Il Foglio 25.2.15
Aspettando Landini
Quelli che attendono (da anni) la venuta dell’uomo magico a sinistra, e quel certo effetto Montezemolo
di Marianna Rizzini
qui
il Fatto 26.2.15
Stefano Rodotà
“Un nuovo inizio, si fa politica anche senza partito”
intervista di Salvatore Cannavò
Stefano
Rodotà ha seguito con interesse la polemica nata attorno alle proposte
di Maurizio Landini. Il termine “coalizione sociale” è di suo conio e
qualche settimana fa, proprio con Il Fatto, aveva spiegato il senso
della proposta. Dopo il clamore suscitato dall’intervista del segretario
Fiom, torna sull’argomento.
Le sembra che quella lanciata da Landini sia una proposta politica?
Assolutamente
sì. Anche perché, questa “coalizione sociale”, che io stesso avevo
proposto, è una formula che aiuta a fare chiarezza. Non si possono
ripercorrere le vie del passato, quelle fallimentari della lista
Arcobaleno, della lista Ingroia o, su altri piani, della lista Tsipras.
Il chiarimento migliore mi pare che sia venuto da Sergio Cofferati
nell’intervista di ieri al Fatto.
Cosa l’ha convinta di quella intervista?
Tre
elementi. Primo: dobbiamo guardare fuori dall’Italia ma né Podemos né
Syriza sono modelli che possiamo importare. Secondo, il problema
principale è individuare i temi e i princìpi dai quali partire per un
lavoro comune. Il terzo passaggio messo in evidenza da Cofferati è che
solo fatti questi primi due passi si può individuare il tema della
rappresentanza e poi anche quello del leader.
Fuori dai partiti, dunque?
Non
ho in mente un movimentismo al quadrato. Ma la coalizione sociale
significa in primo luogo riconoscere quel lavoro consolidato e forte di
molti soggetti che esiste già da diverso tempo e che è stato già
vincente.
Esempi?
Quando si fa riferimento a Luigi Ciotti si fa
riferimento a un’esperienza, Libera, che anche con campagne come Miseria
Ladra ha determinato un grande lavoro comune. Quando si fa riferimento
al lavoro di Gino Strada, si fa riferimento a laboratori che già operano
anche in Italia. Terzo caso possibile, i comitati per l’acqua e i beni
comuni sono i più vincenti di tutti con il risultato del referendum.
E la Fiom?
In
questo progetto la Fiom è un aggregatore che ha fatto una delle lotte
più importanti per veder riconosciuti dei diritti. La sentenza della
Corte costituzionale che l’ha riammessa nelle fabbriche del gruppo Fiat
ha anticipato di sei mesi la sentenza che ha dichiarato illegittimo il
“porcellum”. Entrambe quelle sentenze dicevano che non si può negare la
rappresentanza ai lavoratori o ai cittadini.
Ma a Landini si rimprovera di voler fare un partito, anche se ha sempre chiarito.
Si
tratta di un altro equivoco. Quando Landini dice che fa politica ma che
non fa un partito, dice qualcosa che la cultura debole di questo
periodo ha perduto: la politica non si chiude tutta dentro i partiti.
Oggi c’è una società in cui i partiti sono diventati oligarchia e hanno
espropriato i cittadini.
Conferma quel giudizio di “zavorra” che diede dei partiti alla sinistra del Pd?
Qui
ci sono due equivoci che vanno evitati. Il primo è ragionare in termini
di ‘spazio a sinistra del Pd’. Il Pd prova a ribadire, spasmodicamente,
che sta realizzando cose di sinistra ma si tratta di una excusatio non
petita. Sulla base di provvedimenti come il Jobs Act o la responsabilità
civile dei giudici ne viene fuori una grande restaurazione di centro.
Più che uno spazio ‘a sinistra’, oggi ci sono una serie di principi e
diritti che non trovano copertura politica.
E l’altro equivoco?
Riguarda
il mondo della politica organizzata: qui siamo di fronte o a un
problema di sopravvivenza (Prc e Sel) o a un problema di appartenenza
(minoranza Pd). Noi invece abbiamo bisogno di un nuovo inizio. Non
possiamo portarci dietro tutto quello che c’è stato nell'ambito della
sinistra.
Lei è critico anche con la lista Tsipras?
È stata una
buona occasione che non doveva essere perduta. Ma oggi abbiamo bisogno
di una chiara discontinuità. Quello che lega le formazioni politiche
esistenti non mi sembra adeguato alla situazione nuova.
Quali saranno i primi passi di questa coalizione?
È
necessario che i diversi soggetti proponenti concordino un cammino che
richiederà forme di contatto permanente, con la Costituzione come
bussola ma calata nella lotta politica attuale.
E come porsi di fronte alle elezioni?
In
questi anni diverse esperienze, penso a quella di Alba, sono state
travolte dalle elezioni. Solo quando sarà maturato qualcosa di
importante si può accettare di non tirarsi indietro.
Quali sono le cose concrete da fare?
Un
lavoro comune potrebbe essere quello della legge di iniziativa popolare
di modifica dell’articolo 81 che prevede il pareggio di bilancio.
E che tempi immagina?
Ragionevolmente brevi.
Corriere 26.2.15
Tra sindacato e politica
L’ex saldatore che rinunciò agli
Nove cose da sapere su Landini
Le vittorie e le sconfitte del leader Fiom con un futuro (forse) in politica da anti-Renzi
di Davide Casati
qui
il manifesto 26.2.15
Al via la «fabbrica» di Landini
Pomigliano. Assemblea alla Fiat con il leader Fiom e Libera. Prima tappa della coalizione sociale
Il
segretario delle tute blu: «Oltre i cancelli per una nuova politica dei
diritti e del lavoro. Contro il modello Marchionne-Renzi»
di Adriana Pollice
qui
Il Tempo 25.2.15
Civati e gli altri: me ne vado... anzi no
qui
il Fatto 23.2.15
La lettera
Landini: “Coalizione sociale”
Caro
direttore, la prima pagina del Fatto Quotidiano di domenica 22 febbraio
2015 mi attribuisce un’affermazione non pronunciata e perlomeno
forzata: “adesso faccio politica” con tanto di virgolette che la rendono
fuorviante.
Perché rimanda più esplicitamente all’impegno di tipo
partitico o elettorale, che come si può correttamente leggere
nell’intervista pubblicata all’interno suo giornale, non è proprio
presente.
Anzi è un modo per banalizzare il cambio d’epoca che
secondo il mio punto di vista richiede la ridefinizione di nuove
strategie sindacali e politiche.
Del resto nell’intervista si spiega
che la “sfida a Renzi” per il sindacato, oltre alla “normale azione
contrattuale”, consiste nella creazione di una coalizione sociale che
superi i confini della tradizionale rappresentanza sindacale, capace di
unificare e rappresentare tutte le persone che per vivere hanno bisogno
di lavorare.
Ed è questo che ho sempre inteso e continuo ad intendere per impegno politico.
Ed
è un punto di vista che nel suo vero significato spero diventi oggetto
di un’ampia discussione e non ridotto ad un titolo ad effetto. Grazie
per l’attenzione, cordialmente con stima.
Maurizio Landini
Caro
Landini, come lei sa bene i titoli dei giornali sintetizzano in poche
parole il contenuto degli articoli. In questo caso, della sua intervista
al Fatto. In cui lei dice, fra l’altro, che non ha in mente l'ennesimo
partitino, ma un’iniziativa politica che parta anche dal sindacato da
lei guidato: “È venuto il momento di sfidare democraticamente Renzi...
