Zapatero: “Macché populisti. Sono dei socialdemocratici”L’ex premier sul movimento di Iglesias: sono giovani utopisti Non cambieranno la politica, sarà il sistema a cambiare loro
di Francesco Olivo La Stampa 23.3.15
«Sono un partito giovane, stanno cambiando la politica spagnola, ma alla
fine saranno loro a cambiare». José Luis Zapatero parla di Podemos dal
suo ufficio spartano del Consiglio di Stato. L’ex premier spagnolo è
molto rilassato, parla di tutto con il tono dello studioso, più che del
politico. Così pur giurando fedeltà eterna al Psoe (è stato segretario
per 12 anni) non liquida i nuovi avversari.
Non vi fanno paura?
«No.
Rispondono a una domanda istintiva delle persone: dare un’alternativa al
sistema. Sono giovani, vivono nel cielo, senza tetto, né pavimento.
Scopriranno che le alternative al sistema sono solo parziali e
cambieranno. La democrazia ti fa cambiare».
Sono populisti?
«Si figuri,
per me sono socialdemocratici e cambieranno presto. Il paragone con il
M5S è sbagliato».
Lei ha incontrato il loro leader, Pablo Iglesias, un
pranzo che ha fatto scalpore. Chi si è trovato davanti?
«Una persona
educata e colta. Ha militato sempre nella sinistra più utopista. Ama la
politica più di me».
La impressiona la forza di Marine Le Pen?
«I suoi
discorsi mi fanno venire i brividi, ci fanno tornare indietro di almeno
un secolo. Credo che comunque il Fn non vincerà le elezioni. L’Europa
già si è suicidata una volta nella sua storia».
I socialisti spagnoli
faranno la fine del Pasok greco?
«Questa è una barzelletta».
In questi
giorni in Spagna Zapatero è accusato di interferire con la politica
estera per essere stato ricevuto da Castro a Cuba e per aver parlato a
un convegno in Marocco. I giornali dicono: «Ha perso l’aplomb». È
vero?
«Sono andato a Cuba, perché quando ero primo ministro non ci ero
mai riuscito. Sono stato invitato e ho accettato, il ministro degli
Esteri spagnolo mi ha criticato, ma ha sbagliato lettura».
Nel suo
libro ha accennato a quello che successe all’Italia al G20 di Cannes,
perché le sono rimasti impressi quei giorni?
«Non dimenticherò mai
quello che ho visto in Francia. Andai con il timore che potessimo essere
nel mirino dei sostenitori dell’austerità, ma l’obiettivo era
l’Italia».
Cosa successe?
«Berlusconi e Tremonti subirono pressioni
fortissime affinché accettassero il salvataggio del Fmi. Loro non
cedettero e nei corridoi si cominciò a parlare di Monti, mi sembrò
strano».
Monti poco dopo divenne premier e Berlusconi parla di
golpe.
«Io mi limito a raccontare quello che ho visto: gli Usa e i
sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia,
sostituirsi al suo governo. Era vero che l’Italia aveva problemi
finanziari e politici, ma qui stiamo parlando della sovranità di una
nazione. È un caso che va studiato».
È un invito?
«Sì, vorrei parlarne
in una sede pubblica in Italia, facciamolo presto. Sono pronto».
Conosce
Renzi?
«L’ho incontrato una volta. Ho capito da come si muove che è un
leader vero. C’è differenza tra essere famosi ed essere
leader».
Berlusconi sarebbe quello famoso?
«Non dirò una parola contro
di lui. Oggi sarebbe facile, ma ho lavorato bene con Berlusconi. Mi
stupisce soltanto che sia ancora lì a far politica».
La sinistra deve
combattere l’austerità?
«Non si può dare la colpa dei tagli solo alla
destra o a cento fantomatici cattivi di Wall Street. Lo stato sociale è
stato colpito e oggi il compito della sinistra è recuperare quello che
si è perso. La destra non lo farà mai».
È quello che sta facendo
Tsipras?
«Lui e l’Ue si stanno studiando, come pugili al primo round,
serve tempo. La Grecia deve capire che l’euro non è il male e che i
debiti si pagano. Ma vorrei sentire dall’altra parte qualche parola
sulle famiglie messe ai margini della società a causa della crisi. È ora
che l’Europa chieda scusa per la povertà che è dilagata in Grecia e non
solo».
Cosa fa oggi Zapatero?
«Il potere non mi manca. Per me è un
periodo molto bello, oggi vado a pranzo con le mie figlie, una cosa
impensabile un tempo. Sto scrivendo un libro sulle riforme dei diritti
sociali del mio governo».
Quelle per cui lei divenne un mito per la
sinistra italiana. Se ne rese conto?
«Sì, ho anche visto Viva Zapatero,
il film della Guzzanti. Diventai popolare per il ritiro delle truppe in
Iraq e per l’allargamento dei diritti sociali. Le chiamarono leggi sexy,
ma matrimoni gay, aborto, diritti delle donne sono conquiste
democratiche talmente radicate che la destra non le ha cancellate. Ho
lottato per ottenerle, i vescovi mi chiamavano relativista, un modo
gentile di dire eretico».
Perché quel mito è tramontato?
«È arrivata la
crisi, uno tsunami, gli obiettivi divennero altri».
Ci sono due
Zapatero?
«Forse sì».
Tsipras a Merkel: aiuti alla Grecia o non paghiamo
Allarme Ue: Atene ha liquidità fino all’8 apriledi Danilo Taino Corriere 23.3.15
BERLINO Domenica 15 marzo, quattro giorni prima del mini-summit a sette a
Bruxelles, a margine del Consiglio Europeo, il premier greco Alexis
Tsipras avrebbe scritto alla cancelliera tedesca Angela Merkel una
lettera dal tono quasi ricattatorio. Nella lettera, di cui il Financial
Times ha ottenuto copia, Tsipras chiariva che sarebbe stato
«impossibile» per la Grecia pagare le prossime tranche del debito se
Bruxelles non avesse fornito, a breve, assistenza economica, come poi
avvenuto (il giorno dopo, Atene ha ottenuto due miliardi di euro di
fondi per lo sviluppo Ue).
Ieri Tsipras ha detto al quotidiano greco Kathimerini che «è tempo di
cambiare e questo dipende solo da noi». Si riferiva alla necessità «di
spingere per riforme che il precedente governo non ha osato fare». Se
alla dichiarazione seguiranno le azioni, l’incontro che il primo
ministro ellenico avrà oggi pomeriggio con la Merkel potrebbe lanciare
segnali positivi.
Il primo ad avere bisogno di un clima di fiducia è proprio il governo di
Atene, che nel giro di un paio di settimane rischia di trovarsi senza
fondi in cassa per pagare salari e pensioni e per restituire le rate del
debito in scadenza. Il dato di fatto, al momento, è che se non ci
saranno novità nei negoziati tra Grecia e i creditori il rischio di
default prima o poi evolverà in crisi piena.
Ieri, il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine della domenica ha
scritto, citando funzionari della Ue, che Atene ha a disposizione
liquidità fino all’8 aprile. Giorno più, giorno meno, di certo la
situazione non è tranquillizzante.
L’incontro di oggi tra Tsipras e la cancelliera tedesca non porterà
soluzioni: quelle dipendono dalle analisi dei tecnici e dalle riunioni
dell’Eurogruppo, cioè dei ministri finanziari della zona euro. Potrebbe
però dare una spinta politica. Ma solo se il premier greco darà il segno
chiaro e credibile di volere finalmente iniziare a parlare di riforme
concrete: quelle che deciderà il suo governo, l’importante è che
rimettano la Grecia su una strada di crescita economica e non minaccino
una crisi di bilancio che farebbe danni in tutta l’eurozona.
I precedenti non sono granché incoraggianti. Ogni volta che il nuovo
governo di Atene ha promesso un programma di interventi ha poi deluso le
attese con documenti generici e alzando lo scontro verbale, soprattutto
con Berlino. È vero che il più discusso dei ministri ellenici, Yanis
Varoufakis, da qualche giorno tace, forse su ordine di Tsipras.
Resta però il fatto che, anche dopo l’incontro della settimana scorsa
con Merkel, François Hollande, Mario Draghi e i vertici della Ue — nel
quale aveva assicurato un nuovo clima di fiducia da concretizzare questa
settimana con una lista di proposte di riforme — lo stesso Tsipras ha
polemizzato con la reale interpretazione dei risultati della riunione.
Solito cartamodello.
Frau Merkel ha ribadito che, senza un nuovo programma concordato, la
Grecia non riceverà i denari — in tutto 7,2 miliardi — che ancora deve
incassare dal secondo intervento di aiuti dei creditori, dal momento che
il programma su cui erano stati promessi è stato rinnegato dal nuovo
governo di Atene. Sulla posizione della cancelliera ci sono praticamente
tutti i 18 partner della Grecia nell’area euro.
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