giovedì 26 marzo 2015

Renato Solmi 1927-2015


Renato Solmi, l’elegante stile critico che si fa militanza 
Addii. La scomparsa di Renato Solmi. Traduttore di Benjamin e Adorno, lavorò per anni a Einaudi. Il lungo sodalizio con Fortini e Ranchetti 

Luca Lenzini, il manifesto 26.3.2015 
Nella Pre­fa­zione a Auto­bio­gra­fia docu­men­ta­ria, il volume che rac­co­glie i suoi scritti di oltre mezzo secolo (Quod­li­bet, 2007), così scri­veva Renato Solmi: «Ho più che mai l’impressione (…) che que­sto libro, che è, se così si può dire, un som­ma­rio det­ta­gliato della mia vita, sia tutto rivolto verso il pas­sato, e non posso fare a meno di temere che essa sia desti­nata a pre­va­lere su qual­siasi altra agli occhi degli espo­nenti della nuova gene­ra­zione che si bat­tono con tanto ardore e con tanta fer­mezza sulla linea più avan­zata del fronte che separa il pas­sato dal futuro, o, se si pre­fe­ri­sce, la sal­vezza dalla cata­strofe». Ma a chi abbia pre­senti le otto­cento e passa pagine del libro, l’impressione dell’autore risulta infon­data, anzi fuor­viante: per­ché, al con­tra­rio, la lezione dell’Autobiografia di Solmi — scom­parso ieri — era ed è quella di un pen­sa­tore la cui bus­sola è stata sem­pre orien­tata verso ciò che, nel pre­sente, si schiude a nuovi svi­luppi, al di fuori di schemi dot­tri­nari o teleo­lo­gici. E già il som­ma­rio dell’antologia del 2007 dispie­gava in piena luce l’amplissimo oriz­zonte entro cui si è mossa, con straor­di­na­ria mobi­lità intel­let­tuale, la rifles­sione di Solmi: dai primi lavori su Jae­ger, Snell, Cas­si­rer, De Mar­tino degli anni Cin­quanta, ai con­tri­buti su «Discus­sioni», la rivi­sta rea­liz­zata con Inso­lera, Amo­dio, Ran­chetti, For­tini, i Gui­ducci, tra il ’49 e il ’53, agli inter­venti del redat­tore Einaudi nel periodo più fecondo della casa edi­trice, fino a quelli su «Qua­derni Pia­cen­tini», i pezzi sulla scuola e sui movi­menti degli anni ’60/’70, sul pacifismo. 

A par­tire da quei testi si può bene inten­dere come l’opera di Solmi non sia in alcun modo clas­si­fi­ca­bile come quella di uno «spe­cia­li­sta», anche se sul ter­reno volta a volta affron­tato, dalla filo­so­fia in senso stretto alla sto­ria della cul­tura, dall’antropologia alla socio­lo­gia, la sto­ria o la cri­tica let­te­ra­ria, pochi spe­cia­li­sti – oggi meno che mai — ne sareb­bero all’altezza. Il carat­tere mili­tante, e per­ciò cri­tico, del pen­siero di Solmi, ostile per natura ai dogmi e agli she­ma­ti­smi, è il filo che ne tiene sal­da­mente insieme l’opera, e non meno carat­te­ri­stico è il suo stile intel­let­tuale, tanto più gar­bato, razio­ci­nante e tal­volta per­sino ceri­mo­nioso nell’argomentare i suoi dis­sensi, quanto più si rivela radi­cale e indo­cile alle pre­tese della doxa, fosse pure quella della parte poli­tica per cui si è sem­pre schie­rato, con pre­veg­gente impe­gno paci­fi­sta e altret­tanto rigore morale. 
Tutto que­sto, men­tre spiega la sua emar­gi­na­zione rispetto ai sen­tieri della cul­tura uffi­ciale, sia dei par­titi sia acca­de­mica, pone la sua opera esat­ta­mente, per usare le sue parole, «sulla linea più avan­zata del fronte che separa il pas­sato dal futuro». Ed è di una tale lezione, nel nostro tempo di filo­sofi da festi­val e micro­spe­cia­li­sti, segnato dal con­for­mi­smo (non meno tale per vestirsi di pro­vo­ca­zione moda­iola o da lezione di disin­canto), che c’è biso­gno, ora che lui ci ha lasciato. Chi saprà misu­rarsi con i saggi intro­dut­tivi all’opera di Adorno o Ben­ja­min, scritti tra il 1953 ed il ’59, potrà ren­dersi conto di quali cali­brate rimo­zioni è capace la cul­tura del nostro paese: quel che è stato rimosso, benin­teso, non sono Adorno o Ben­ja­min, che anzi sono stati ampia­mente pub­bli­cati e fatti oggetto per­sino (non senza ambi­guità) di culto, ma la pro­spet­tiva e lo spes­sore di sto­ria e cul­tura entro cui un let­tore come Solmi si poneva: quella di una tra­du­zione nel senso più vero (incluso, ovvia­mente, il più let­te­rale, in cui eccel­leva), capace ogni volta di fare i conti con la società che si andava svi­lup­pando nelle tumul­tuose ondate di quella «moder­niz­za­zione», le cui con­trad­di­zioni ed i cui limiti si sono poi rive­lati tra­gi­ca­mente nel corso degli anni seguenti, e ancora oggi scontiamo. 