Il problema è che la maggior parte del Paese, quella che per vivere deve
lavorare, non è rappresentata. C’è un fatto nuovo nel rapporto fra
politica e organizzazione sindacale... Il sindacato si deve porre il
problema di una coalizione sociale più larga e aprirsi a una
rappresentanza anche politica... Per quanto riguarda la Fiom, dobbiamo
rivolgerci a tutto ciò che è rappresentanza sociale, non solo i
lavoratori...”. Questi concetti, dovendo riassumerli in poche parole, mi
parevano sufficienti per titolare riassuntivamente che lei intende fare
politica. Naturalmente nel senso più nobile del termine, non in quello
deteriore di fondare partitucoli o listarelle, come ha subito finto di
intendere ieri Renzi. Il Fatto seguirà gli sviluppi della sua proposta
ed è a disposizione per ospitare altri interventi. Grazie per la
precisazione e molti auguri.
Marco Travaglio
La Stampa 23.2.15
La sinistra apre le porte ma il leader Fiom frena
Cgil scettica: “Vuol far politica? Il sindacato è un’altra cosa”
di Antonio Pitoni
Alla
fine la precisazione era quasi obbligata. Arrivata in serata dopo le
punzecchiature del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. E la presa di
distanze della Cgil digitata via Twitter dal portavoce di Susanna
Camusso: «Se Maurizio vuole scendere in politica tutti i nostri auguri
ma il sindacato, @fiomnet è altra cosa». Dove Maurizio, ovviamente, sta
per il leader della Fiom Landini.
Indietro tutta
Nessun intento di
fare politica, assicura lui, chiarendo il senso di quella frase
pronunciata in un’intervista al Fatto Quotidiano di ieri: «È venuto il
momento di sfidare democraticamente Renzi». Che pure si prestava ad
alimentare l’idea di una sua possibile discesa in campo. «La sfida a
Renzi per il sindacato - argomenta invece il segretario della Fiom -
oltre alla normale azione contrattuale, consiste nella creazione di una
coalizione sociale che superi i confini della tradizionale
rappresentanza sindacale, capace di unificare e rappresentare tutte le
persone che per vivere hanno bisogno di lavorare».
Convergenza a sinistra
Precisazioni
a parte, se l’obiettivo di Landini è quello di «un’ampia discussione»
per «la ridefinizione di nuove strategie sindacali e politiche», la sua
proposta non lascia indifferente la sinistra. «Siamo impegnati a
costruire un’alternativa al Pd di Renzi dopo la riduzione dello spazio
al mondo del lavoro per effetto del Jobs Act e le continue forzature
sulle regole del gioco, come accaduto sulle riforme costituzionali -
spiega il capogruppo di Sel alla Camera Arturo Scotto -. Landini lancia
un allarme ponendo una questione: come costruire una sinistra aperta e
democratica che rimetta al centro il tema del lavoro? ». Un’area «più
ampia di Sel» che guarda «ad associazioni, sindacati» ma anche a quel
pezzo di sinistra «imprigionata dentro un Pd che scivola sempre più
verso il centro». Il punto è, conclude Scotto, dare «un riferimento
politico alle piazze che abbiamo visto ribellarsi contro il Jobs Act».
Riflessioni nel Pd
Cambiare
la riforma del lavoro è un punto di partenza condiviso anche da Stefano
Fassina del Pd: «Una legge di iniziativa popolare sostenuta da qualche
milione di firme sarebbe un’ottima spinta al Parlamento per correggere
un provvedimento regressivo - argomenta ad Affaritaliani.it -.
Certamente io sosterrò questa iniziativa». Di sicuro, come sottolinea il
bersaniano Alfredo D’Attorre, «il tema non è la nascita di un nuovo
partito né la scissione del Pd». Ma piuttosto quello di «progettare una
battaglia comune, che impegni aree politiche e forze sociali, per
contrastare la linea di politica economica di Renzi sempre più
subalterna all’ortodossia di Bruxelles». Possibile farlo restando nello
stesso partito del premier? «Il Pd non è proprietà di Renzi», taglia
corto D’Attorre. «Landini parla di sinistra sociale da contrapporre a
quella politica, per me invece l’obiettivo è una sinistra di governo»,
commenta Pippo Civati. Insomma, «un progetto che interroghi il Pd».
Corriere 23.2.15
Renzi: Landini è uno sconfitto. Io duro fino al 2018 e poi vinco
Il premier: ha perso contro Marchionne, se fa politica solo Sel può seguirlo
di Maria Teresa Meli
ROMA
Matteo Renzi ha superato il suo primo anno di governo. Ma è convinto di
avere ancora tanto tempo davanti a sé: «La maggioranza è blindata sino
alla fine della legislatura». E «nel 2018 vinciamo noi». Non lo dice con
tracotanza. Ma ne è convinto. Anche se sa che ormai il partito di
Berlusconi, allo sbando com’è, è una causa persa, su cui è difficile
fare affidamento come ai tempi del patto del Nazareno: «Forza Italia sta
esplodendo e noi andiamo avanti da soli. Se dovesse per caso rompersi
qualcosa nella maggioranza, cosa a cui non credo, sarà fisiologico che
qualcuno di loro ci sostenga».
Insomma, per farla breve, in questo
primo compleanno del suo governo il premier è contento: «Abbiamo svolto
un lavoro durissimo, ma sul Jobs act abbiamo fatto più di quanto
sperassi di fare. E quello che abbiamo realizzato sui notai, sulle
assicurazioni, sui telefonini, le banche e le poste rappresenta una
rivoluzione culturale straordinaria. Non solo, il bello è che l’Italia
sta ripartendo davvero».
Parla così, Matteo Renzi, preso
dall’entusiasmo. Ma su Raitre, Lucia Annunziata, nella sua trasmissione
In mezz’ora , gli ricorda che qualcosa di nuovo si sta muovendo nel
mondo della sinistra. E non è detto che sia foriero di buone notizie per
il premier. Già, Maurizio Landini, in un’intervista al Fatto quotidiano
, ha lasciato intendere che potrebbe scendere in politica, per guidare
quella sinistra che è da qualche anno alla ricerca di un leader.
È
vero che ore e ore dopo il leader della Fiom, dopo una reprimenda della
Cgil, ridimensiona la portata delle sue parole, ma la sua è una smentita
a metà in cui ribadisce che occorre andare oltre la «rappresentanza
sindacale». Il premier comunque risponde imperturbabile ad Annunziata:
«Non credo che Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha
abbandonato Landini. Il progetto di Marchionne sta partendo, la Fiat sta
tornando a produrre auto e ad assumere, è ovvio che la sconfitta
sindacale lo porti ad abbracciare la politica, non dimentichiamoci che a
Pomigliano ha portato a scioperare cinque persone su 1400».
Ma Renzi
non ha paura che una parte del Pd possa essere ora tentata dalla
scissione? A sera, dopo la trasmissione, Renzi non sembra aver cambiato
idea: «Non mi preoccupa Landini. Ha acquisito visibilità schierandosi
contro Marchionne. Oggi che Marchionne sta vincendo, lui deve scappare
dal sindacato. Normale. Io provo massimo rispetto, per Landini, ma non è
il primo sindacalista a buttarsi in politica e non sarà l’ultimo. Gli
faccio i miei più sinceri auguri». Di un’eventuale scissione, Renzi non
sembra avere paura: «Se veramente il leader della Fiom si buttasse in
politica nessuno del Pd lo seguirebbe, solo Sel andrebbe con lui». E
anche Pippo Civati, aggiunge qualche renziano duro e puro e ormai
convinto che il deputato del Pd dissidente per vocazione e professione
sia prossimo all’addio al partito.
