domenica 1 marzo 2015

"Effetto Montezemolo": il motor dei contadini e il consueto coniglio dal cilindro

Risultati immagini per trattore landini


Il Foglio 25.2.15
Aspettando Landini
Quelli che attendono (da anni) la venuta dell’uomo magico a sinistra, e quel certo effetto Montezemolo
di Marianna Rizzini

qui


il Fatto 26.2.15
Stefano Rodotà
“Un nuovo inizio, si fa politica anche senza partito”
intervista di Salvatore Cannavò


Stefano Rodotà ha seguito con interesse la polemica nata attorno alle proposte di Maurizio Landini. Il termine “coalizione sociale” è di suo conio e qualche settimana fa, proprio con Il Fatto, aveva spiegato il senso della proposta. Dopo il clamore suscitato dall’intervista del segretario Fiom, torna sull’argomento.
Le sembra che quella lanciata da Landini sia una proposta politica?
Assolutamente sì. Anche perché, questa “coalizione sociale”, che io stesso avevo proposto, è una formula che aiuta a fare chiarezza. Non si possono ripercorrere le vie del passato, quelle fallimentari della lista Arcobaleno, della lista Ingroia o, su altri piani, della lista Tsipras. Il chiarimento migliore mi pare che sia venuto da Sergio Cofferati nell’intervista di ieri al Fatto.
Cosa l’ha convinta di quella intervista?
Tre elementi. Primo: dobbiamo guardare fuori dall’Italia ma né Podemos né Syriza sono modelli che possiamo importare. Secondo, il problema principale è individuare i temi e i princìpi dai quali partire per un lavoro comune. Il terzo passaggio messo in evidenza da Cofferati è che solo fatti questi primi due passi si può individuare il tema della rappresentanza e poi anche quello del leader.
Fuori dai partiti, dunque?
Non ho in mente un movimentismo al quadrato. Ma la coalizione sociale significa in primo luogo riconoscere quel lavoro consolidato e forte di molti soggetti che esiste già da diverso tempo e che è stato già vincente.
Esempi?
Quando si fa riferimento a Luigi Ciotti si fa riferimento a un’esperienza, Libera, che anche con campagne come Miseria Ladra ha determinato un grande lavoro comune. Quando si fa riferimento al lavoro di Gino Strada, si fa riferimento a laboratori che già operano anche in Italia. Terzo caso possibile, i comitati per l’acqua e i beni comuni sono i più vincenti di tutti con il risultato del referendum.
E la Fiom?
In questo progetto la Fiom è un aggregatore che ha fatto una delle lotte più importanti per veder riconosciuti dei diritti. La sentenza della Corte costituzionale che l’ha riammessa nelle fabbriche del gruppo Fiat ha anticipato di sei mesi la sentenza che ha dichiarato illegittimo il “porcellum”. Entrambe quelle sentenze dicevano che non si può negare la rappresentanza ai lavoratori o ai cittadini.
Ma a Landini si rimprovera di voler fare un partito, anche se ha sempre chiarito.
Si tratta di un altro equivoco. Quando Landini dice che fa politica ma che non fa un partito, dice qualcosa che la cultura debole di questo periodo ha perduto: la politica non si chiude tutta dentro i partiti. Oggi c’è una società in cui i partiti sono diventati oligarchia e hanno espropriato i cittadini.
Conferma quel giudizio di “zavorra” che diede dei partiti alla sinistra del Pd?
Qui ci sono due equivoci che vanno evitati. Il primo è ragionare in termini di ‘spazio a sinistra del Pd’. Il Pd prova a ribadire, spasmodicamente, che sta realizzando cose di sinistra ma si tratta di una excusatio non petita. Sulla base di provvedimenti come il Jobs Act o la responsabilità civile dei giudici ne viene fuori una grande restaurazione di centro. Più che uno spazio ‘a sinistra’, oggi ci sono una serie di principi e diritti che non trovano copertura politica.
E l’altro equivoco?
Riguarda il mondo della politica organizzata: qui siamo di fronte o a un problema di sopravvivenza (Prc e Sel) o a un problema di appartenenza (minoranza Pd). Noi invece abbiamo bisogno di un nuovo inizio. Non possiamo portarci dietro tutto quello che c’è stato nell'ambito della sinistra.
Lei è critico anche con la lista Tsipras?
È stata una buona occasione che non doveva essere perduta. Ma oggi abbiamo bisogno di una chiara discontinuità. Quello che lega le formazioni politiche esistenti non mi sembra adeguato alla situazione nuova.
Quali saranno i primi passi di questa coalizione?
È necessario che i diversi soggetti proponenti concordino un cammino che richiederà forme di contatto permanente, con la Costituzione come bussola ma calata nella lotta politica attuale.
E come porsi di fronte alle elezioni?
In questi anni diverse esperienze, penso a quella di Alba, sono state travolte dalle elezioni. Solo quando sarà maturato qualcosa di importante si può accettare di non tirarsi indietro.
Quali sono le cose concrete da fare?
Un lavoro comune potrebbe essere quello della legge di iniziativa popolare di modifica dell’articolo 81 che prevede il pareggio di bilancio.
E che tempi immagina?
Ragionevolmente brevi.

Corriere 26.2.15
Tra sindacato e politica
L’ex saldatore che rinunciò agli
Nove cose da sapere su Landini
Le vittorie e le sconfitte del leader Fiom con un futuro (forse) in politica da anti-Renzi
di Davide Casati

qui

il manifesto 26.2.15
Al via la «fabbrica» di Landini
Pomigliano. Assemblea alla Fiat con il leader Fiom e Libera. Prima tappa della coalizione sociale
Il segretario delle tute blu: «Oltre i cancelli per una nuova politica dei diritti e del lavoro. Contro il modello Marchionne-Renzi»
di Adriana Pollice

qui

Il Tempo 25.2.15
Civati e gli altri: me ne vado... anzi no

qui


il Fatto 23.2.15

La lettera
Landini: “Coalizione sociale”
Caro direttore, la prima pagina del Fatto Quotidiano di domenica 22 febbraio 2015 mi attribuisce un’affermazione non pronunciata e perlomeno forzata: “adesso faccio politica” con tanto di virgolette che la rendono fuorviante.
Perché rimanda più esplicitamente all’impegno di tipo partitico o elettorale, che come si può correttamente leggere nell’intervista pubblicata all’interno suo giornale, non è proprio presente.
Anzi è un modo per banalizzare il cambio d’epoca che secondo il mio punto di vista richiede la ridefinizione di nuove strategie sindacali e politiche.
Del resto nell’intervista si spiega che la “sfida a Renzi” per il sindacato, oltre alla “normale azione contrattuale”, consiste nella creazione di una coalizione sociale che superi i confini della tradizionale rappresentanza sindacale, capace di unificare e rappresentare tutte le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare.
Ed è questo che ho sempre inteso e continuo ad intendere per impegno politico.
Ed è un punto di vista che nel suo vero significato spero diventi oggetto di un’ampia discussione e non ridotto ad un titolo ad effetto. Grazie per l’attenzione, cordialmente con stima.
Maurizio Landini