C’è un testo del 1985 in cui ram­men­tando l’autunno del ’68, Solmi anno­tava: «Ricordo una mat­tina, in tram – e non era un’esperienza unica o ecce­zio­nale in quei giorni, — gli stu­denti e le stu­den­tesse che anda­vano a scuola, e che si rac­con­ta­vano reci­pro­ca­mente quel che era acca­duto nelle rispet­tive scuole e in quei giorni, con un’immediatezza, una spon­ta­neità, come se tutte le bar­riere fos­sero cadute: c’era un’esperienza comune di cui si poteva par­lare». Pro­se­guiva poi, con un rilievo con­so­nante con le osser­va­zioni di De Cer­teau sulla «presa della parola»: «Non è durato molto, forse, nel senso che ben pre­sto si sono aggiunti anche altri ele­menti che hanno alte­rato o adul­te­rato la purezza ori­gi­na­ria del movi­mento. Que­sta purezza si mani­fe­stava, fra l’altro nella lin­gua, nel lin­guag­gio, nel modo di espri­mersi e di comu­ni­care degli stu­denti». Lo ricor­diamo così, men­tre guarda ai gio­vani e a quanto è in movi­mento; e con i versi che gli dedicò Franco For­tini, che por­tano un’altra data cru­ciale, quella del 1956 (Ven­te­simo Con­gresso): «Una mat­tina di febbraio/ gri­gio gen­tile ghiaccio/ nello sventolio/ delle edi­cole, balzo e riso,/ deli­zioso ful­mine, le mani gli occhi dell’amico/ con­vulso, con l’articolo/ man­giato dal vento: Il vento/ — diceva ridendo fra i denti –/ il vento della sto­ria, che ci precipita!»

Addio a Renato Solmi, l’eretico di Einaudi Giovedì 26 Marzo, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
Renato Solmi non ha mai rinunciato alla sua vita appartata, fino quasi a farsene un vanto, eppure è stato un intellettuale che ha inciso nella cultura italiana più di altri personaggi molto visibili: è rimasto dietro le quinte traducendo, intervenendo, commentando, introducendo opere filosofiche, facendo sentire la sua voce sommessa ma determinata. Era nato nel 1927 ad Aosta ed è morto ieri a Torino a 88 anni. Suo padre era Sergio Solmi, grande poeta e critico finissimo. Renato si laureò a Milano con una tesi in storia greca su Platone.
Dal 1951 al 1963 fu redattore all’Einaudi con una parentesi (1957-58) a Francoforte, dove seguì i corsi di Theodor W. Adorno, che avrebbe tradotto e fatto conoscere in Italia, continuando ad ammirarne «il pensiero così elevato e la scrittura limpida e inimitabile»: la passione per Adorno gli procurò i rimproveri dell’amico Cesare Cases che ne criticava il presunto «antilluminismo». Traduttore anche di Benjamin, Brecht, Marcuse, Lukács, con Raniero Panzieri fu espulso dall’Einaudi per aver difeso il libro di Goffredo Fofi sull’emigrazione meridionale a Torino, contro il parere del comitato editoriale che lo bocciò per ragioni di opportunità politico-economiche (attaccava la Fiat, ma anche i partiti e il sindacato della sinistra): «Una vicenda che avrebbe segnato pesantemente il seguito della mia vita...», avrebbe ricordato Solmi molto anni dopo.
Con Delfino Insolera e Roberto Guiducci, dal 1949 aveva partecipato alla redazione di un foglio semiclandestino, «Discussioni», che dibatteva temi di etica politica, legati alla guerra fredda, alla minaccia della bomba atomica, al rapporto tra socialismo e Urss. Tra i suoi amici più stretti ci sono anche Franco Fortini e i redattori dei Quaderni piacentini , Piergiorgio Bellocchio, Grazia Cherchi e Fofi. Alla rivista partecipò con scritti anticipatori, come quelli sulla Nuova sinistra, la società e le lotte studentesche americane. Collaborando con il gruppo torinese dei «Quaderni rossi», Solmi interpreta Günther Anders, che considera un maestro e che lo indirizza verso il pacifismo. Dopo l’uscita da Einaudi, per una trentina d’anni ha insegnato storia e filosofia nei licei di Torino e Aosta, senza smettere di scrivere sui suoi temi filosofici e militanti, insistendo sulla necessità di una riforma radicale della scuola. I suoi scritti 1951-2001 sono stati raccolti, a cura di Michele Ranchetti, in Autobiografia documentaria ( Quodlibet 2008). Dove l’aggettivo dice bene dell’onestà del suo profilo intellettuale.

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