di umiliazione, di assenza di speranza. Tanti hanno votato Syriza per questa sola ragione, e per questo bisogna sperare che qualcosa, il più possibile, cambi. Altrimenti sarà la fine della politica, sarà il trionfo della sfiducia e dell’estremismo. Dopo Syriza ci sono solo i nazisti di Alba Dorata».

Iva, case, consumi, isole dell’Egeo Alla fiera delle esenzioni greche
In Costituzione il diritto degli armatori a non pagare tasse sui profitti all’estero. Lo “sconto facile” costa 4 miliardi l’annodi Rob. Gio. La Stampa 26.2.15
La crisi greca è cominciata nel 2009, e già allora tutti gli esperti dicevano che il problema dei problemi era quello dell’evasione fiscale, e che risolto quello tutto sarebbe andato a posto. Sei anni dopo, si scopre che su quel fronte non è stato fatto assolutamente niente. Proprio ieri è cominciato il processo all’ex ministro socialista dell’Economia Papakonstantinou, accusato di aver sbianchettato la «lista Lagarde» (un elenco di 2000 greci col conto in Svizzera), e poi sabotato ogni indagine. Quel che è certo è che se non interverrà rapidamente e radicalmente sull’evasione (illegale, o del tutto legalizzata) per Alexis Tsipras non ci sarà speranza alcuna.
Nessun greco paga le tasse volentieri, ma oggi circa due terzi della popolazione può fare poco per evitarle, pagando con la ritenuta alla fonte sul reddito. Si può però evadere facilmente le imposte indirette e a volte quelle sugli immobili: imprese e professionisti, invece, hanno mille occasioni e modi per farla franca. Possono stare del tutto tranquilli i più ricchi del Paese, ovvero gli armatori.
Parliamo di un settore che gode di un trattamento privilegiato addirittura stabilito nella Costituzione sin dal lontano 1967: la totale esenzione fiscale sui profitti ottenuti all’estero. Va da sé che gli armatori, grazie alla loro ricchezza, sono riusciti a controllare molti settori chiave della vita del Paese: le reti televisive e i giornali, le infrastrutture e i lavori pubblici, le squadre di calcio, la grande distribuzione, la vendita di benzina e carburanti, le banche. E, si dice, anche i partiti storici di governo, Pasok e Nea Dimokratia.
E poi ci sono le «esenzioni fiscali legali», quasi 4 miliardi di euro l’anno: 300 milioni riguardano la casa, 700 la tassazione dei capitali, 600 la tassazione degli immobili, 70 quella dei veicoli, un miliardo di euro valgono i trattamenti privilegiati sull’Iva e un altro miliardo la «tassa speciale sui consumi» che riguarda i carburanti. Alcune di queste esenzioni hanno una storia antica, come l’Iva agevolata per le isole dell’Egeo: una volta erano terre povere e abbandonate, ma oggi grazie al turismo sono le aree più ricche.
E a complicare le cose c’è anche un sistema fiscale dove regnano inefficienza e corruzione. Pochi computer, banche dati cartacee, propensione alla bustarella del personale, pressioni dei politici a favore dei «grandi contribuenti», impossibilità di incrociare pagamenti e dichiarazioni. E infine, la crisi ha dato il colpo di grazia alle entrate: ora ci sono ben 72 miliardi di euro di imposte (e sanzioni) arretrate.
Per cercare di incassarne almeno una parte, il governo di Syriza ha promesso di realizzare una sorta di condono super tombale, ma gran parte di queste tasse arretrate sono a nome di aziende fallite da anni o del tutto inventate per evadere.

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