Caro Landini, come lei sa bene i titoli dei giornali sintetizzano in poche parole il contenuto degli articoli. In questo caso, della sua intervista al Fatto. In cui lei dice, fra l’altro, che non ha in mente l'ennesimo partitino, ma un’iniziativa politica che parta anche dal sindacato da lei guidato: “È venuto il momento di sfidare democraticamente Renzi... Il problema è che la maggior parte del Paese, quella che per vivere deve lavorare, non è rappresentata. C’è un fatto nuovo nel rapporto fra politica e organizzazione sindacale... Il sindacato si deve porre il problema di una coalizione sociale più larga e aprirsi a una rappresentanza anche politica... Per quanto riguarda la Fiom, dobbiamo rivolgerci a tutto ciò che è rappresentanza sociale, non solo i lavoratori...”. Questi concetti, dovendo riassumerli in poche parole, mi parevano sufficienti per titolare riassuntivamente che lei intende fare politica. Naturalmente nel senso più nobile del termine, non in quello deteriore di fondare partitucoli o listarelle, come ha subito finto di intendere ieri Renzi. Il Fatto seguirà gli sviluppi della sua proposta ed è a disposizione per ospitare altri interventi. Grazie per la precisazione e molti auguri.
Marco Travaglio 

La Stampa 23.2.15
La sinistra apre le porte ma il leader Fiom frena
Cgil scettica: “Vuol far politica? Il sindacato è un’altra cosa”
di Antonio Pitoni

Alla fine la precisazione era quasi obbligata. Arrivata in serata dopo le punzecchiature del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. E la presa di distanze della Cgil digitata via Twitter dal portavoce di Susanna Camusso: «Se Maurizio vuole scendere in politica tutti i nostri auguri ma il sindacato, @fiomnet è altra cosa». Dove Maurizio, ovviamente, sta per il leader della Fiom Landini.
Indietro tutta
Nessun intento di fare politica, assicura lui, chiarendo il senso di quella frase pronunciata in un’intervista al Fatto Quotidiano di ieri: «È venuto il momento di sfidare democraticamente Renzi». Che pure si prestava ad alimentare l’idea di una sua possibile discesa in campo. «La sfida a Renzi per il sindacato - argomenta invece il segretario della Fiom - oltre alla normale azione contrattuale, consiste nella creazione di una coalizione sociale che superi i confini della tradizionale rappresentanza sindacale, capace di unificare e rappresentare tutte le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare».
Convergenza a sinistra
Precisazioni a parte, se l’obiettivo di Landini è quello di «un’ampia discussione» per «la ridefinizione di nuove strategie sindacali e politiche», la sua proposta non lascia indifferente la sinistra. «Siamo impegnati a costruire un’alternativa al Pd di Renzi dopo la riduzione dello spazio al mondo del lavoro per effetto del Jobs Act e le continue forzature sulle regole del gioco, come accaduto sulle riforme costituzionali - spiega il capogruppo di Sel alla Camera Arturo Scotto -. Landini lancia un allarme ponendo una questione: come costruire una sinistra aperta e democratica che rimetta al centro il tema del lavoro? ». Un’area «più ampia di Sel» che guarda «ad associazioni, sindacati» ma anche a quel pezzo di sinistra «imprigionata dentro un Pd che scivola sempre più verso il centro». Il punto è, conclude Scotto, dare «un riferimento politico alle piazze che abbiamo visto ribellarsi contro il Jobs Act».
Riflessioni nel Pd
Cambiare la riforma del lavoro è un punto di partenza condiviso anche da Stefano Fassina del Pd: «Una legge di iniziativa popolare sostenuta da qualche milione di firme sarebbe un’ottima spinta al Parlamento per correggere un provvedimento regressivo - argomenta ad Affaritaliani.it -. Certamente io sosterrò questa iniziativa». Di sicuro, come sottolinea il bersaniano Alfredo D’Attorre, «il tema non è la nascita di un nuovo partito né la scissione del Pd». Ma piuttosto quello di «progettare una battaglia comune, che impegni aree politiche e forze sociali, per contrastare la linea di politica economica di Renzi sempre più subalterna all’ortodossia di Bruxelles». Possibile farlo restando nello stesso partito del premier? «Il Pd non è proprietà di Renzi», taglia corto D’Attorre. «Landini parla di sinistra sociale da contrapporre a quella politica, per me invece l’obiettivo è una sinistra di governo», commenta Pippo Civati. Insomma, «un progetto che interroghi il Pd».

Corriere 23.2.15
Renzi: Landini è uno sconfitto. Io duro fino al 2018 e poi vinco
Il premier: ha perso contro Marchionne, se fa politica solo Sel può seguirlo
di Maria Teresa Meli

