domenica 8 marzo 2015
Risvolto
Il lavoro
radicale e utopistico di Joseph Beuys ha ispirato e continua a ispirare
artisti, operatori culturali e pensatori di tutto il mondo, non solo in
materia di pratica artistica, ma anche di pedagogia, ecologia e
democrazia diretta. Visionario dalla personalità complessa, Beuys per
anni ha coltivato instancabilmente attraverso opere e performance,
docenza e attivismo, un suo ambizioso progetto per la trasformazione
della società occidentale in un sistema pacifico, democratico e
creativo. Questo libro è una lunga intervista nella quale Beuys dialoga
con Volker Harlan, esponendo le motivazioni di fondo della sua “scultura
sociale”, ovvero del suo concetto allargato di arte: riflessioni
illuminanti, in cui l’arte emerge all’interconnessione tra filosofia,
spiritualità, economia e politica. Beuys si pone come l’architetto di un
tipo di arte rivoluzionario, il cui linguaggio è basato su oggetti
“poveri”, su una rigorosa riduzione all’essenziale; un’arte che vuole
essere una prassi collettiva capace di agire sul rapporto fra l’uomo e
la natura.
Una scienza della libertà ecco la scintilla dell’arte vera
In questo inedito Joseph Beuys espone le sue idee in materia di estetica e insiste sulla trasformazione sociale che può scaturire dall’opera di un pittore o di uno scultore
JOSEPH BEUYS Repubblica 7 3 2015
PER tutta la vita sono tornato a più riprese su una stessa domanda: qual è la necessità — ovvero, la costellazione di forze oggettive che agiscono in noi e nel mondo — che giustifica la creazione di qualcosa come l’arte? Questa domanda ha avuto senz’altro un peso determinante nella mia vita, spingendomi a riconsiderare il mio iniziale coinvolgimento nel settore scientifico. Prima del cambio di rotta provocato da questo dubbio, da questa riflessione, avevo infatti iniziato a studiare le scienze naturali, dove ho appreso delle cose sul predominio del paradigma scientifico che mi hanno fatto capire che lì non avrei trovato le mie risposte.
Nel mettere in discussione il valore di questo tipo di ricerca quale mezzo per l’esplorazione del vasto campo delle forze in gioco (le forze vitali, della mente, ossia dell’anima, quelle psico- spirituali e le loro forme più nobili), sono giunto per ragioni puramente sperimentali a prendere in considerazione l’ipotesi d’indagare la sfera dell’arte, che nel tempo si era manifestata quale forma d’attività culturale. Ma intuivo già che neppure lì il mio quesito fondamentale avrebbe trovato una risposta.
Poi, durante i miei studi in Accademia, ho scoperto che tale domanda sulla scintilla e sulla fonte dell’arte, sull’esigenza del mondo di progredire ed evolvere tramite l’arte, doveva in definitiva rimanere irrisolta. Scoprii che l’arte aveva seguito una specie di sviluppo parallelo a quello della scienza, un accademismo, con una lunga tradizione risalente al Rinascimento; e che la gente non sapeva più cosa volesse fare esattamente. Da una parte, c’erano insegnanti che mi sembrava affrontassero il problema come anatomisti o chirurghi in sala operatoria: guardavano le cose in maniera mimetica, basandosi solo sull’osservazione di ciò che avevano davanti, riproducendolo nella stessa prospettiva su carta o in forme spaziali; in altre parole, copiando. Dall’altra, c’erano insegnanti che avevano un approccio stilistico radicale. Tuttavia, era molto difficile riconoscere la scintilla e la fonte delle loro intenzioni. Mostravano un indirizzo stilistico che, se vogliamo, derivava dall’arte astratta, che è un concetto popolare secondo cui anche una forma astratta può essere arte.
Era chiaro che entrambe le posizioni avessero qualcosa a che fare con il mio interrogativo. In tal senso, gli insegnanti che avevo avuto si potevano definire veri artisti. Ma il punto è che le domande fondamentali, cioè, la ricerca fondamentale sull’arte e la sua funzione, non potevano trovare risposte in Accademia. Ciò rafforzò in me la determinazione d’indagare per conto mio. Per ora, basti dire questo.
Da allora non ho fatto altro che ricercare, sebbene non possa negare di aver anche, in qualche modo, agitato un po’ le acque in questo campo. Comunque, una cosa mi sembra soprattutto chiara: se questa domanda non diventa centrale nella ricerca e non trova una risposta davvero radicale, che consideri effettivamente l’arte quale punto di partenza per la produzione d’ogni cosa, in qualsiasi ambito di lavoro, allora qualunque idea di ulteriore sviluppo è una perdita di tempo. Se vogliamo ridefinire e riformare la società, bisogna tenere a mente quest’idea — ossia, che ogni opera deriva dall’arte — , perché inciderà anche sulle questioni economiche, toccando i diritti umani e legali.
Sto usando il futuro perché nel frattempo mi è diventato chiaro, ed è sempre più ovvio, che si tratta di una strada percorribile per compensare gli errori della filosofia o della sociologia dell’ultimo secolo; ad esempio, riequilibrando le tendenze errate in Marx con qualcosa che, andando oltre la sua ortodossia analitica, possa portare a un vero sviluppo olistico del mondo. Pertanto, siamo proprio dentro la questione della necessità dell’arte, che è senza dubbio anche la questione della libertà. Se vogliamo occuparci di tali cose, dei problemi dell’umanità, del potenziale insito in tali forze e perciò anche della domanda d’energia, inclusa l’energia tecnologica — oggigiorno così urgente e importante… —, se vogliamo rispondere a questa domanda, allora dobbiamo porla come questione di energia in senso lato.
Pertanto bisogna fare immediatamente il punto della situazione, redigere un inventario di tutte le energie presenti che rispecchi davvero ciò che è disponibile. Oggi si trascura molto spesso il fatto che gli esseri umani dispongono di un tipo differente d’energia da quella che avevano duecento o cinquecento o mille anni fa; che oggi stanno emergendo in noi le energie della libertà e che è proprio questo il momento in cui si può parlare d’arte — che è, per così dire, una specie di scienza della libertà. Una volta fatto il bilancio delle riserve mondiali, tutto deve orientarsi verso questa nuova situazione energetica.
Ciò implica il riconoscimento di una nuova espressione d’energia esistente nel mondo, rappresentata dall’essere umano, il che costituisce una novità anche per l’essere umano stesso — tralasciando per il momento i legami spirituali che tale energia intesse con altre reti di forze individualizzate nel mondo. E sebbene ciò sia un dato di fatto, in effetti è ancora da assimilare, nonché praticare, insegnare e studiare.
Così, prima di tutto, c’è l’arte come scienza della libertà, quindi, di conseguenza, c’è l’arte in ogni cosa come produzione primaria o come produzione originale. Ora, a molti l’idea sembra troppo elevata; tanti obiettano che non tutti possono essere artisti. Ma è proprio questo il punto: far sì che l’idea riaffermi l’essenza dell’essere umano, cioè l’essere umano quale espressione di libertà che incarna l’impulso evolutivo del mondo, lo perpetua e lo sviluppa ulteriormente. Siamo allora di fronte a un concetto antropologico, piuttosto che al tradizionale concetto piccolo-borghese dell’arte oggi vigente. Questo complica la discussione, dal momento che bisogna parlare su due livelli: da una parte, bisogna parlare di quello che ci è stato tramandato dal passato, di quello che i nostri avi hanno prodotto e che adesso, se non lo superiamo, rischia di diventare un peso morto; e dall’altra, bisogna proiettarsi in modo preliminare, anticipatorio, nel futuro. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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