Ma chi ha paura (e perché) degli istituticonfessionali?
di Dario Antiseri Corriere 26.4.15
È difficile far comprendere a tanti laicisti statalisti, e quindi
antiliberali e conservatori, che quei pochi cattolici ancora schierati a
difesa della scuola libera — e non solo loro, ma anche i sostenitori
delle scuole laiche dell’Associazione nazionale istituti non statali di
educazione e istruzione (Aninsei) — lottano per una grande cosa: la
libertà d’insegnamento. E a quanti, in particolare, sostengono che le
scuole paritarie a orientamento confessionale dovrebbero venir
cancellate in uno Stato laico va ricordato che proibire e soffocare le
differenze può essere (come affermato anni fa dall’allora arcivescovo di
Parigi, cardinal Lustiger) la prima causa della loro violenta
esplosione.
Le diversità di visioni del mondo e di valori scelti sono l’essenza
della società aperta. Ma davvero, allora, sarebbe una grande conquista
di libertà per l’Italia la scomparsa delle scuole non statali, laiche e
cattoliche, o anche del Liceo israelitico di Roma e Milano? La società
aperta è chiusa solo agli intolleranti. Di conseguenza, non esistono
ragioni per proibire le scuole a orientamento confessionale, se queste
si inseriscono nel quadro dei valori della Costituzione. Negare la
presenza delle scuole a orientamento confessionale significa distruggere
l’esistenza di pezzi della nostra migliore storia e proibirne sviluppi
futuri. Ed è opportuno far presente che per esempio in Belgio, accanto a
scuole libere di orientamento cattolico e protestante, troviamo anche
istituti gestiti da autorità religiose ebraiche e islamiche; scuole
induiste e islamiche sono in funzione nei Paesi Bassi; e istituti
neutri, cattolici, protestanti e islamici troviamo in Germania.
Le cose non si fermano qui, giacché lo statalista laicista tende a
precisare che le scuole a orientamento confessionale sarebbero — ex
definitione — centri di formazione acritica. Dunque, per esempio, la
«scuola cattolica» consisterebbe di professori dogmatici e studenti
acritici. Tutto questo sulla base dell’idea che un credente non può che
essere acritico.
Ma, guarda caso, Newton era cristiano, e lo fu Kant, e prima di loro lo
furono Cartesio e Pascal. Dunque: Cartesio, Pascal, Newton e Kant —
tutti acritici perché cristiani? Acritici: Agostino, Tommaso, Scoto,
Occam? E davvero critici solo gli statalisti anticlericali? Hilary
Putman è un ebreo osservante: anch’egli, dunque, vittima
dell’indottrinamento e mente acritica, sprofondato nel più bieco
dogmatismo e un pericolo per la democrazia?
I laicisti dovrebbero essere più attenti, meno dogmatici e meno acritici
nei loro pronunciamenti e nelle loro scomuniche. Il laicismo, subito
coniugato con lo statalismo, contrasta con la prospettiva laica della
concezione liberale. Il laico non è un laicista. E un laicista non è un
vero liberale. Lo Stato liberale, cioè laico, non ha un agnosticismo da
privilegiare o da imporre. L’agnosticismo — che poi si impasta con il
rifiuto di ogni fede rivelata — è una concezione filosofica che, in una
autentica società aperta, convive con altre concezioni filosofiche e
religiose della vita. È una concezione rispettabile, ma non può
pretendere di essere onnivora, di ergersi a «religione di Stato» e a
giudice inappellabile di altre scelte di concezioni della vita. Non può
nemmeno porsi come unica prospettiva del sistema scolastico, e presumere
di cancellare da questo sistema quello che secoli di storia hanno
costruito e ci hanno tramandato: le visioni religiose della vita e
dell’umano destino — orizzonti di senso e di valori entro i quali
spendere la vita. Un sistema formativo che al suo interno non favorisce
l’istituzione di scuole a orientamento religioso è frutto di menti
indottrinate e dogmatiche, cariche di clericalismo rovesciato.
Si ripete, sempre da più parti, che le scuole private — e segnatamente
quelle cattoliche — sarebbero «luoghi di indottrinamento»; a differenza
di quelle statali viste come centri di costruzione di menti critiche. È
chiaro che siamo di fronte a un’accusa generica e genericamente
infamante. Insegnanti critici si trovano in scuole statali e in scuole
non statali; così come guarnigioni di insegnanti dogmatici si trovano in
scuole statali e non statali. Solo che dagli insegnanti dogmatici delle
scuole statali le famiglie che non hanno la possibilità di mandare i
propri figli in altre scuole non possono facilmente difendersi. E che il
dogmatismo abbia costituito una malattia grave di tanti docenti,
soprattutto negli anni passati, è testimoniato dall’estesa diffusione di
non pochi libri di testo — per esempio, di filosofia, letteratura,
storia — non costruiti di certo da menti scientifiche, aperte, capaci di
dubbi e problematiche: libri di testo che non hanno sicuramente
contribuito a formare menti critiche.
Altra obiezione proveniente da più parti: la scuola deve rimanere
saldamente e totalmente nelle mani dello Stato a motivo del fatto che
soltanto la scuola pubblica sarebbe in grado di garantire la formazione
del cittadino. E qui è ovvio che dietro a simile presa di posizione
preme l’eterna tentazione della Stato etico, di uno Stato che si arroga
il diritto di formare le menti dei propri sudditi, sottraendo i giovani
alle comunità naturali e volontarie, prima tra tutte quella della
famiglia.
E a questo punto val la pena insistere sul fatto che, senza parità
economica, la parità giuridica tra scuole statali e scuole non statali
equivale semplicemente a una sentenza di morte per queste ultime. Ed
ecco, allora, che l’introduzione del buono-scuola attuerebbe l’unica
soluzione compatibile con le regole della società aperta, dando ai
cittadini la possibilità di scegliere tra scuole diverse quella che è
più affine alle proprie convinzioni culturali, filosofiche, religiose.
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