ROMA Matteo Renzi ha superato il suo primo anno di governo. Ma è convinto di avere ancora tanto tempo davanti a sé: «La maggioranza è blindata sino alla fine della legislatura». E «nel 2018 vinciamo noi». Non lo dice con tracotanza. Ma ne è convinto. Anche se sa che ormai il partito di Berlusconi, allo sbando com’è, è una causa persa, su cui è difficile fare affidamento come ai tempi del patto del Nazareno: «Forza Italia sta esplodendo e noi andiamo avanti da soli. Se dovesse per caso rompersi qualcosa nella maggioranza, cosa a cui non credo, sarà fisiologico che qualcuno di loro ci sostenga».
Insomma, per farla breve, in questo primo compleanno del suo governo il premier è contento: «Abbiamo svolto un lavoro durissimo, ma sul Jobs act abbiamo fatto più di quanto sperassi di fare. E quello che abbiamo realizzato sui notai, sulle assicurazioni, sui telefonini, le banche e le poste rappresenta una rivoluzione culturale straordinaria. Non solo, il bello è che l’Italia sta ripartendo davvero».
Parla così, Matteo Renzi, preso dall’entusiasmo. Ma su Raitre, Lucia Annunziata, nella sua trasmissione In mezz’ora , gli ricorda che qualcosa di nuovo si sta muovendo nel mondo della sinistra. E non è detto che sia foriero di buone notizie per il premier. Già, Maurizio Landini, in un’intervista al Fatto quotidiano , ha lasciato intendere che potrebbe scendere in politica, per guidare quella sinistra che è da qualche anno alla ricerca di un leader.
È vero che ore e ore dopo il leader della Fiom, dopo una reprimenda della Cgil, ridimensiona la portata delle sue parole, ma la sua è una smentita a metà in cui ribadisce che occorre andare oltre la «rappresentanza sindacale». Il premier comunque risponde imperturbabile ad Annunziata: «Non credo che Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini. Il progetto di Marchionne sta partendo, la Fiat sta tornando a produrre auto e ad assumere, è ovvio che la sconfitta sindacale lo porti ad abbracciare la politica, non dimentichiamoci che a Pomigliano ha portato a scioperare cinque persone su 1400».
Ma Renzi non ha paura che una parte del Pd possa essere ora tentata dalla scissione? A sera, dopo la trasmissione, Renzi non sembra aver cambiato idea: «Non mi preoccupa Landini. Ha acquisito visibilità schierandosi contro Marchionne. Oggi che Marchionne sta vincendo, lui deve scappare dal sindacato. Normale. Io provo massimo rispetto, per Landini, ma non è il primo sindacalista a buttarsi in politica e non sarà l’ultimo. Gli faccio i miei più sinceri auguri». Di un’eventuale scissione, Renzi non sembra avere paura: «Se veramente il leader della Fiom si buttasse in politica nessuno del Pd lo seguirebbe, solo Sel andrebbe con lui». E anche Pippo Civati, aggiunge qualche renziano duro e puro e ormai convinto che il deputato del Pd dissidente per vocazione e professione sia prossimo all’addio al partito.
Insomma, non sembrano queste le preoccupazioni di Renzi. E nemmeno le polemiche della sua minoranza sul Jobs act paiono innervosirlo più di tanto: «Ormai il Jobs act è andato». Come a dire: ormai è fatta, quindi pazienza per le lamentele e gli attacchi, strascichi inevitabili, se «si vogliono fare le riforme e cambiare questo Paese», perché ci sarà sempre «chi preferisce che tutto rimanga com’è adesso». Morale della favola: se la minoranza interna pensava di condizionare le mosse del presidente del Consiglio ora che il patto del Nazareno sembra essere andato in frantumi, ha sbagliato i suoi piani. «Io non sarò ostaggio di nessuno. So che ci saranno quelli che ci proveranno, ma hanno sbagliato indirizzo», sorride il premier.
E il varo dei decreti del Jobs act pare essere la conferma di queste sue parole. «Del resto, come si fa a essere contrari a una legge che per la prima volta si preoccupa veramente dei non garantiti, cioè dei precari?», si chiede retoricamente il premier. Che preferisce non entrare in polemica diretta con la presidente della Camera Laura Boldrini che lo ha criticato e che ha stigmatizzato la figura «dell’uomo solo al comando». Rispetto alle sue parole, intervistato da Annunziata, l’inquilino di Palazzo Chigi si limita a dire: «Questo è un problema suo». Ma è a lei che indirettamente si rivolge quando spiega, sempre in quella trasmissione, che «il mio obiettivo non è costruire una leadership carismatica». Con i collaboratori e gli amici più fidati Renzi però si è lasciato andare un po’ di più perché è rimasto stupito per l’attacco di Boldrini nei suoi confronti: «Lei è la presidente della Camera e dovrebbe fare l’arbitro, mentre mandiamo avanti il programma per cui abbiamo preso la fiducia».
Altro argomento, altro capo di imputazione. Anche stavolta Renzi è netto. Il tema, postogli da Annunziata, è quello delle Popolari e delle inchieste della Consob e della magistratura sui movimenti che ci sono stati dopo il provvedimento del suo governo. «Mi auguro che venga fatta chiarezza al più presto perché sono state fatte polemiche ridicole e dette castronerie galattiche. Un galantuomo come Ciampi insieme a Draghi tentò di fare queste norme. Noi abbiamo ripreso quel principio». 

Repubblica 23.2.15
Jobs Act, duello tra Renzi e Landini
Il premier teme trappole sull’Italicum
l premier liquida la Boldrini: problema suo
Il fronte del no: ignorare il Parlamento comporta conseguenze
di Silvio Buzzanca

ROMA Maurizo Landini scende in politica perché «ha perso la battaglia sindacale». Matteo Renzi stronca così le presunte velleità politiche del segretario della Fiom.
Presunte perché Landini ha smentito ieri sera il titolo del Fatto Quotidiano ad una sua intervista che lo vedeva già praticamente in campo contro il premier.
«Titolo fuorviante — spiega Landini — perché rimanda più esplicitamente all’impegno di tipo partitico o elettorale, che nell’intervista non è proprio presente». Landini spiega che «la “sfida a Renzi” per il sindacato, oltre alla 'normale azione contrattuale', consiste nella creazione di una coalizione sociale che superi i confini della tradizionale rappresentanza sindacale» che rappresenti chi vive lavoro. «Ed è questo - dice Landini - che ho sempre inteso e continuo a intendere per impegno politico». Questa precisazione arriva dopo che il premier aveva detto senza mezzi termini: «Questa uscita di Landini è molto importante. Dopo la sconfitta della battaglia contro Marchionne è scontata la sua discesa in politica. Non è lui che lascia il sindacato, è il sindacato che lascia lui».
Renzi ieri ha replicato, in modo soft, anche a Laura Boldrini che sabato aveva lamentato come il governo sul Jobs act non avesse preso in considerazioni le osservazioni, non vincolanti, del Parlamento. «La Boldrini è l’arbitro dei giochi parlamentari e io la lascio fuori da questa discussione. È un problema suo e non nostro, noi stiamo portando avanti il programma di governo», ha detto il premier. L’affondo è arrivato invece da Debora Serracchiani che, intervistata da Maria Latella per SkyTg24, ha detto: «Mi sembra un eccesso rispetto alla sua posizione di garanzia». La Boldrini però è difesa da Sel e dalla minoranza dem. Il bersaniano Alfredo D’Attorre già prefigura bocciature della Consulta sul Jobs act, mentre Vannino Chiti ammonisce: «Il governo può non tenern conto del parere del Parlamento: la sua è una scelta politica. Può compierla: non è però indolore o priva di conseguenze».

il Fatto 23.2.15
Di nuovo contro il sindacato
Renzi: “La Fiom ha perso, perciò entra in politica”
di Luca De Carolis