Insomma, non sembrano queste le
preoccupazioni di Renzi. E nemmeno le polemiche della sua minoranza sul
Jobs act paiono innervosirlo più di tanto: «Ormai il Jobs act è andato».
Come a dire: ormai è fatta, quindi pazienza per le lamentele e gli
attacchi, strascichi inevitabili, se «si vogliono fare le riforme e
cambiare questo Paese», perché ci sarà sempre «chi preferisce che tutto
rimanga com’è adesso». Morale della favola: se la minoranza interna
pensava di condizionare le mosse del presidente del Consiglio ora che il
patto del Nazareno sembra essere andato in frantumi, ha sbagliato i
suoi piani. «Io non sarò ostaggio di nessuno. So che ci saranno quelli
che ci proveranno, ma hanno sbagliato indirizzo», sorride il premier.
E
il varo dei decreti del Jobs act pare essere la conferma di queste sue
parole. «Del resto, come si fa a essere contrari a una legge che per la
prima volta si preoccupa veramente dei non garantiti, cioè dei
precari?», si chiede retoricamente il premier. Che preferisce non
entrare in polemica diretta con la presidente della Camera Laura
Boldrini che lo ha criticato e che ha stigmatizzato la figura «dell’uomo
solo al comando». Rispetto alle sue parole, intervistato da Annunziata,
l’inquilino di Palazzo Chigi si limita a dire: «Questo è un problema
suo». Ma è a lei che indirettamente si rivolge quando spiega, sempre in
quella trasmissione, che «il mio obiettivo non è costruire una
leadership carismatica». Con i collaboratori e gli amici più fidati
Renzi però si è lasciato andare un po’ di più perché è rimasto stupito
per l’attacco di Boldrini nei suoi confronti: «Lei è la presidente della
Camera e dovrebbe fare l’arbitro, mentre mandiamo avanti il programma
per cui abbiamo preso la fiducia».
Altro argomento, altro capo di
imputazione. Anche stavolta Renzi è netto. Il tema, postogli da
Annunziata, è quello delle Popolari e delle inchieste della Consob e
della magistratura sui movimenti che ci sono stati dopo il provvedimento
del suo governo. «Mi auguro che venga fatta chiarezza al più presto
perché sono state fatte polemiche ridicole e dette castronerie
galattiche. Un galantuomo come Ciampi insieme a Draghi tentò di fare
queste norme. Noi abbiamo ripreso quel principio».
Repubblica 23.2.15
Jobs Act, duello tra Renzi e Landini
Il premier teme trappole sull’Italicum
l premier liquida la Boldrini: problema suo
Il fronte del no: ignorare il Parlamento comporta conseguenze
di Silvio Buzzanca
ROMA
Maurizo Landini scende in politica perché «ha perso la battaglia
sindacale». Matteo Renzi stronca così le presunte velleità politiche del
segretario della Fiom.
Presunte perché Landini ha smentito ieri sera
il titolo del Fatto Quotidiano ad una sua intervista che lo vedeva già
praticamente in campo contro il premier.
«Titolo fuorviante — spiega
Landini — perché rimanda più esplicitamente all’impegno di tipo
partitico o elettorale, che nell’intervista non è proprio presente».
Landini spiega che «la “sfida a Renzi” per il sindacato, oltre alla
'normale azione contrattuale', consiste nella creazione di una
coalizione sociale che superi i confini della tradizionale
rappresentanza sindacale» che rappresenti chi vive lavoro. «Ed è questo -
dice Landini - che ho sempre inteso e continuo a intendere per impegno
politico». Questa precisazione arriva dopo che il premier aveva detto
senza mezzi termini: «Questa uscita di Landini è molto importante. Dopo
la sconfitta della battaglia contro Marchionne è scontata la sua discesa
in politica. Non è lui che lascia il sindacato, è il sindacato che
lascia lui».
Renzi ieri ha replicato, in modo soft, anche a Laura
Boldrini che sabato aveva lamentato come il governo sul Jobs act non
avesse preso in considerazioni le osservazioni, non vincolanti, del
Parlamento. «La Boldrini è l’arbitro dei giochi parlamentari e io la
lascio fuori da questa discussione. È un problema suo e non nostro, noi
stiamo portando avanti il programma di governo», ha detto il premier.
L’affondo è arrivato invece da Debora Serracchiani che, intervistata da
Maria Latella per SkyTg24, ha detto: «Mi sembra un eccesso rispetto alla
sua posizione di garanzia». La Boldrini però è difesa da Sel e dalla
minoranza dem. Il bersaniano Alfredo D’Attorre già prefigura bocciature
della Consulta sul Jobs act, mentre Vannino Chiti ammonisce: «Il governo
può non tenern conto del parere del Parlamento: la sua è una scelta
politica. Può compierla: non è però indolore o priva di conseguenze».
il Fatto 23.2.15
Di nuovo contro il sindacato
Renzi: “La Fiom ha perso, perciò entra in politica”
di Luca De Carolis
Prima
candelina del governo rottamatore, Matteo Renzi è ovunque. Corre tra
palchi, contestazioni e programmi tv. E morde alla gola il possibile
avversario Landini, che sulle pagine del Fatto ha annunciato di volerlo
sfidare: “Vuole scendere in politica perché ha perso sul piano
sindacale, ha bisogno di cambiare pagina”. Poi lascia a piedi Prodi:
“Come mediatore in Libia l’Onu non vuole un italiano”. E promette di
partire per marzo con la riforma della Rai: addirittura per decreto, se
il Parlamento non dovesse sbrigarsi. Parla e annuncia su tutto, il
premier che a inizio marzo andrà in Russia da Putin perché “voglio
portarlo al tavolo sulla Libia”. Euforico: “Questo Paese lo cambiamo,
gufi o non gufi, piccioni o non piccioni”. Perché è un giorno
renzianissimo. Per celebrarlo il Pd ha organizzato a Roma la
manifestazione “Un anno di governo: la scuola cambia, cambia l’Italia”,
manifestazione anche per lanciare il decreto-legge e il disegno di legge
delega di riforma (dovrebbero presentarli venerdì, in ballo
l’assunzione da settembre di almeno 100mila precari). C’è ressa, in
parecchi rimangono fuori. Renzi si siede in platea per ascoltare
insegnanti e studenti. Poi sale sul palco per la chiusura ed è
contestazione, da parte di docenti precari: “Lasciateci parlare, basta
demagogia”. Alle telecamere de ilfattoquotidiano.it uno del gruppo
assicura: “Sono iscritto al Pd, vogliamo dare consigli”. Ma dal
microfono il premier è duro: “A chi viene qui a fare pagliacciate per
andare in tv lo spazio glielo diamo tranquillamente, ma noi stiamo
facendo un’altra cosa”.
SULLA RIFORMA della scuola abbonda di
promesse, poi accenna a “un meccanismo sul modello del 5 x mille, per
cui nella dichiarazione dei redditi barro per il singolo istituto. Dovrà
essere pensato per scuola e cultura, spero funzioni dal 2016”. Ma ha
voglia di parlare di Rai: “La cambieremo, non può essere disciplinata da
una legge che si chiama Gasparri. A marzo si parte con la riforma”.
