mercoledì 4 marzo 2015

Un convegno su Berlinguer e l'Europa

Un cauto grandangolo sovranazionale
Incontri. Venerdi a Roma un convegno su «Enrico Berlinguer e l’Europa» 

Guido Liguori, il Manifesto 4.3.2015 



Enrico Ber­lin­guer è morto nel 1984, ma molte delle sue idee-forza pos­sono essere utili ancora oggi. Anche per quel che con­cerne la poli­tica inter­na­zio­nale – vera e pro­pria pas­sione del comu­ni­sta sardo e pal­co­sce­nico cen­trale della sua atti­vità poli­tica – e in par­ti­co­lare lo sce­na­rio euro­peo, le pro­spet­tive della sini­stra oggi in Europa, dopo la vit­to­ria di Tsi­pras in Gre­cia. È a par­tire da que­ste con­vin­zioni che Futura Uma­nità, l’associazione nata per stu­diare e dif­fon­dere «la sto­ria e la memo­ria del Pci», insieme alle fon­da­zioni e agli isti­tuti cul­tu­rali della Linke e di Syriza e al gruppo par­la­men­tare euro­peo Gue/Ngl, hanno pro­mosso un incon­tro inter­na­zio­nale in pro­gramma per venerdì pros­simo a Roma (Audi­to­rium di via Rieti 11, dalle ore 9.30). Sia per ricor­dare l’eurocomunismo di Ber­lin­guer, il suo dia­logo con le cor­renti di sini­stra delle social­de­mo­cra­zie euro­pee, il suo pro­fi­cuo incon­tro con Altiero Spi­nelli; sia per valu­tare il cam­mino fatto e da fare per «la costru­zione di una sini­stra nuova in Europa», come recita una ses­sione del convegno. 

Oltre l’esperienza sovietica 
Ber­lin­guer vedeva nel capi­ta­li­smo un sistema che ren­deva strut­tu­ral­mente insta­bile la pace e a rischio la soprav­vi­venza del genere umano e del suo ambiente; la fonte insu­pe­ra­bile di crisi eco­no­mi­che, di feno­meni di disoc­cu­pa­zione di massa e di impo­ve­ri­mento, di sfrut­ta­mento e alie­na­zione dei lavo­ra­tori. E con­si­de­rava ende­mici i rischi di auto­ri­ta­ri­smo e fasci­smo, tanto da scri­vere che «pro­prio per sal­vare la demo­cra­zia, per ren­derla più ampia, più forte, più ordi­nata pos­si­bile biso­gna supe­rare il capi­ta­li­smo». Nel con­tempo, al cen­tro dell’azione di Ber­lin­guer vi è stata, soprat­tutto dopo l’invasione di Praga del 1968, la con­vin­zione che il modello di socia­li­smo per cui pote­vano essere chia­mate a lot­tare le classi subal­terne dei paesi a capi­ta­li­smo avan­zato non poteva che essere diverso da quello del socia­li­smo auto­ri­ta­rio nato con l’esperienza sovietica. 
Quali con­no­tati doveva avere allora que­sta società socia­li­sta per la quale si bat­teva Ber­lin­guer? Pur rico­no­scendo i meriti sto­rici della Rivo­lu­zione russa del ’17 e dell’Urss, egli affer­mava che i comu­ni­sti ita­liani ave­vano «coscienza dei limiti» di quella espe­rienza, innan­zi­tutto del fatto che essa negava alcune fon­da­men­tali libertà poli­ti­che. Non solo Ber­lin­guer, in pole­mica coi sovie­tici, dichiarò ripe­tu­ta­mente che il Pci inten­deva avan­zare verso il socia­li­smo «su una via demo­cra­tica»: egli arrivò a soste­nere pro­prio a Mosca, nel 1977, in occa­sione dell’anniversario della Rivo­lu­zione d’Ottobre, che la demo­cra­zia è un «valore uni­ver­sale» e che dun­que una società socia­li­sta non può essere dav­vero tale se non è demo­cra­tica. Ovvia­mente anche per la demo­cra­zia – soste­neva Ber­lin­guer – non esi­ste un unico «modello» che «vada bene per tutti». Il par­la­mento è dun­que uno stru­mento utile per eser­ci­tare la volontà popo­lare, ma può essere affian­cato da altri stru­menti demo­cra­tici, più dif­fusi e più capaci di favo­rire la partecipazione. 
Non erano solo e tanto le forme della rap­pre­sen­tanza a defi­nire per Ber­lin­guer la demo­cra­zia, poi­ché esse pos­sono variare, a seconda delle tra­di­zioni, dei costumi, delle espe­rienze sto­ri­che. Quello che era indi­spen­sa­bile per Ber­lin­guer era «il rico­no­sci­mento del valore delle libertà per­so­nali e della loro garan­zia; i prin­cipi della lai­cità dello Stato, della sua arti­co­la­zione demo­cra­tica, della plu­ra­lità dei par­titi, dell’autonomia del sin­da­cato, delle libertà reli­giose, della libertà della cul­tura, dell’arte, delle scienze… una pia­ni­fi­ca­zione che fac­cia leva sulla coe­si­stenza di varie forme di ini­zia­tiva e di gestione pub­blica e pri­vata».
Era que­sta via di costru­zione del socia­li­smo nella libertà il cuore della pro­po­sta poli­tica che fu detta dell’eurocomunismo prima e poi della «terza via», intesa come una via diversa sia dal socia­li­smo auto­ri­ta­rio sovie­tico, sia dalla social­de­mo­cra­zia che aveva rinun­ciato a cam­biare il sistema capi­ta­li­stico. Biso­gnava insomma aprire una «terza fase» della lotta per il socia­li­smo, dopo che quelle della Seconda e della Terza Inter­na­zio­nale ave­vano esau­rito la loro «spinta propulsiva». 
Pro­fon­da­mente intrec­ciata con la pro­po­sta euro­co­mu­ni­sta appare la nuova atten­zione per la Comu­nità euro­pea (come si chia­mava allora la Ue) che i comu­ni­sti ita­liani dimo­strano negli anni Set­tanta. Ber­lin­guer vedeva l’Europa come fon­da­men­tale in primo luogo per la lotta per la pace, per la disten­sione inter­na­zio­nale, una «disten­sione dina­mica» che non fosse accet­ta­zione dello sta­tus quo, ma per­met­tesse anzi di supe­rare le rigide deli­mi­ta­zioni impo­ste dagli accordi di Yalta. Ma anche per il tema, con­nesso, di un diverso governo mon­diale delle risorse e di «un nuovo ordine eco­no­mico inter­na­zio­nale», che non con­dan­nasse alla morte per fame e per sete milioni di per­sone: que­sto ter­reno, come è noto, costi­tuì il luogo di incon­tro con due lea­der social­de­mo­cra­tici di sini­stra come il tede­sco Wil­lie Brandt e lo sve­dese Olof Palme. 