Prima candelina del governo rottamatore, Matteo Renzi è ovunque. Corre tra palchi, contestazioni e programmi tv. E morde alla gola il possibile avversario Landini, che sulle pagine del Fatto ha annunciato di volerlo sfidare: “Vuole scendere in politica perché ha perso sul piano sindacale, ha bisogno di cambiare pagina”. Poi lascia a piedi Prodi: “Come mediatore in Libia l’Onu non vuole un italiano”. E promette di partire per marzo con la riforma della Rai: addirittura per decreto, se il Parlamento non dovesse sbrigarsi. Parla e annuncia su tutto, il premier che a inizio marzo andrà in Russia da Putin perché “voglio portarlo al tavolo sulla Libia”. Euforico: “Questo Paese lo cambiamo, gufi o non gufi, piccioni o non piccioni”. Perché è un giorno renzianissimo. Per celebrarlo il Pd ha organizzato a Roma la manifestazione “Un anno di governo: la scuola cambia, cambia l’Italia”, manifestazione anche per lanciare il decreto-legge e il disegno di legge delega di riforma (dovrebbero presentarli venerdì, in ballo l’assunzione da settembre di almeno 100mila precari). C’è ressa, in parecchi rimangono fuori. Renzi si siede in platea per ascoltare insegnanti e studenti. Poi sale sul palco per la chiusura ed è contestazione, da parte di docenti precari: “Lasciateci parlare, basta demagogia”. Alle telecamere de ilfattoquotidiano.it   uno del gruppo assicura: “Sono iscritto al Pd, vogliamo dare consigli”. Ma dal microfono il premier è duro: “A chi viene qui a fare pagliacciate per andare in tv lo spazio glielo diamo tranquillamente, ma noi stiamo facendo un’altra cosa”.
SULLA RIFORMA della scuola abbonda di promesse, poi accenna a “un meccanismo sul modello del 5 x mille, per cui nella dichiarazione dei redditi barro per il singolo istituto. Dovrà essere pensato per scuola e cultura, spero funzioni dal 2016”. Ma ha voglia di parlare di Rai: “La cambieremo, non può essere disciplinata da una legge che si chiama Gasparri. A marzo si parte con la riforma”. Auto-celebrazioni (“Noi decidiamo, basta con la palude”), poi scappa via. Ricompare a In mezz’ora, su Rai3. E da lì risponde a Landini. Al sindacalista che vuole “sfidarlo democraticamente” è già arrivato il gelo via Twitter di Massimo Gibelli, il portavoce della segretaria Cgil Susanna Camusso: “Se Maurizio Landini vuole scendere in politica tutti i nostri auguri, ma il sindacato, la Fiom, è un’altra cosa”. Ma Renzi è quasi feroce: “Non credo che Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini. Il progetto Marchionne sta partendo, la Fiat sta tornando a fare le macchine. La sconfitta sindacale gli pone l’obbligo di voltare pagina, il suo impegno in politica è scontato”. Affonda la lama, il premier: “Landini non è il primo sindacalista che fa politica. Sul jobs act ognuno può avere l’opinione che vuole, ma è difficile pensare che tutte le manifestazioni non fossero propedeutiche alla entrata in politica”. Sabato aveva protestato anche la Boldrini (“Sul jobs act bisognava tener conto dei pareri negativi di Camera e Senato, non mi piace l’uomo solo al comando”). Renzi le replica sbrigativo: “Un problema suo, non nostro. Noi mandiamo avanti il programma di governo su cui abbiamo chiesto la fiducia“ e come dobbiamo fare”. Poi torna sulla Rai, con avviso ai naviganti: “Se ci sarà un decreto legge per la riforma dipende dal Parlamento e dai suoi tempi, un dl è possibile”. Ha fretta di cambiare, il segretario Pd: “L’obiettivo è non eleggere il prossimo Cda con la Gasparri”. Corre pure con le parole e infila toscanismi, il premier che giura: “Il mio obiettivo non è costruire una leadership democratica”. Sulla politica estera svicola un po’. Poi però si parla del mediatore per la crisi in Libia: “Nel settembre scorso, quando ho chiamato Ban Ki Moon (il segretario Onu, ndr) su questo punto, mi ha spiegato che per il passato coloniale era meglio un non italiano. Già allora si parlava di Prodi o di D’Alema: erano ipotesi dei giornali”. Ipotesi che resteranno tali, per il Renzi che sogna in grande sulla politica estera: “Voglio portare Putin al tavolo sulla Libia, ma lui prima deve lasciare l’Ucraina”. L’Annunziata va di contropiede: “Lo ha detto agli americani? ”. E lui assicura: “Ci sentiamo spesso”. Capitolo Isis: “Non siamo sotto attacco, l’espressione ‘siamo a sud di Roma’ è un’indicazione geografica, non una minaccia. Loro non sono così forti come vogliono far credere, e comunque i terroristi non arrivano con i barconi”. C’è tempo anche per il caso banche Popolari: “Un conflitto d’interessi del governo sul decreto di riforma? Castroneria galattica, sono pronto a tutte le verifiche”. Renzi si congeda, da Renzi: “Cambieremo l’Italia”. Prosit.

La Stampa 23.2.15
Cosa succede a sinistra?
La scommessa di Landini sulle orme di Tsipras
Il leader della Fiom è un moltiplicatore di share e da qui al 2018 potrebbe aggregare attorno a sé i vendoliani, i delusi del Pd e i militanti dell’ala più dura della Cgil
di Carlo Bertini

Corriere 23.2.15
Il passo avanti del leader Fiom agita la minoranza dem
D’Attorre: possibili lotte comuni, ma il tema non è la nascita di un nuovo partito
Vita: se non ora quando?
di Al. T. 

ROMA Da una parte la presidente della Camera, Laura Boldrini. Dall’altro il leader della Fiom, Maurizio Landini e la minoranza del Pd, sempre più inquieta. Dopo il contestato varo del decreto sul Jobs act, Matteo Renzi riceve un attacco concentrico, con accuse di leaderismo eccessivo e di scarso rispetto per il Parlamento. E la minoranza si trova a un bivio, tra l’ammissione della resa e la ricerca di nuove strade per incidere di più.
La replica alle parole della presidente della Camera — che aveva parlato di «uomo solo al comando» — è affidata alla vice segretaria Debora Serracchiani. A L’intervista , su SkyTg24, le definisce «eccessive rispetto alla sua posizione di garanzia». A difesa della Boldrini si schiera Sel: «La presidente difende il Parlamento, le tifoserie le lasciamo ai ventriloqui di corte».
Landini, invece, aveva lanciato la sua sfida dalle colonne del Fatto Quotidiano . Ieri ha corretto il tiro: «Non ci sarà un mio impegno di tipo partitico o elettorale». Resta il senso della «sfida democratica» contro Renzi: «Serve una coalizione sociale più larga, dobbiamo aprirci a una rappresentanza anche politica». A dimostrazione di quanto sia frammentata l’opposizione, le reazioni non sono compatte. Da Pippo Civati arriva il no più secco: «Premetto che mi piacerebbe chiarire il tema con lui, per evitare fraintendimenti, ma Landini parla di sinistra sociale da contrapporre a quella politica. Non capisco e non sono d’accordo. Per me l’obiettivo è una sinistra di governo, che unisca, non una sinistra divisa». Anche Alfredo D’Attorre respinge la suggestione di un’uscita dal Pd, ma apre al dialogo: «Il tema non è la nascita di un nuovo partito, né la scissione dal Pd. Piuttosto, possono essere interessanti battaglie comuni tra forze politiche, forze sociali e pezzi della società. Quanto alle parole di Renzi, non mi pare utile delegittimare un interlocutore». Vincenzo Vita, vicino a Civati e molto critico con il Pd, la vede diversamente: «Mi chiedo, se non ora, con lo slittamento a destra di Renzi sul lavoro, quando? Mi auguro che Landini ci pensi davvero e che nasca qualcosa di nuovo insieme alla minoranza del Partito democratico».





Repubblica 24.2.15
Maurizio Landini
“Io in politica? Deciderà la Cgil nel 2018 Di certo serve una coalizione sociale”
“Renzi ha scelto Confindustria, è peggio di Berlusconi c’è una compressione di diritti che non ha precedenti”
“Il sindacato ha sempre fatto politica. Ha sempre espresso una sua visione, non è mai stato un sindacato di mestiere”
intervista di Roberto Mania

