È fin troppo facile denunciare la deriva bonapartista quando ti hanno occupato la casa e sfilato la poltrona. Altrettanto facile è uscire indignati da un posto nel quale non ti vuole più nessuno e passare da eroi.
Dov'erano questi coraggiosi difensori della democrazia parlamentare e della costituzione in tutti questi anni? Cosa facevano mentre la propria parte devastava il paese e scavava la fossa a se stessa e a tutti noi?
Ceti politico-intellettuali da guardia, sempre pronti ad azzannare tutto ciò che sfuggiva all'ordine della concertazione: tacere e sparire è più dignitoso.
Per quanto rigarda noi, invece, passare dalla retorica del'antiberlusconismo a quella dell'antirenzismo è il modo più facile per autoassolversi e per rimuovere le robustissime radici che legano Renzi all'esperienza del centrosinistra nel suo complesso, dagli inizi degli anni Novanta a oggi.
Non è restaurando l'improbabile carisma fordista di D'Alema - e nemmeno mandando Landini in quelle trasmissioni che costruiscono l'opinione pubblica e i loro personaggi televisivi del cuore, va detto - che ci risparmieremo 20 anni di duro, oscuro e misconosciuto lavoro politico e teorico, sindacale e sociale.
Chi ritiene di non avere abbastanza tempo può andare con Vendola, dove le piglierà più grosse [SGA].
Claudio Velardi “Ha rimproverato a Matteo quello che un tempo veniva rimproverato a lui”
di Antonio Pitoni La Stampa 23.3.15
«Massimo D’Alema è entrato come un elefante in una cristalleria». Parola
di Claudio Velardi, ex consigliere del governo che lo stesso D’Alema
guidò tra il 1998 e il 2000: «Il suo intervento è stato di una violenza
impressionante al punto da provocare la reazione di una persona
notoriamente misurata come Gianni Cuperlo e di uno dei suoi ultimi
figliocci come Matteo Orfini».
D’Alema ha definito il Pd a guida renziana «un partito a conduzione personale» con «una certa carica di arroganza»…
«Come qualcuno ha detto forse si stava guardando allo specchio mentre
parlava. Ha rimproverato a Matteo Renzi quello che, a suo tempo, veniva
rimproverato a lui. Ascoltandolo mi è sembrato di assistere ad una
seduta psicanalitica di autocoscienza. Il suo intervento è da studiare
attentamente».
E lei lo ha studiato?
«Ha iniziato dicendo di voler dare dei consigli. Il primo è stato:
dobbiamo stare uniti. Il secondo, però, era in contraddizione con il
primo: dobbiamo essere intransigenti, ma l’unità si ottiene mettendo
d’accordo le diverse sensibilità. Insomma, un intervento violento non
tanto verso Renzi quanto verso una sinistra Pd in cerca d’autore e,
soprattutto, in cerca di un leader».
Vede un futuro per la minoranza dem?
«L’unica possibilità è quella di fare un altro partito uscendo da un Pd
al cui interno Renzi li ha praticamente asfaltati. E l’associazione
lanciata da D’Alema va in questa direzione. Ma resta un nodo: chi
comanda? Nella vecchia sinistra il principio di fondo è sempre lo
stesso: il leader sono io e nessun altro».
Orfini a D’Alema: “È finita l’era della meglio classe dirigente Adesso usciamo dall’acquario”
Il presidente del partito: la mutazione genetica del Pd parla al popolo più di noi
di Antonio Fraschilla Repubblica 23.3.15
ROMA «Renzi è riuscito dove noi abbiamo fallito. È finita l’era della
“meglio classe dirigente”. Viva la mutazione genetica». Matteo Orfini,
presidente del Partito democratico, critica duramente l’ex leader
Massimo D’Alema e il suo affondo contro il presidente del Consiglio
«arrogante» e che «va colpito». Dando cosi manforte alla maggioranza
guidata da Matteo Renzi, che torna a lanciare bordare ai ribelli
interni: «Compiamo le nostre scelte pensando ai nostri connazionali, non
alle correnti o agli spifferi», dice.
Lo scontro interno è fortissimo, da una parte i renziani che guadagnano
campo anche in chi fino a ieri è stato al fianco di D’Alema e Bersani,
come Orfini, e dall’altra una sinistra Pd che teme una svolta a destra
ma si divide a sua volta di fronte alle sferzate dalemiane. Renzi
ribatte agli attacchi di D’Alema riguardo a un «partito che non è certo
grande come lo sono stati i Ds»: «Un anno e mezzo fa, prima gli iscritti
e poi milioni di elettori con le primarie ci hanno affidato la guida
del Pd — dice — ci hanno chiesto di rimettere in moto l’Italia,
realizzando finalmente le riforme. Gli italiani con il voto alle europee
hanno sostenuto questo percorso con una percentuale che non si vedeva
in Italia dal ‘58». E il vicesegretario Lorenzo Guerini precisa:
«Segnalo a chi spara cifre a caso che gli iscritti sono oltre 390 mila».