Il rap­porto con Spinelli 
Certo Ber­lin­guer non igno­rava il fatto che il pro­cesso di unità euro­pea fosse anche con­dotto da forze legate «a strut­ture capi­ta­li­sti­che che noi vogliamo tra­sfor­mare», ma pen­sava che la sfida andasse accet­tata, «por­tando la lotta di classe a livello euro­peo». Una lotta che aveva come obiet­tivo la demo­cra­tiz­za­zione della Comu­nità euro­pea, la costru­zione di «un’Europa dei popoli e dei lavo­ra­tori», come pre­sup­po­sto per­ché il «socia­li­smo nella libertà» dive­nisse la via mae­stra per arre­stare il declino del Vec­chio Con­ti­nente. Anche per­ché la solu­zione – affer­mava Ber­lin­guer – non poteva essere quella di chi, anche allora, pre­di­cava il ripie­ga­mento nei vec­chi Stati nazionali. 
Su que­ste basi avvenne l’incontro con Altiero Spi­nelli, che si bat­teva per pas­sare «da un sem­plice “mer­cato comune” a una “uni­fi­ca­zione poli­tica dell’Europa”». Il padre del fede­ra­li­smo euro­peo fu eletto nelle liste del Pci sia nel par­la­mento ita­liano che in quello di Stra­sburgo, e del gruppo comu­ni­sta euro­peo divenne anche vice­pre­si­dente, intes­sendo con Ber­lin­guer un dia­logo fatto di qual­che dis­so­nanza, ma soprat­tutto di con­ver­genze e bat­ta­glie comuni. 
Di que­sti temi, di evi­dente attua­lità, par­le­ranno venerdì a Roma stu­diosi e poli­tici ita­liani, tede­schi, greci, fran­cesi e spa­gnoli. Tra essi Heinz Bier­baum (Die Linke), Paolo Ciofi, Gianni Fer­rara, Eleo­nora Forenza, Gil­les Gar­nier, Haris Gole­mis (Syriza), Ale­xan­der Höbel, Rita Mae­stre (Pode­mos), Cur­zio Mal­tese, Maite Mola (Izquierda Unida), Gerard Streiff, Aldo Tor­to­rella e molti altri. Ale­xis Tsi­pras, che a dicem­bre aveva pro­messo la sua par­te­ci­pa­zione, ora ha, per for­tuna sua e anche nostra, altro da fare. Ma si tratta di una bat­ta­glia comune.

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