ROMA «Renzi peggio di Berlusconi», dice Maurizio Landini, segretario generale della Fiom. Il leader sindacale che propone la formazione di “una coalizione sociale” per dare rappresentanza politica al lavoro. «Perché oggi il governo di Renzi ha scelto di stare dalla parte della Confindustria ».
Landini, perché Renzi sarebbe peggio di Berlusconi?
«Perché di fronte al dissenso di tre milioni di persone che scesero in piazza per difendere l’articolo 18, Berlusconi si fermò capendo che non aveva il consenso. Renzi non si è fermato».
Ma non ci sono stati nemmeno i tre milioni in piazza.
«Renzi, come Berlusconi, non ha il consenso di chi lavora. Renzi sta attuando il programma dettato della Confindustria e dalla Bce nella famosa lettera dell’agosto 2011».
Dice questo perché secondo il presidente del Consiglio lei dopo aver perso nel sindacato cerca il riscatto in politica?
«No. Queste cose le dico da mesi ormai. Aggiungo però che è una bugia le tesi di Renzi secondo cui la Fiom avrebbe perso iscritti: la Fiom ha 350 mila iscritti contro i 100 mila del Partito democratico».
Ammetterà che gli ultimi scioperi a Pomigliano e Melfi sono stati due clamorosi flop?
«Non ho problemi ad ammetterlo. Ma vorrei ricordare che per ottenere il riconoscimento dei nostri delegati alla Fiat abbiamo dovuto far ricorso alla Corte costituzionale. Questa è una questione di democrazia».
Lei ha detto che “è a rischio la tenuta democratica del Paese”, non le sembra un po’ esagerato?
«Proprio per niente. C’è una compressione dei diritti di chi lavora che non ha precedenti nella nostra storia. È in atto una scissione tra il lavoro e i diritti di chi lavora. E chi lavora è povero. Dall’altra parte aumenta la corruzione, l’evasione, il controllo di settori dell’attività economica da parte della criminalità organizzata».
La colpa di tutto questo sarebbe di Renzi?
«Il governo di Renzi sta facendo politiche che favoriscono questi processi. Renzi dice che si ha diritto a licenziare sempre e che si può evadere».
Veramente era Berlusconi a dirlo.
«Perché, secondo lei, depenalizzare la frode fiscale non è la stessa cosa? Non era mai successo che il governo ignorasse un parere del Parlamento, come è successo sui licenziamenti collettivi. C’è un’idea di accentramento del potere in mano all’esecutivo mentre la nostra Costituzione disegna una democrazia partecipata nella quale è riconosciuto il ruolo dei soggetti sociali».
Insomma, si sta preparando a fondare un nuovo partito?
«No. Io voglio continuare a fare il sindacalista. Io dico che per la prima volta nella nostra storia democratica non c’è una rappresentanza politica del lavoro. È in atto un attacco al ruolo, anche politico, che il sindacato generale ha sempre svolto in Italia. Non posso non pormi il problema di contrastare questo processo».
Ma che cos’è una “coalizione sociale” se non il primo passo per dare vita a un partito?
«Non è così. Una coalizione sociale vuol dire mettere insieme chi agisce nel sociale con al centro la questione del lavoro».
Con chi pensa di farla questa coalizione:
con Libera di Don Ciotti, Emergency di Gino Strada?
«Anche con i soggetti che dice lei. Ma con tutti coloro che possono contribuire a dare rappresentanza al lavoro».
Nei fatti è un programma politico.
«Il sindacato italiano ha sempre fatto politica. Ha sempre espresso una sua visione, non è mai stato un sindacato di mestiere».
Lei nel 2018 finirà il mandato alla Fiom.
Sarà l’anno delle elezioni. Esclude una sua candidatura?
«Alla fine del mio mandato sarò a disposizione della Cgil. Cosa farò lo decideranno i gruppi dirigenti e soprattutto gli iscritti».
Alla Camusso non è piaciuta la sua uscita.
Un tweet del suo portavoce le ha ricordato che il sindacato è una cosa diversa dalla politica. Oggi ha incontrato la Camusso (ieri per chi legge, ndr) cosa le ha detto?
«Che quel tweet era del suo addetto stampa».
Nessuna critica alla sua voglia di politica?
«Io ho ripetuto cose che dico in Cgil da mesi. Abbiamo parlato della prossima assemblea dei delegati della Fiom di venerdì e sabato nella quale decideremo come proseguire la mobilitazione».

il manifesto 24.2.15
Landini replica a Renzi: “Stai sereno, non scendo in politica, la Fiom ha più iscritti del Pd”
Lo scontro con Renzi. Landini replica al premier e nega di voler entrare in politica
«È a rischio la democrazia del Paese e il sindacato sta reagendo»
Quello che ha in mente il leader delle tute blu è una «coalizione sociale» che sostenga un nuovo Statuto dei lavoratori e magari voti a un (eventuale) referendum
di Antonio Sciotto

Corriere 24.2.14
Jobs Act, Landini alza il tiro: «Premier non eletto mette a rischio democrazia»
Così il leader della Fiom a 'Otto e mezzo': «Sta cancellando lo statuto dei lavoratori»
In giornata vertice con la Camusso ma nessuna dichiarazione su un’apertura alla politica

Corriere 24.2.15
La Pomigliano della sinistra
di Antonio Polito

È possibile una sfida da sinistra a Matteo Renzi? Sono venuti allo scoperto due potenziali competitori: Landini, pronto a cavalcare la «questione sociale», e Laura Boldrini, che ha invocato la «questione democratica».
Non c’è dubbio che il segretario della Fiom abbia il fisico del ruolo: voce tonante e petto in fuori, sembra perfetto per il nuovo genere televisivo dell’ indign-tainment , un po’ indignazione e un po’ intrattenimento. Ma l’idea di trasformare le tensioni sociali in una coalizione politica, una sorta di Syriza o Podemos italiani, non può funzionare ora che la curva dell’economia cambia verso. Di solito la sinistra appare più forte nelle crisi perché punta su slogan di maggiore equità sociale, come in Grecia. Ma quando si riprende a crescere l’opinione pubblica chiede briglie sciolte. Landini avrebbe dovuto capirlo a Pomigliano: hanno scioperato in cinque quando ha tentato di bloccare il primo sabato di straordinario sulla linea della Panda, con la motivazione che il lavoro andava condiviso col resto della fabbrica. Nessuno rinuncia al lavoro oggi, neanche in cambio di solidarietà, e forse nemmeno di diritti. La politica è cosa diversa dall’agitazione sindacale, e non basta agitare più forte.
Più appuntita è la polemica di Boldrini. L’ansia del Paese di mettersi la recessione alle spalle rende oggi popolare uno stile di governo sbrigativo. Ma proprio perché l’opinione pubblica è più tollerante, il rischio di arrecare danni alla democrazia parlamentare è più elevato, anche al di là delle intenzioni. Il governo ha appena esercitato una delega legislativa oltre il parere del Parlamento, e c’è chi dice che voglia legiferare per decreto perfino su una materia come la governance della Rai. È difficile rimproverare a Laura Boldrini la sua frase sull’«uomo solo al comando» quando sono i renziani stessi a ricorrere abitualmente alla minaccia di «andare avanti da soli». Come è poi accaduto sulla riforma costituzionale, approvata dal Pd a Montecitorio in perfetta solitudine.
Ma se la questione democratica esiste, è flebile la voce di chi vorrebbe trasformarla nell’arma di una sfida politica al premier. Non solo quella di Boldrini, tra l’altro impacciata dalla sua carica istituzionale (si prepara un nuovo caso Fini?). Ma anche quella della sinistra pd: di questi tempi perfino i suoi elettori sembrano disposti a scambiare un po’ di benessere in più con un po’ di democrazia parlamentare in meno. 