Auto-celebrazioni (“Noi decidiamo, basta con la palude”), poi scappa
via. Ricompare a In mezz’ora, su Rai3. E da lì risponde a Landini. Al
sindacalista che vuole “sfidarlo democraticamente” è già arrivato il
gelo via Twitter di Massimo Gibelli, il portavoce della segretaria Cgil
Susanna Camusso: “Se Maurizio Landini vuole scendere in politica tutti i
nostri auguri, ma il sindacato, la Fiom, è un’altra cosa”. Ma Renzi è
quasi feroce: “Non credo che Landini abbandoni il sindacato, è il
sindacato che ha abbandonato Landini. Il progetto Marchionne sta
partendo, la Fiat sta tornando a fare le macchine. La sconfitta
sindacale gli pone l’obbligo di voltare pagina, il suo impegno in
politica è scontato”. Affonda la lama, il premier: “Landini non è il
primo sindacalista che fa politica. Sul jobs act ognuno può avere
l’opinione che vuole, ma è difficile pensare che tutte le manifestazioni
non fossero propedeutiche alla entrata in politica”. Sabato aveva
protestato anche la Boldrini (“Sul jobs act bisognava tener conto dei
pareri negativi di Camera e Senato, non mi piace l’uomo solo al
comando”). Renzi le replica sbrigativo: “Un problema suo, non nostro.
Noi mandiamo avanti il programma di governo su cui abbiamo chiesto la
fiducia“ e come dobbiamo fare”. Poi torna sulla Rai, con avviso ai
naviganti: “Se ci sarà un decreto legge per la riforma dipende dal
Parlamento e dai suoi tempi, un dl è possibile”. Ha fretta di cambiare,
il segretario Pd: “L’obiettivo è non eleggere il prossimo Cda con la
Gasparri”. Corre pure con le parole e infila toscanismi, il premier che
giura: “Il mio obiettivo non è costruire una leadership democratica”.
Sulla politica estera svicola un po’. Poi però si parla del mediatore
per la crisi in Libia: “Nel settembre scorso, quando ho chiamato Ban Ki
Moon (il segretario Onu, ndr) su questo punto, mi ha spiegato che per il
passato coloniale era meglio un non italiano. Già allora si parlava di
Prodi o di D’Alema: erano ipotesi dei giornali”. Ipotesi che resteranno
tali, per il Renzi che sogna in grande sulla politica estera: “Voglio
portare Putin al tavolo sulla Libia, ma lui prima deve lasciare
l’Ucraina”. L’Annunziata va di contropiede: “Lo ha detto agli americani?
”. E lui assicura: “Ci sentiamo spesso”. Capitolo Isis: “Non siamo
sotto attacco, l’espressione ‘siamo a sud di Roma’ è un’indicazione
geografica, non una minaccia. Loro non sono così forti come vogliono far
credere, e comunque i terroristi non arrivano con i barconi”. C’è tempo
anche per il caso banche Popolari: “Un conflitto d’interessi del
governo sul decreto di riforma? Castroneria galattica, sono pronto a
tutte le verifiche”. Renzi si congeda, da Renzi: “Cambieremo l’Italia”.
Prosit.
La Stampa 23.2.15
Cosa succede a sinistra?
La scommessa di Landini sulle orme di Tsipras
Il
leader della Fiom è un moltiplicatore di share e da qui al 2018
potrebbe aggregare attorno a sé i vendoliani, i delusi del Pd e i
militanti dell’ala più dura della Cgil
di Carlo Bertini
Corriere 23.2.15
Il passo avanti del leader Fiom agita la minoranza dem
D’Attorre: possibili lotte comuni, ma il tema non è la nascita di un nuovo partito
Vita: se non ora quando?
di Al. T.
ROMA
Da una parte la presidente della Camera, Laura Boldrini. Dall’altro il
leader della Fiom, Maurizio Landini e la minoranza del Pd, sempre più
inquieta. Dopo il contestato varo del decreto sul Jobs act, Matteo Renzi
riceve un attacco concentrico, con accuse di leaderismo eccessivo e di
scarso rispetto per il Parlamento. E la minoranza si trova a un bivio,
tra l’ammissione della resa e la ricerca di nuove strade per incidere di
più.
La replica alle parole della presidente della Camera — che
aveva parlato di «uomo solo al comando» — è affidata alla vice
segretaria Debora Serracchiani. A L’intervista , su SkyTg24, le
definisce «eccessive rispetto alla sua posizione di garanzia». A difesa
della Boldrini si schiera Sel: «La presidente difende il Parlamento, le
tifoserie le lasciamo ai ventriloqui di corte».
Landini, invece,
aveva lanciato la sua sfida dalle colonne del Fatto Quotidiano . Ieri ha
corretto il tiro: «Non ci sarà un mio impegno di tipo partitico o
elettorale». Resta il senso della «sfida democratica» contro Renzi:
«Serve una coalizione sociale più larga, dobbiamo aprirci a una
rappresentanza anche politica». A dimostrazione di quanto sia
frammentata l’opposizione, le reazioni non sono compatte. Da Pippo
Civati arriva il no più secco: «Premetto che mi piacerebbe chiarire il
tema con lui, per evitare fraintendimenti, ma Landini parla di sinistra
sociale da contrapporre a quella politica. Non capisco e non sono
d’accordo. Per me l’obiettivo è una sinistra di governo, che unisca, non
una sinistra divisa». Anche Alfredo D’Attorre respinge la suggestione
di un’uscita dal Pd, ma apre al dialogo: «Il tema non è la nascita di un
nuovo partito, né la scissione dal Pd. Piuttosto, possono essere
interessanti battaglie comuni tra forze politiche, forze sociali e pezzi
della società. Quanto alle parole di Renzi, non mi pare utile
delegittimare un interlocutore». Vincenzo Vita, vicino a Civati e molto
critico con il Pd, la vede diversamente: «Mi chiedo, se non ora, con lo
slittamento a destra di Renzi sul lavoro, quando? Mi auguro che Landini
ci pensi davvero e che nasca qualcosa di nuovo insieme alla minoranza
del Partito democratico».
Repubblica 24.2.15
Maurizio Landini
“Io in politica? Deciderà la Cgil nel 2018 Di certo serve una coalizione sociale”
“Renzi ha scelto Confindustria, è peggio di Berlusconi c’è una compressione di diritti che non ha precedenti”
“Il sindacato ha sempre fatto politica. Ha sempre espresso una sua visione, non è mai stato un sindacato di mestiere”
intervista di Roberto Mania
ROMA «Renzi peggio di Berlusconi», dice Maurizio Landini, segretario
generale della Fiom. Il leader sindacale che propone la formazione di
“una coalizione sociale” per dare rappresentanza politica al lavoro.
«Perché oggi il governo di Renzi ha scelto di stare dalla parte della
Confindustria ».
Landini, perché Renzi sarebbe peggio di Berlusconi?
«Perché di fronte al dissenso di tre milioni di persone che scesero in
piazza per difendere l’articolo 18, Berlusconi si fermò capendo che non
aveva il consenso. Renzi non si è fermato».
Ma non ci sono stati nemmeno i tre milioni in piazza.