Ma sono le parole di Orfini a segnare una profonda frattura anche
all’interno dell’area della sinistra: «Se ci sono dei difetti
nell’azione di governo stanno proprio nella fatica a smaltire fino in
fondo le scorie della subalternità politica e culturale degli ultimi
venti anni — scrive su “Left swing” — difficile che possano riuscire a
correggere quegli errori i protagonisti di quella stagione, che peraltro
continuano a considerarla l’era della “meglio classe dirigente”».
Orfini, che con i suoi Giovani turchi ha sostenuto Cuperlo e perso il
congresso, spiega così la vittoria di Renzi: «A volte in politica è
utile guardare alla realtà — continua — noi abbiamo perso il congresso
perché quel mondo delle fasce più deboli non abbiamo saputo
rappresentarlo». Poi lancia una stoccata all’ex segretario Bersani: «Il
Pd più “di sinistra” arrivò terzo tra giovani, operai, disoccupati. Un
disastro. Al 40 per cento delle europee siamo arrivati proprio
recuperando parte di quei voti. Se questa è la mutazione genetica,
evviva la mutazione genetica». Orfini boccia anche i governi del
centrosinistra prodiano: «Con buona pace di Bersani esiste un prima e un
dopo. Certo, questo non significa che Prodi e Berlusconi siano la
stessa cosa. Ma il centrosinistra al governo è stato un fallimento».
Dalla minoranza c’è chi prova a gettare acqua sul fuoco, come Alfredo
D’Attore che definisce «fuori luogo» gli attacchi dei renziani: «D’Alema
non ha ipotizzato alcuna scissione». Ma è inutile nascondere
l’irritazione che l’intervento ha provocato anche dentro la stessa
minoranza: «Non è con le battute che si fanno le scelte politiche», dice
il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina.
Intanto in casa Pd scoppiano due casi in Sicilia in vista delle prossime
amministrative. Ad Enna l’ex senatore Vladimiro Crisafulli, non
candidato alle politiche per «motivi di opportunità», è pronto a
scendere in campo nella corsa a sindaco: «Me lo chiedono i compagni del
partito — dice — io ancora non ho deciso, ma non vedo perché non potrei
farlo. Sono il segretario provinciale del Pd e non ho alcuna vicenda
giudiziaria in corso». Ma da Palazzo Chigi l’input di Renzi è stato un
netto no e Guerini sta provando a risolvere la vicenda evitando questa
candidatura: «Ma come, De Luca sì e io no?», ribatte Crisafulli. Ad
Agrigento invece le strampalate primarie del centrosinistra vedono in
testa il candidato della lista civica messa in piedi dal vicesegretario
regionale di Forza Italia, Riccardo Gallo Afflitto.
«Noi siamo in sintonia con Papa Francesco per la dignità dei lavoratori»
Stefano Fassina “Ricambio a sinistra anche Bersani pensi a un passo indietro”
Siamo finiti qui per la subalternità dei nostri vecchi big Sul lavoro D’Alema ha aperto la via che ora batte Renzi I bersaniani: nessuno vuole la scissione
intervista di Giovanna Casadio Repubblica 23.3.15
ROMA «D’Alema, ma anche Bersani, devono comprendere che abbiamo bisogno
di discontinuità di cultura politica, di agenda e di classe dirigente».
Stefano Fassina assesta un altro colpo nel “parricidio” in corso nella
sinistra del Pd, dopo la riunione all’Acquario Romano di sabato.
Fassina, chi l’ha voluta l’assemblea delle sinistre dem finita nel
“tutti contro tutti”? «L’abbiamo organizzata in tanti. Voleva rispondere
a una domanda di unità a sinistra nel Pd. E abbiamo cominciato a dare
una risposta». A parte l’anti-renzismo, eravate in disaccordo su tutto. È
solo un’impressione?
«Non ci definiamo in contrapposizione con nessuno. Abbiamo differenze.
Ma sull’insostenibilità del “pacchetto” delle riforme, la valutazione
era condivisa. Faremo un coordinamento tra Camera e Senato di chi c’era
all’Acquario. E l’unità sarà sul territorio».
Nessuna “associazione di rinascita della sinistra” come proposto da D’Alema?
«Nessuna. Di associazioni ce ne sono già tante, casomai vanno collegate».
Prende le distanze da D’Alema?
«Renzi è frutto degli errori di coloro che hanno avuto le maggiori
responsabilità nel Pd, nel Pds, nei Ds e nei governi di centrosinistra.