Corriere 24.2.15
Landini: «Fondare un partito? Per niente, ma è a rischio la tenuta democratica»
Il leader della Fiom attacca il governo Renzi a Otto e Mezzo: "A rischio la tenuta democratica del Paese"






La Stampa 24.2.15
Camusso incontra Landini e lo frena
“La Cgil non è un partito”
Poi i due leader smussano la portata del vertice: “Era già programmato”. La sfida politica della Fiom resta in piedi
di Roberto Giovannini

Se lo aspettava certamente, il segretario della Fiom Maurizio Landini: la sua intervista al «Fatto» in cui annuncia una «sfida democratica» a Matteo Renzi ha sollevato un bel caos, un sacco di punti interrogativi, e tantissime reazioni. Compresa quella del segretario generale della Cgil Susanna Camusso, che lo ha incontrato per chiedergli che cosa ha in mente. Come si usa in questi casi, sia Camusso che Landini hanno detto che l’incontro di ieri era già programmato da un po’, e che non si è trattato di una «convocazione d’urgenza». Camusso ne ha approfittato per chiedere a Landini le sue idee e le sue intenzioni. E a sua volta, gli ha detto quali sono le «linee rosse» che il leader Fiom non può superare.
A Camusso - e poi in serata a Lilli Gruber su «La7» - Landini ha chiarito che non ha nessuna intenzione di fare un partito né di candidarsi a leader politico. Ancora, il numero uno della Fiom ha giurato che non ha nessuna intenzione di utilizzare il sindacato dei metalmeccanici a fini politici. Ma ha detto che con il governo Renzi e il «Jobs Act» la situazione è cambiata: come alla fine dell’800, il movimento del lavoro oggi non ha alcuna rappresentanza politica, ed è condannato a una protesta sterile visto che il governo ascolta solo Confindustria. Serve dunque, oltre all’azione sindacale, una «coalizione sociale più ampia possibile» in grado di premere sulla politica.
Spiegazioni che non rassicurano Camusso. Che ha spiegato che «andare oltre i confini della rappresentanza sindacale» può significare solo fare un partito o qualcosa del genere. La Cgil (ma anche la Fiom, secondo Camusso) di questo «para-partito» non può né essere né componente né mero «aggregatore». Per la buona ragione che questo produce un danno immediato e gravissimo all’azione sindacale.
Landini a «La7» dice che «a fare un partito non ci pensa», che vuole fare il sindacalista, «che Renzi non è stato eletto e non è di sinistra». Tuttavia è anche l’unico leader di sinistra che quando parla si fa capire. Che è popolare, e che (a differenza dei tifosi del Feyenoord) le ha prese dalla polizia insieme agli operai. Insomma, che lo voglia o no, il leader Fiom è chiaramente un fattore importante nel dibattito politico. E un giorno potrebbe accorgersi di dover fare un «salto» obbligato in un modo in cui per ora non vuole entrare.
Ieri tante le reazioni alla sua intervista: in campo politico, molto positiva è quella di Nichi Vendola, interlocutoria ma non di chiusura quelle di Stefano Fassina e Pippo Civati. Roberto Speranza, della minoranza Pd, accusa Renzi di non aver rispettato il Parlamento. Ma con Landini difficilmente combineranno qualcosa.

Il Sole 24.2.15
Cgil e politica. Dopo le ipotesi di impegno politico
Il leader Fiom: «Fare un partito? Non ci penso proprio»
Speranza (Pd): sbagliato ignorare il Parlamento sul Jobs act
Camusso chiede chiarimenti a Landini, critiche anche da Cisl
di G. Pog.

Faccia a faccia tra Camusso e Landini all’indomani delle polemiche sul suo presunto impegno politico. Ieri l’incontro nella sede di Corso d’Italia con la leader della Cgil è stato un’occasione per un chiarimento, con Susanna Camusso che ha ribadito la necessità di evitare commistioni tra politica e sindacato. Tutto nasce dall’intervista pubblicata domenica da “Il Fatto quotidiano” e titolata «Faccio politica», in cui Landini aveva detto: «È ora di sfidare Renzi», sostenendo che «il sindacato si deve porre il problema di una coalizione sociale più larga e aprirsi a una rappresentanza anche politica». Landini ha poi smentito il titolo, ma sul contenuto dell’intervista nella stessa giornata è intervenuto il premier Renzi: «Non credo che Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini - ha detto il presidente del consiglio intervistato a “In mezz’ora” -. Il progetto Marchionne sta partendo, la Fiat sta tornando a fare le automobili. La sconfitta sindacale pone Landini nel bisogno di cambiare pagina, il suo impegno in politica è scontato». Nelle stesse ore il portavoce di Camusso, Massimo Gibelli, su twitter commentava: «Se Maurizio vuole scendere in politica tutti i nostri auguri, ma il sindacato è altra cosa».
Dal sindacato spiegano che l’incontro era in agenda da tempo, in preparazione dell’assemblea dei metalmeccanici in programma venerdi e sabato a Cervia. Ma in serata Landini ha rincarato la dose: «Che abbia perso come sindacalista è una sciocchezza: la Fiom ha 350mila iscritti, più del partito di Renzi». A fare il partito? «Non ci penso proprio. Voglio continuare a fare il sindacalista - ha aggiunto - serve una vasta coalizione sociale che si opponga a un premier, che pur non essendo stato eletto, sta cancellando lo Statuto dei lavoratori. È a rischio la tenuta democratica del Paese». Come è noto, arrivato a Palazzo Chigi, Renzi elesse Landini come interlocutore privilegiato tra i leader sindacali, sui temi del lavoro. Ma la luna di miele è finita da tempo; l’ultimo faccia a faccia tra i due a Palazzo Chigi risale allo scorso 27 agosto. Poi su materie come il Jobs act e il rilancio della Fiat targata Marchionne (fortemente sostenuto da Renzi) è maturata la frattura.
Non è un mistero che a sinistra periodicamente si evochi il nome di Landini come possibile protagonista di una nuova alleanza sociale alternativa al Pd. Anche se lui poi puntualmente smentisce. L’intervista di domenica ha aperto una breccia in quella parte della minoranza Pd, e non solo, che contesta la politica del governo. Per il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, Renzi ha sbagliato a «non tener conto del parere delle Camere». «Landini ha chiarito che vuole continuare a fare sindacato - ha detto Stefano Fassina - ma pone un problema vero: il lavoro non ha un’adeguata rappresentanza. Il problema di costruire un legame fra diverse istanze sociali è questione aperta». Ma una parte della minoranza Pd, l’area riformista, resta fredda. «Sono scelte personali - commenta Cesare Damiano -. Landini pare avere un seguito in politica, per il momento ha scelto di fare il sindacalista e spero abbia lo stesso seguito nel sindacato». La possibilità che Landini da sinistra possa erodere il consenso al Pd, non preoccupa il ministro della Pa Marianna Madia: «Non siamo preoccupati - afferma - abbiamo un programma con delle riforme importanti, andiamo avanti su questa strada senza cambiare per le critiche degli altri». Duro il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan: «È una scelta di Landini, a lui lasciamo la politica e i salotti televisivi: la Cisl è sui luoghi di lavoro» ha detto, entrando in Cassazione per depositare la proposta di una legge di iniziativa popolare sul fisco più equo. «Noi siamo un sindacato al 100% - ha aggiunto - non molliamo mai il tavolo delle trattative».