«Renzi, come Berlusconi, non ha il consenso di chi lavora. Renzi sta
attuando il programma dettato della Confindustria e dalla Bce nella
famosa lettera dell’agosto 2011».
Dice questo perché secondo il presidente del Consiglio lei dopo aver perso nel sindacato cerca il riscatto in politica?
«No. Queste cose le dico da mesi ormai. Aggiungo però che è una bugia le
tesi di Renzi secondo cui la Fiom avrebbe perso iscritti: la Fiom ha
350 mila iscritti contro i 100 mila del Partito democratico».
Ammetterà che gli ultimi scioperi a Pomigliano e Melfi sono stati due clamorosi flop?
«Non ho problemi ad ammetterlo. Ma vorrei ricordare che per ottenere il
riconoscimento dei nostri delegati alla Fiat abbiamo dovuto far ricorso
alla Corte costituzionale. Questa è una questione di democrazia».
Lei ha detto che “è a rischio la tenuta democratica del Paese”, non le sembra un po’ esagerato?
«Proprio per niente. C’è una compressione dei diritti di chi lavora che
non ha precedenti nella nostra storia. È in atto una scissione tra il
lavoro e i diritti di chi lavora. E chi lavora è povero. Dall’altra
parte aumenta la corruzione, l’evasione, il controllo di settori
dell’attività economica da parte della criminalità organizzata».
La colpa di tutto questo sarebbe di Renzi?
«Il governo di Renzi sta facendo politiche che favoriscono questi
processi. Renzi dice che si ha diritto a licenziare sempre e che si può
evadere».
Veramente era Berlusconi a dirlo.
«Perché, secondo lei, depenalizzare la frode fiscale non è la stessa
cosa? Non era mai successo che il governo ignorasse un parere del
Parlamento, come è successo sui licenziamenti collettivi. C’è un’idea di
accentramento del potere in mano all’esecutivo mentre la nostra
Costituzione disegna una democrazia partecipata nella quale è
riconosciuto il ruolo dei soggetti sociali».
Insomma, si sta preparando a fondare un nuovo partito?
«No. Io voglio continuare a fare il sindacalista. Io dico che per la
prima volta nella nostra storia democratica non c’è una rappresentanza
politica del lavoro. È in atto un attacco al ruolo, anche politico, che
il sindacato generale ha sempre svolto in Italia. Non posso non pormi il
problema di contrastare questo processo».
Ma che cos’è una “coalizione sociale” se non il primo passo per dare vita a un partito?
«Non è così. Una coalizione sociale vuol dire mettere insieme chi agisce nel sociale con al centro la questione del lavoro».
Con chi pensa di farla questa coalizione:
con Libera di Don Ciotti, Emergency di Gino Strada?
«Anche con i soggetti che dice lei. Ma con tutti coloro che possono contribuire a dare rappresentanza al lavoro».
Nei fatti è un programma politico.
«Il sindacato italiano ha sempre fatto politica. Ha sempre espresso una sua visione, non è mai stato un sindacato di mestiere».
Lei nel 2018 finirà il mandato alla Fiom.
Sarà l’anno delle elezioni. Esclude una sua candidatura?
«Alla fine del mio mandato sarò a disposizione della Cgil. Cosa farò lo
decideranno i gruppi dirigenti e soprattutto gli iscritti».
Alla Camusso non è piaciuta la sua uscita.
Un tweet del suo portavoce le ha ricordato che il sindacato è una cosa
diversa dalla politica. Oggi ha incontrato la Camusso (ieri per chi
legge, ndr) cosa le ha detto?
«Che quel tweet era del suo addetto stampa».
Nessuna critica alla sua voglia di politica?
«Io ho ripetuto cose che dico in Cgil da mesi. Abbiamo parlato della
prossima assemblea dei delegati della Fiom di venerdì e sabato nella
quale decideremo come proseguire la mobilitazione».
il manifesto 24.2.15
Landini replica a Renzi: “Stai sereno, non scendo in politica, la Fiom ha più iscritti del Pd”
Lo scontro con Renzi. Landini replica al premier e nega di voler entrare in politica
«È a rischio la democrazia del Paese e il sindacato sta reagendo»
Quello
che ha in mente il leader delle tute blu è una «coalizione sociale» che
sostenga un nuovo Statuto dei lavoratori e magari voti a un (eventuale)
referendum
di Antonio Sciotto
Corriere 24.2.14
Jobs Act, Landini alza il tiro: «Premier non eletto mette a rischio democrazia»
Così il leader della Fiom a 'Otto e mezzo': «Sta cancellando lo statuto dei lavoratori»
In giornata vertice con la Camusso ma nessuna dichiarazione su un’apertura alla politica
Corriere 24.2.15
La Pomigliano della sinistra
di Antonio Polito
È possibile una sfida da sinistra a Matteo Renzi? Sono venuti allo
scoperto due potenziali competitori: Landini, pronto a cavalcare la
«questione sociale», e Laura Boldrini, che ha invocato la «questione
democratica».
Non c’è dubbio che il segretario della Fiom abbia il fisico del ruolo:
voce tonante e petto in fuori, sembra perfetto per il nuovo genere
televisivo dell’ indign-tainment , un po’ indignazione e un po’
intrattenimento. Ma l’idea di trasformare le tensioni sociali in una
coalizione politica, una sorta di Syriza o Podemos italiani, non può
funzionare ora che la curva dell’economia cambia verso. Di solito la
sinistra appare più forte nelle crisi perché punta su slogan di maggiore
equità sociale, come in Grecia. Ma quando si riprende a crescere
l’opinione pubblica chiede briglie sciolte. Landini avrebbe dovuto
capirlo a Pomigliano: hanno scioperato in cinque quando ha tentato di
bloccare il primo sabato di straordinario sulla linea della Panda, con
la motivazione che il lavoro andava condiviso col resto della fabbrica.
Nessuno rinuncia al lavoro oggi, neanche in cambio di solidarietà, e
forse nemmeno di diritti. La politica è cosa diversa dall’agitazione
sindacale, e non basta agitare più forte.
Più appuntita è la polemica di Boldrini. L’ansia del Paese di mettersi
la recessione alle spalle rende oggi popolare uno stile di governo
sbrigativo. Ma proprio perché l’opinione pubblica è più tollerante, il
rischio di arrecare danni alla democrazia parlamentare è più elevato,
anche al di là delle intenzioni. Il governo ha appena esercitato una
delega legislativa oltre il parere del Parlamento, e c’è chi dice che
voglia legiferare per decreto perfino su una materia come la governance
della Rai. È difficile rimproverare a Laura Boldrini la sua frase
sull’«uomo solo al comando» quando sono i renziani stessi a ricorrere
abitualmente alla minaccia di «andare avanti da soli». Come è poi
accaduto sulla riforma costituzionale, approvata dal Pd a Montecitorio
in perfetta solitudine.
Ma se la questione democratica esiste, è flebile la voce di chi vorrebbe
trasformarla nell’arma di una sfida politica al premier. Non solo
quella di Boldrini, tra l’altro impacciata dalla sua carica
istituzionale (si prepara un nuovo caso Fini?). Ma anche quella della
sinistra pd: di questi tempi perfino i suoi elettori sembrano disposti a
scambiare un po’ di benessere in più con un po’ di democrazia
parlamentare in meno.
Corriere 24.2.15
Landini: «Fondare un partito? Per niente, ma è a rischio la tenuta democratica»
Il leader della Fiom attacca il governo Renzi a Otto e Mezzo: "A rischio la tenuta democratica del Paese"
La Stampa 24.2.15
Camusso incontra Landini e lo frena
“La Cgil non è un partito”
Poi i due leader smussano la portata del vertice: “Era già programmato”. La sfida politica della Fiom resta in piedi
di Roberto Giovannini
Se lo aspettava certamente, il segretario della Fiom Maurizio Landini:
la sua intervista al «Fatto» in cui annuncia una «sfida democratica» a
Matteo Renzi ha sollevato un bel caos, un sacco di punti interrogativi, e
tantissime reazioni. Compresa quella del segretario generale della Cgil
Susanna Camusso, che lo ha incontrato per chiedergli che cosa ha in
mente. Come si usa in questi casi, sia Camusso che Landini hanno detto
che l’incontro di ieri era già programmato da un po’, e che non si è
trattato di una «convocazione d’urgenza». Camusso ne ha approfittato per
chiedere a Landini le sue idee e le sue intenzioni. E a sua volta, gli
ha detto quali sono le «linee rosse» che il leader Fiom non può
superare.
A Camusso - e poi in serata a Lilli Gruber su «La7» - Landini ha
chiarito che non ha nessuna intenzione di fare un partito né di
candidarsi a leader politico. Ancora, il numero uno della Fiom ha
giurato che non ha nessuna intenzione di utilizzare il sindacato dei
metalmeccanici a fini politici. Ma ha detto che con il governo Renzi e
il «Jobs Act» la situazione è cambiata: come alla fine dell’800, il
movimento del lavoro oggi non ha alcuna rappresentanza politica, ed è
condannato a una protesta sterile visto che il governo ascolta solo
Confindustria. Serve dunque, oltre all’azione sindacale, una «coalizione
sociale più ampia possibile» in grado di premere sulla politica.
Spiegazioni che non rassicurano Camusso. Che ha spiegato che «andare
oltre i confini della rappresentanza sindacale» può significare solo
fare un partito o qualcosa del genere. La Cgil (ma anche la Fiom,
secondo Camusso) di questo «para-partito» non può né essere né
componente né mero «aggregatore». Per la buona ragione che questo
produce un danno immediato e gravissimo all’azione sindacale.
Landini a «La7» dice che «a fare un partito non ci pensa», che vuole
fare il sindacalista, «che Renzi non è stato eletto e non è di
sinistra». Tuttavia è anche l’unico leader di sinistra che quando parla
si fa capire. Che è popolare, e che (a differenza dei tifosi del
Feyenoord) le ha prese dalla polizia insieme agli operai. Insomma, che
lo voglia o no, il leader Fiom è chiaramente un fattore importante nel
dibattito politico. E un giorno potrebbe accorgersi di dover fare un
«salto» obbligato in un modo in cui per ora non vuole entrare.
Ieri tante le reazioni alla sua intervista: in campo politico, molto
positiva è quella di Nichi Vendola, interlocutoria ma non di chiusura
quelle di Stefano Fassina e Pippo Civati. Roberto Speranza, della
minoranza Pd, accusa Renzi di non aver rispettato il Parlamento. Ma con
Landini difficilmente combineranno qualcosa.
Il Sole 24.2.15
Cgil e politica. Dopo le ipotesi di impegno politico
Il leader Fiom: «Fare un partito? Non ci penso proprio»
Speranza (Pd): sbagliato ignorare il Parlamento sul Jobs act
Camusso chiede chiarimenti a Landini, critiche anche da Cisl
di G. Pog.
Faccia a faccia tra Camusso e Landini all’indomani delle polemiche sul
suo presunto impegno politico. Ieri l’incontro nella sede di Corso
d’Italia con la leader della Cgil è stato un’occasione per un
chiarimento, con Susanna Camusso che ha ribadito la necessità di evitare
commistioni tra politica e sindacato. Tutto nasce dall’intervista
pubblicata domenica da “Il Fatto quotidiano” e titolata «Faccio
politica», in cui Landini aveva detto: «È ora di sfidare Renzi»,
sostenendo che «il sindacato si deve porre il problema di una coalizione
sociale più larga e aprirsi a una rappresentanza anche politica».
Landini ha poi smentito il titolo, ma sul contenuto dell’intervista
nella stessa giornata è intervenuto il premier Renzi: «Non credo che
Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato
Landini - ha detto il presidente del consiglio intervistato a “In
mezz’ora” -. Il progetto Marchionne sta partendo, la Fiat sta tornando a
fare le automobili. La sconfitta sindacale pone Landini nel bisogno di
cambiare pagina, il suo impegno in politica è scontato». Nelle stesse
ore il portavoce di Camusso, Massimo Gibelli, su twitter commentava: «Se
Maurizio vuole scendere in politica tutti i nostri auguri, ma il
sindacato è altra cosa».
Dal sindacato spiegano che l’incontro era in agenda da tempo, in
preparazione dell’assemblea dei metalmeccanici in programma venerdi e
sabato a Cervia. Ma in serata Landini ha rincarato la dose: «Che abbia
perso come sindacalista è una sciocchezza: la Fiom ha 350mila iscritti,
più del partito di Renzi». A fare il partito? «Non ci penso proprio.
Voglio continuare a fare il sindacalista - ha aggiunto - serve una vasta
coalizione sociale che si opponga a un premier, che pur non essendo
stato eletto, sta cancellando lo Statuto dei lavoratori. È a rischio la
tenuta democratica del Paese». Come è noto, arrivato a Palazzo Chigi,
Renzi elesse Landini come interlocutore privilegiato tra i leader
sindacali, sui temi del lavoro. Ma la luna di miele è finita da tempo;
l’ultimo faccia a faccia tra i due a Palazzo Chigi risale allo scorso 27
agosto. Poi su materie come il Jobs act e il rilancio della Fiat
targata Marchionne (fortemente sostenuto da Renzi) è maturata la
frattura.
Non è un mistero che a sinistra periodicamente si evochi il nome di
Landini come possibile protagonista di una nuova alleanza sociale
alternativa al Pd. Anche se lui poi puntualmente smentisce. L’intervista
di domenica ha aperto una breccia in quella parte della minoranza Pd, e
non solo, che contesta la politica del governo. Per il capogruppo alla
Camera Roberto Speranza, Renzi ha sbagliato a «non tener conto del
parere delle Camere». «Landini ha chiarito che vuole continuare a fare
sindacato - ha detto Stefano Fassina - ma pone un problema vero: il
lavoro non ha un’adeguata rappresentanza. Il problema di costruire un
legame fra diverse istanze sociali è questione aperta». Ma una parte
della minoranza Pd, l’area riformista, resta fredda. «Sono scelte
personali - commenta Cesare Damiano -. Landini pare avere un seguito in
politica, per il momento ha scelto di fare il sindacalista e spero abbia
lo stesso seguito nel sindacato». La possibilità che Landini da
sinistra possa erodere il consenso al Pd, non preoccupa il ministro
della Pa Marianna Madia: «Non siamo preoccupati - afferma - abbiamo un
programma con delle riforme importanti, andiamo avanti su questa strada
senza cambiare per le critiche degli altri». Duro il segretario generale
della Cisl, Annamaria Furlan: «È una scelta di Landini, a lui lasciamo
la politica e i salotti televisivi: la Cisl è sui luoghi di lavoro» ha
detto, entrando in Cassazione per depositare la proposta di una legge di
iniziativa popolare sul fisco più equo. «Noi siamo un sindacato al 100%
- ha aggiunto - non molliamo mai il tavolo delle trattative».