Matteo interpreta in modo estremo e abilissimo la subalternità al
liberismo che, ad esempio sul lavoro, ha introdotto il D’Alema
innamorato della Terza Via».
La parola d’ordine è “liberarsi dalle vecchie glorie come D’Alema”?
Anche di Bersani?
«Devono capire che abbiamo bisogno di discontinuità di cultura politica, di agenda, di classe dirigente».
Le sinistre dem vogliono “rottamare” i loro padri?
«Sarebbe ridicolo scimmiottare la rottamazione renziana, che è stata
un’operazione coraggiosa ma gattopardesca con molti trasformismi. Il
ricambio è necessario non per ragioni anagrafiche. Ma se la sinistra è
arrivata a condizioni di marginalità, è perché è stata subalterna su
questioni fondamentali».
D’Alema vuole la scissione?
«Non mi pare».
Lei vuole la scissione?
«Una scissione molecolare è in corso. Il Pd non coincide con il premier o
la maggioranza dei gruppi parlamentari. C’è un Pd fuori dai Palazzi che
non si rassegna allo spostamento verso gli interessi più forti».
Orfini vi invita a uscire dal recinto minoritario?
«Sono minoranza, non minoritario. La linea seguita da Renzi allontana il partito dagli interessi che dovrebbe rappresentare».
È vero, come dice Renzi, che lo considerate un usurpatore?
«No, il problema è il riposizionamento del Pd verso l’establishment. Noi siamo in sintonia con Papa Francesco per la dign
Matteo Richetti “Basta farci prediche la minoranza vuol solo garantirsi posti in lista”
“L’ex premier che ci accusa di arroganza è più paradossale di Casanova che accusa di tradimento”intervista di Annalisa Cuzzocrea Repubblica 23.3.15
ROMA «Essere accusati di arroganza da Massimo D’Alema è peggio che
essere accusati di infedeltà da Casanova». Matteo Richetti non pensa che
nel Pd sia alle porte una scissione: «Vedo piuttosto il tentativo di
ottenere delle garanzie per il futuro, è per questo che cercano di far
salire la temperatura — dice il deputato pd dei leader della minoranza —
. Sono di un’irresponsabilità assoluta».
Non crede però che, davanti a queste accuse, da parte della dirigenza democratica sia necessaria un po’ di autocritica?
«La leadership del Pd di oggi lascia molti più margini di discussione e
di dialogo rispetto ai tempi di D’Alema. L’accusa di autoritarismo è
incomprensibile. Piuttosto c’è un puntuale boicottaggio di ogni invito a
discutere. Ogni fine settimana ci si inventa un appuntamento per far
emergere la conflittualità».
D’Alema ha invitato le minoranze a unirsi, crede che possa accadere?
«Siamo entrambi interessati ai numeri, noi a quelli per ridurre
disoccupazione e povertà, loro a quelli che servono per tutelare
posizioni politiche. Sabato ho avuto la sensazione plastica di trovarmi
di fronte a qualche sindacalista dell’apparato. Le generiche accuse di
autoritarismo nascondono la richiesta di una trattativa chiara per avere
garanzie per il futuro».
Si riferisce alle critiche sulla legge elettorale?
«Quando i listini bloccati li riempivano D’Alema e Bersani non erano poi
così male. Ora che vogliamo introdurre due terzi di preferenze, dicono
che è troppo poco. È un dibattito strumentale, si vuol far salire la
febbre per ottenere qualcosa».
Sul Jobs act si è andati spediti, il ddl anticorruzione è appena arrivato in aula. È così assurdo chiedere più sinistra?
«Per la prima volta stiamo attuando il principio di meno tasse sul
lavoro, più tasse sulle rendite. Lo abbiamo fatto con gli 80 euro, con
l’Irap. Abbiamo reso banche, giustizia e Rai temi dell’azione di
governo, invece che tirarli fuori solo in campagna elettorale. Se la
minoranza ha intenzione di incalzare su questo è la benvenuta, ma è
mortificante ricevere ogni fine settimana la predica su una fantomatica
deriva autoritaria. Sono lezioni di superiorità morale che speravamo di
non dover più ascoltare».
Non crede all’intenzione di migliorare le riforme?
«Ci dicono “ora che non c’è più l’alibi del Nazareno” riapriamo il
dibattito sulle riforme, ma c’è una cosa chiamata maggioranza
parlamentare. Li conoscono i numeri al Senato? Vogliono fare naufragare
il percorso? Se l’onere di governare è solo in carico a noi ce lo devono
dire, io avevo capito fosse di tutto il Pd. Ma se emergono espressioni
come “il Pd di Renzi” vuol dire che loro ne hanno in mente un altro. Se
pensano di essere fuori lo dicano, perché io, di contributi, ne vedo
pochi».
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