Il Sole 24.2.15
Dalla lista Tsipras a Landini, la sinistra alla ricerca disperata di un leader
di Lina Palmerini

Gli stessi che oggi spingono Maurizio Landini a lasciare il sindacato per la politica sono quelli che a maggio scorso si presentarono alle europee con la Lista Tsipras, per l’esattezza “L’altra Europa con Tsipras”. Anche se il premier greco ha preso altre ore di tempo per presentare la sua lista di misure a Bruxelles, quell’altra Europa non si è affatto materializzata né si materializzerà. Dunque, chi ha “importato” in casa nostra quelle promesse che non si realizzeranno – come minimo – deve fare autocritica e darne conto a quel 4,1% di elettori che aveva creduto alla delega in bianco della sinistra italiana verso quella greca. Invece a Roma si continuano a produrre slogan su come e quanto deve cambiare l’Europa mentre è sotto gli occhi di tutti la fatica del negoziato di Atene e il suo costo politico interno. Mentre Syriza si spacca proprio perché ci si misura con la realtà, a Roma questo esercizio resta lontano. E mentre Atene fa i conti con il suo popolo e con i rischi di un collasso finanziario, la sinistra italiana è partita alla ricerca di un nuovo Tsipras.
Questa volta italiano, di Reggio Emilia, di professione sindacalista della Fiom, che ha offerto l’illusione di poter fare il salto in politica. Peccato che già ieri ci sia stato un piccolo test fallito: l’ennesimo flop di uno sciopero Fiom indetto a Melfi contro lo straordinario chiesto dall’azienda. Sembra che abbia aderito solo il 2,8% di operai. Un dato che non è proprio un incoraggiamento per Landini a intraprendere avventure politiche soprattutto se precedute da storie di sindacalisti passati alla politica senza grandi successi. O se si ripercorre la storia recente della sinistra al governo che si ricorda più per i fallimenti: dalla scelta di Fausto Bertinotti, ex sindacalista Cgil, di far cadere il primo Governo Prodi, fino al 2008 quando la sinistra fu bocciata dagli elettori dopo la prova nel secondo Esecutivo Prodi e non riuscì neppure a entrare in Parlamento.
Insomma, quell’area che guarda a Landini non ha ancora fatto i conti con il presente complicato di Tsipras né con il passato della sinistra di governo. E anche se il leader Fiom, che ieri ha avuto un vivace scambio di opinioni con Susanna Camusso, nega di voler fare il salto e fondare un partito, la suggestione in alcuni resta. Proprio quelli che criticano il leader carismatico e bacchettano Renzi «uomo solo al comando» sembrano alla disperata ricerca di un volto che incarni una rappresentanza e dia a loro una prospettiva politica. Se ne capisce il motivo. Il Pd renziano comincia a essere davvero un alleato impossibile o una casa scomoda. Troppo scomoda, soprattutto dopo il varo del Jobs act e dei decreti attuativi che ha archiviato – senza colpo ferire – anni e anni di battaglie a sinistra.
In molti, a cominciare da Stefano Fassina, hanno ricordato che la riforma del lavoro discende dalla lettera della Bce del 2011. Un’osservazione corretta così come è corretto pensare che Tsipras, nonostante le promesse elettorali, non farà altro che continuare ad applicare - nella sostanza - lo stesso programma della troika sia pure sotto un nome diverso. Il punto è che la maggioranza dei cittadini ha scelto di restare nell’euro e dunque non c’è altro da fare che negoziare e trattare con l’Europa. Alle scorse europee, la maggioranza dei voti è andata ai partiti filo-Ue – dal Pd a Forza Italia a Ncd – mentre alla Lega è andato circa un 6% di consensi e al Movimento 5 Stelle il 21,16 per cento. Fino a quando gli italiani – e i greci – vorranno restare nell’euro ai partiti toccherà la pratica della realpolitik. O quella di rinnegare le promesse elettorali.

il manifesto 24.2.15
Muro contro Renzi. Ma fra i ’compagni’ scende il freddo
Vendola: Landini è una risorsa per tutti. Ma la minoranza Pd non ci sta
Gotor: «Un Landini radicale fa il gioco di un Renzi neo centrista»
di Daniela Preziosi

il manifesto 24.2.15
Democrack
Fassina: «Una nuova ’cosa’? Ora no»
L'ex viceministro: il leader Fiom ha ragione, la rappresentanza del lavoro non è all'altezza. Ma il Pd non è solo Renzi
di Daniela Preziosi

Diretta News 24.2.15
Civati e Bertinotti stanno con Landini

L’Huffington Post 24.2.15
Pippo Civati su Maurizio Landini: "Parlerò con il segretario della Fiom, misuriamoci su un progetto politico"

La Stampa 24.2.15
Per il leader Fiom fiducia molto alta
Il bacino di voti si ferma all’8%
I sondaggisti: difficile fare una Podemos italiana
di Francesca Schianchi

Un «combattente» che difende i lavoratori, descrive la percezione dell’immagine di Maurizio Landini il direttore di Ipr marketing Antonio Noto. Un leader «con un eloquio efficace, che ha competenze e richiama la fatica del lavoro», dice la politologa Sofia Ventura. Che il segretario della Fiom abbia un appeal lo dimostra il fatto che già mesi fa vari sondaggisti lo hanno testato: oltre al fatto che, come ricorda la Ventura, Crozza ha preso a imitarlo, infallibile cartina al tornasole degli astri in ascesa della vita pubblica italiana.
Concordi nel riconoscere carisma a Landini, molti esperti sono però altrettanto d’accordo nel non attribuire a una sua eventuale – per ora smentita – discesa in campo un’esplosione di consensi a sinistra. Nulla di paragonabile a Syriza in Grecia o Podemos in Spagna: «Secondo le nostre rilevazioni, Landini gode della fiducia di circa un 20% degli italiani: ma attenzione, fiducia non significa che lo voterebbero», mette in guardia Pietro Vento, direttore di Demopolis, «è difficile capire quale sia lo spazio per una nuova forza a sinistra del Pd», ma, di certo, «sarebbe poco realistico ipotizzare scenari simili a Syriza o Podemos». Non c’è lo stesso contesto di Grecia e Spagna anche per Roberto Weber di Ixè: «Landini, che secondo i nostri sondaggi di qualche mese fa potrebbe arrivare all’8%, non è espressione di una generazione e di gruppi sociali esclusi: l’impianto narrativo di Podemos, lui non lo può proporre».
Per quanto riguarda un suo ipotetico peso elettorale, spiega Noto che, secondo le rilevazioni fatte in autunno, molto dipende da cosa dovesse succedere nel panorama politico: «Se riuscisse ad aggregare una parte di Pd, potrebbe arrivare anche al 10%. Altrimenti, si fermerebbe al 4-5%, più o meno quanto la lista Tsipras alle Europee». Un eventuale «non banale» consenso raggranellato da Landini a sinistra, ragiona la politologa Ventura, potrebbe spingere la situazione a «radicalizzarsi sempre di più, con un Pd ancor più spinto al centro». Il che, secondo Weber, non intaccherebbe il consenso del premier: «Almeno nel breve e medio termine, Landini in campo non incrinerebbe l’egemonia renziana».