Il Sole 24.2.15
Dalla lista Tsipras a Landini, la sinistra alla ricerca disperata di un leader
di Lina Palmerini
Gli stessi che oggi spingono Maurizio Landini a lasciare il sindacato
per la politica sono quelli che a maggio scorso si presentarono alle
europee con la Lista Tsipras, per l’esattezza “L’altra Europa con
Tsipras”. Anche se il premier greco ha preso altre ore di tempo per
presentare la sua lista di misure a Bruxelles, quell’altra Europa non si
è affatto materializzata né si materializzerà. Dunque, chi ha
“importato” in casa nostra quelle promesse che non si realizzeranno –
come minimo – deve fare autocritica e darne conto a quel 4,1% di
elettori che aveva creduto alla delega in bianco della sinistra italiana
verso quella greca. Invece a Roma si continuano a produrre slogan su
come e quanto deve cambiare l’Europa mentre è sotto gli occhi di tutti
la fatica del negoziato di Atene e il suo costo politico interno. Mentre
Syriza si spacca proprio perché ci si misura con la realtà, a Roma
questo esercizio resta lontano. E mentre Atene fa i conti con il suo
popolo e con i rischi di un collasso finanziario, la sinistra italiana è
partita alla ricerca di un nuovo Tsipras.
Questa volta italiano, di Reggio Emilia, di professione sindacalista
della Fiom, che ha offerto l’illusione di poter fare il salto in
politica. Peccato che già ieri ci sia stato un piccolo test fallito:
l’ennesimo flop di uno sciopero Fiom indetto a Melfi contro lo
straordinario chiesto dall’azienda. Sembra che abbia aderito solo il
2,8% di operai. Un dato che non è proprio un incoraggiamento per Landini
a intraprendere avventure politiche soprattutto se precedute da storie
di sindacalisti passati alla politica senza grandi successi. O se si
ripercorre la storia recente della sinistra al governo che si ricorda
più per i fallimenti: dalla scelta di Fausto Bertinotti, ex sindacalista
Cgil, di far cadere il primo Governo Prodi, fino al 2008 quando la
sinistra fu bocciata dagli elettori dopo la prova nel secondo Esecutivo
Prodi e non riuscì neppure a entrare in Parlamento.
Insomma, quell’area che guarda a Landini non ha ancora fatto i conti con
il presente complicato di Tsipras né con il passato della sinistra di
governo. E anche se il leader Fiom, che ieri ha avuto un vivace scambio
di opinioni con Susanna Camusso, nega di voler fare il salto e fondare
un partito, la suggestione in alcuni resta. Proprio quelli che criticano
il leader carismatico e bacchettano Renzi «uomo solo al comando»
sembrano alla disperata ricerca di un volto che incarni una
rappresentanza e dia a loro una prospettiva politica. Se ne capisce il
motivo. Il Pd renziano comincia a essere davvero un alleato impossibile o
una casa scomoda. Troppo scomoda, soprattutto dopo il varo del Jobs act
e dei decreti attuativi che ha archiviato – senza colpo ferire – anni e
anni di battaglie a sinistra.
In molti, a cominciare da Stefano Fassina, hanno ricordato che la
riforma del lavoro discende dalla lettera della Bce del 2011.
Un’osservazione corretta così come è corretto pensare che Tsipras,
nonostante le promesse elettorali, non farà altro che continuare ad
applicare - nella sostanza - lo stesso programma della troika sia pure
sotto un nome diverso. Il punto è che la maggioranza dei cittadini ha
scelto di restare nell’euro e dunque non c’è altro da fare che negoziare
e trattare con l’Europa. Alle scorse europee, la maggioranza dei voti è
andata ai partiti filo-Ue – dal Pd a Forza Italia a Ncd – mentre alla
Lega è andato circa un 6% di consensi e al Movimento 5 Stelle il 21,16
per cento. Fino a quando gli italiani – e i greci – vorranno restare
nell’euro ai partiti toccherà la pratica della realpolitik. O quella di
rinnegare le promesse elettorali.
il manifesto 24.2.15
Muro contro Renzi. Ma fra i ’compagni’ scende il freddo
Vendola: Landini è una risorsa per tutti. Ma la minoranza Pd non ci sta
Gotor: «Un Landini radicale fa il gioco di un Renzi neo centrista»
di Daniela Preziosi
il manifesto 24.2.15
Democrack
Fassina: «Una nuova ’cosa’? Ora no»
L'ex viceministro: il leader Fiom ha ragione, la rappresentanza del lavoro non è all'altezza. Ma il Pd non è solo Renzi
di Daniela Preziosi
Diretta News 24.2.15
Civati e Bertinotti stanno con Landini
L’Huffington Post 24.2.15
Pippo Civati su Maurizio Landini: "Parlerò con il segretario della Fiom, misuriamoci su un progetto politico"
La Stampa 24.2.15
Per il leader Fiom fiducia molto alta
Il bacino di voti si ferma all’8%
I sondaggisti: difficile fare una Podemos italiana
di Francesca Schianchi
Un «combattente» che difende i lavoratori, descrive la percezione
dell’immagine di Maurizio Landini il direttore di Ipr marketing Antonio
Noto. Un leader «con un eloquio efficace, che ha competenze e richiama
la fatica del lavoro», dice la politologa Sofia Ventura. Che il
segretario della Fiom abbia un appeal lo dimostra il fatto che già mesi
fa vari sondaggisti lo hanno testato: oltre al fatto che, come ricorda
la Ventura, Crozza ha preso a imitarlo, infallibile cartina al tornasole
degli astri in ascesa della vita pubblica italiana.
Concordi nel riconoscere carisma a Landini, molti esperti sono però
altrettanto d’accordo nel non attribuire a una sua eventuale – per ora
smentita – discesa in campo un’esplosione di consensi a sinistra. Nulla
di paragonabile a Syriza in Grecia o Podemos in Spagna: «Secondo le
nostre rilevazioni, Landini gode della fiducia di circa un 20% degli
italiani: ma attenzione, fiducia non significa che lo voterebbero»,
mette in guardia Pietro Vento, direttore di Demopolis, «è difficile
capire quale sia lo spazio per una nuova forza a sinistra del Pd», ma,
di certo, «sarebbe poco realistico ipotizzare scenari simili a Syriza o
Podemos». Non c’è lo stesso contesto di Grecia e Spagna anche per
Roberto Weber di Ixè: «Landini, che secondo i nostri sondaggi di qualche
mese fa potrebbe arrivare all’8%, non è espressione di una generazione e
di gruppi sociali esclusi: l’impianto narrativo di Podemos, lui non lo
può proporre».
Per quanto riguarda un suo ipotetico peso elettorale, spiega Noto che,
secondo le rilevazioni fatte in autunno, molto dipende da cosa dovesse
succedere nel panorama politico: «Se riuscisse ad aggregare una parte di
Pd, potrebbe arrivare anche al 10%. Altrimenti, si fermerebbe al 4-5%,
più o meno quanto la lista Tsipras alle Europee». Un eventuale «non
banale» consenso raggranellato da Landini a sinistra, ragiona la
politologa Ventura, potrebbe spingere la situazione a «radicalizzarsi
sempre di più, con un Pd ancor più spinto al centro». Il che, secondo
Weber, non intaccherebbe il consenso del premier: «Almeno nel breve e
medio termine, Landini in campo non incrinerebbe l’egemonia renziana».
Repubblica 24.2.15
In Italia il variegato fronte sociale appare privo di ossatura e di una vera strategia
Il paradosso Landini quello spazio nuovo alla sinistra Dem difficile da colmare
Proprio
per questo il premier si permette di fare il Maramaldo In questa fase è
impossibile fare paragoni con la Spagna o con la Grecia
di Stefano Folli
ESISTE un paradosso alla sinistra di Renzi e le polemiche sull’eventuale
impegno politico di Landini l’hanno fatto emergere. Da un lato, lo
spazio è ampio, significativo sulla carta anche sotto l’aspetto
elettorale; dall’altro, né il segretario della Fiom né altri sembrano
oggi in grado di occuparlo e di organizzarlo. Per cui il presidente del
Consiglio non sembra aver molto da temere, almeno nel medio termine, e
si permette il lusso di fare battute un po’ da Maramaldo.
Si capisce perché. Landini può anche vagheggiare di costruire — lui
stesso o altri a lui vicini — la versione italiana del movimento
spagnolo Podemos, come ha scritto Angela Mauro di “Huffington Post”. Ma
la realtà è sempre più complicata dei sogni. In Grecia Syriza si è
subito scontrata contro il muro dell’Europa tedesca, in Spagna i nuovi
movimentisti rappresentano, certo, una forza vera che però deve ancora
misurarsi con i fatti e prima deve vincere le elezioni. In Italia il
variegato fronte sociale a sinistra del Pd appare privo di ossatura e di
strategia. Si ritrova su alcune parole d’ordine, come la
contro-manifestazione anti Lega che si sta preparando per sabato 28 a
Roma. Ma l’idea di presentare Salvini come un piccolo Tambroni del
Duemila a cui intimare lo sfratto dalla città eterna, con il connesso
rischio di disordini e violenze, non è un progetto politico. È più che
altro un pretesto per scendere in piazza a manifestare un malessere,
rischiando però di fare il gioco dell’avversario leghista.
S’intende che a sinistra di Renzi c’è anche dell’altro. Ma le sigle
partitiche hanno dimostrato da tempo di non possedere forza propulsiva.
Vendola non rappresenta una minaccia per il premier e non è più nemmeno
un aggregatore: anzi, di recente ha subìto l’abbandono del gruppo
filogovernativo di Migliore. Quel che resta di Rifondazione è poca cosa e
da parte sua la minoranza del Pd di tutto sembra preoccuparsi, tranne
che di preparare la scissione. Nessuno peraltro riesce a immaginare
Bersani che si mescola alle organizzazioni sociali per inseguire la
replica italiana di Podemos. E di sicuro lo stesso Landini se ne rende
conto. Tanto è vero che non ha ottenuto incoraggiamenti né dall’interno
del Pd (salvo forse Civati) né dal mondo sindacale, a cominciare dalla
Cgil. Gli uni e gli altri vedono con identica diffidenza un’ipotesi dai
contorni indefiniti che rischia di indebolire insieme la struttura del
sindacato tradizionale e quella del partito.
Eppure, ecco il paradosso, lo spazio non mancherebbe. Solo che
trasferirlo sul piano politico e soprattutto elettorale richiede una
leadership e anche una cornice propizia. Non basta essere contro le
politiche di Renzi e nemmeno portare nelle strade qualche migliaio di
manifestanti. Ci vuole perizia e senso tattico. Il presidente del
Consiglio ha fatto della comunicazione la sua arma migliore, ma non si è
fermato a questo. La legge elettorale (l’Italicum), su cui la Camera è
chiamata a pronunciarsi, rappresenta un’arma decisiva per chiudere gli
spazi a sinistra lasciando un «diritto di tribuna» o poco più ai gruppi
che resteranno al di fuori della lista Renzi.
Questo significa che le prospettive non sempre meditate di chi guarda
alla Spagna o alla Grecia devono fare i conti con una riforma elettorale
di tipo maggioritario tendente per sua natura a mettere ai margini le
forze minori e intermedie. Un movimento stile Podemos avrebbe bisogno di
una legge proporzionale, come in Spagna. Ma l’Italia sta andando in una
direzione opposta, a meno che non intervenga qualche incidente di
percorso in Parlamento. In mancanza del quale chiunque vorrà dare forma a
una nuova sinistra sospesa fra società e palazzo dovrà adattarsi a un
lungo cammino. Per cui nessuno si meraviglierebbe se alla fine Landini
scegliesse di giocare le sue carte all’interno della Cgil invece che in
una sfida politico-elettorale al premier.
La Stampa 24.2.15
La strada impervia del capo dei metalmeccanici
di Marcello Sorgi
L’ipotesi di un nuovo movimento, o addirittura di un partito alla
sinistra del Pd, guidato dal leader della Fiom Maurizio Landini non
preoccupa Matteo Renzi. Ma quando il premier domenica ha risposto a
Lucia Annunziata che non è Landini che abbandona il sindacato, ma il
sindacato che abbandona lui, sapeva di cosa parlava. I risultati,
fallimentari per la seconda volta, dopo quelli di Pomigliano, dello
sciopero proclamato a Melfi dal sindacato dei metalmeccanici della Cgil
sono stati al centro ieri mattina di un vertice tra lo stesso Landini e
la segretaria Susanna Camusso: il 2,8 per cento di adesione alla
protesta, con la punta minima dello 0,95 (dati forniti dall’azienda)
dimostra che la chiamata all’estensione dal lavoro contro gli
straordinari chiesti dalla Fiat non è stata condivisa dai lavoratori.
Melfi dunque come Pomigliano, che il 14 febbraio aveva visto solo cinque
operai scioperare, mentre la Cisl vinceva le elezioni per le
rappresentanze interne.
Nel giro di pochi giorni, dopo la decisione del governo di varare i
decreti legislativi del Jobs Act, sia Camusso che Landini hanno
accennato a iniziative politiche, non soltanto sindacali, che il
sindacato potrebbe prendere nei confronti del governo. Così Camusso in
un’intervista a “Repubblica” non ha escluso di poter lanciare un
referendum abrogativo contro il Jobs Act. E Landini, pur precisando che
non pensa a un partito, s’è detto disponibile con “Il Fatto” a
organizzare un movimento che punti a coagulare una maggioranza contro la
politica economica del governo.
Va detto che i due progetti, se confermati, in questo momento
finirebbero molto probabilmente a risolversi a favore di Renzi. Il
referendum sulla riforma del lavoro ricorda molto quello proclamato dal
Pci con l’appoggio della Cgil, e perduto da entrambi, nel 1985,
esattamente trent’anni fa, contro il taglio della scala mobile voluto da
Craxi. E l’ipotesi di un partito antagonista, al quale non si unirebbe
la minoranza bersaniana, decisa piuttosto a condurre la sua battaglia
all’interno del Pd, non tiene conto delle difficoltà in cui versa da
tempo la sinistra radicale, da Sel in giù, attraversata da tensioni e
scissioni a favore delle riforme di Renzi. Il quale Renzi, si può
immaginare, non vedrebbe l’ora di misurarsi in una consultazione
elettorale che per il momento in cui cadrebbe, non prima del 2016 - a
Jobs Act implementato e con gli effetti del disgelo della crisi che
potrebbero manifestarsi più concretamente -, non lo vedrebbe certo in
posizione svantaggiata.
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