Repubblica 24.2.15
In Italia il variegato fronte sociale appare privo di ossatura e di una vera strategia
Il paradosso Landini quello spazio nuovo alla sinistra Dem difficile da colmare
Proprio per questo il premier si permette di fare il Maramaldo In questa fase è impossibile fare paragoni con la Spagna o con la Grecia
di Stefano Folli

ESISTE un paradosso alla sinistra di Renzi e le polemiche sull’eventuale impegno politico di Landini l’hanno fatto emergere. Da un lato, lo spazio è ampio, significativo sulla carta anche sotto l’aspetto elettorale; dall’altro, né il segretario della Fiom né altri sembrano oggi in grado di occuparlo e di organizzarlo. Per cui il presidente del Consiglio non sembra aver molto da temere, almeno nel medio termine, e si permette il lusso di fare battute un po’ da Maramaldo.
Si capisce perché. Landini può anche vagheggiare di costruire — lui stesso o altri a lui vicini — la versione italiana del movimento spagnolo Podemos, come ha scritto Angela Mauro di “Huffington Post”. Ma la realtà è sempre più complicata dei sogni. In Grecia Syriza si è subito scontrata contro il muro dell’Europa tedesca, in Spagna i nuovi movimentisti rappresentano, certo, una forza vera che però deve ancora misurarsi con i fatti e prima deve vincere le elezioni. In Italia il variegato fronte sociale a sinistra del Pd appare privo di ossatura e di strategia. Si ritrova su alcune parole d’ordine, come la contro-manifestazione anti Lega che si sta preparando per sabato 28 a Roma. Ma l’idea di presentare Salvini come un piccolo Tambroni del Duemila a cui intimare lo sfratto dalla città eterna, con il connesso rischio di disordini e violenze, non è un progetto politico. È più che altro un pretesto per scendere in piazza a manifestare un malessere, rischiando però di fare il gioco dell’avversario leghista.
S’intende che a sinistra di Renzi c’è anche dell’altro. Ma le sigle partitiche hanno dimostrato da tempo di non possedere forza propulsiva. Vendola non rappresenta una minaccia per il premier e non è più nemmeno un aggregatore: anzi, di recente ha subìto l’abbandono del gruppo filogovernativo di Migliore. Quel che resta di Rifondazione è poca cosa e da parte sua la minoranza del Pd di tutto sembra preoccuparsi, tranne che di preparare la scissione. Nessuno peraltro riesce a immaginare Bersani che si mescola alle organizzazioni sociali per inseguire la replica italiana di Podemos. E di sicuro lo stesso Landini se ne rende conto. Tanto è vero che non ha ottenuto incoraggiamenti né dall’interno del Pd (salvo forse Civati) né dal mondo sindacale, a cominciare dalla Cgil. Gli uni e gli altri vedono con identica diffidenza un’ipotesi dai contorni indefiniti che rischia di indebolire insieme la struttura del sindacato tradizionale e quella del partito.
Eppure, ecco il paradosso, lo spazio non mancherebbe. Solo che trasferirlo sul piano politico e soprattutto elettorale richiede una leadership e anche una cornice propizia. Non basta essere contro le politiche di Renzi e nemmeno portare nelle strade qualche migliaio di manifestanti. Ci vuole perizia e senso tattico. Il presidente del Consiglio ha fatto della comunicazione la sua arma migliore, ma non si è fermato a questo. La legge elettorale (l’Italicum), su cui la Camera è chiamata a pronunciarsi, rappresenta un’arma decisiva per chiudere gli spazi a sinistra lasciando un «diritto di tribuna» o poco più ai gruppi che resteranno al di fuori della lista Renzi.
Questo significa che le prospettive non sempre meditate di chi guarda alla Spagna o alla Grecia devono fare i conti con una riforma elettorale di tipo maggioritario tendente per sua natura a mettere ai margini le forze minori e intermedie. Un movimento stile Podemos avrebbe bisogno di una legge proporzionale, come in Spagna. Ma l’Italia sta andando in una direzione opposta, a meno che non intervenga qualche incidente di percorso in Parlamento. In mancanza del quale chiunque vorrà dare forma a una nuova sinistra sospesa fra società e palazzo dovrà adattarsi a un lungo cammino. Per cui nessuno si meraviglierebbe se alla fine Landini scegliesse di giocare le sue carte all’interno della Cgil invece che in una sfida politico-elettorale al premier.

La Stampa 24.2.15
La strada impervia del capo dei metalmeccanici
di Marcello Sorgi

L’ipotesi di un nuovo movimento, o addirittura di un partito alla sinistra del Pd, guidato dal leader della Fiom Maurizio Landini non preoccupa Matteo Renzi. Ma quando il premier domenica ha risposto a Lucia Annunziata che non è Landini che abbandona il sindacato, ma il sindacato che abbandona lui, sapeva di cosa parlava. I risultati, fallimentari per la seconda volta, dopo quelli di Pomigliano, dello sciopero proclamato a Melfi dal sindacato dei metalmeccanici della Cgil sono stati al centro ieri mattina di un vertice tra lo stesso Landini e la segretaria Susanna Camusso: il 2,8 per cento di adesione alla protesta, con la punta minima dello 0,95 (dati forniti dall’azienda) dimostra che la chiamata all’estensione dal lavoro contro gli straordinari chiesti dalla Fiat non è stata condivisa dai lavoratori. Melfi dunque come Pomigliano, che il 14 febbraio aveva visto solo cinque operai scioperare, mentre la Cisl vinceva le elezioni per le rappresentanze interne.
Nel giro di pochi giorni, dopo la decisione del governo di varare i decreti legislativi del Jobs Act, sia Camusso che Landini hanno accennato a iniziative politiche, non soltanto sindacali, che il sindacato potrebbe prendere nei confronti del governo. Così Camusso in un’intervista a “Repubblica” non ha escluso di poter lanciare un referendum abrogativo contro il Jobs Act. E Landini, pur precisando che non pensa a un partito, s’è detto disponibile con “Il Fatto” a organizzare un movimento che punti a coagulare una maggioranza contro la politica economica del governo.
Va detto che i due progetti, se confermati, in questo momento finirebbero molto probabilmente a risolversi a favore di Renzi. Il referendum sulla riforma del lavoro ricorda molto quello proclamato dal Pci con l’appoggio della Cgil, e perduto da entrambi, nel 1985, esattamente trent’anni fa, contro il taglio della scala mobile voluto da Craxi. E l’ipotesi di un partito antagonista, al quale non si unirebbe la minoranza bersaniana, decisa piuttosto a condurre la sua battaglia all’interno del Pd, non tiene conto delle difficoltà in cui versa da tempo la sinistra radicale, da Sel in giù, attraversata da tensioni e scissioni a favore delle riforme di Renzi. Il quale Renzi, si può immaginare, non vedrebbe l’ora di misurarsi in una consultazione elettorale che per il momento in cui cadrebbe, non prima del 2016 - a Jobs Act implementato e con gli effetti del disgelo della crisi che potrebbero manifestarsi più concretamente -, non lo vedrebbe certo in posizione svantaggiata.

Nessun commento: