lunedì 27 aprile 2015

della Loggia arruola soldati nella guerra di civiltà con il culo degli altri



Meditate su Huntington, lo scontro di civiltà non è una favola
di Antonio Carioti Corriere 27.4.15
Mettere in dubbio le tesi maggioritarie, spesso ripetute in maniera meccanica e rituale, fa indubbiamente parte dei compiti spettanti a una rivista come «Il Mulino», da sempre portavoce dello spirito critico. Un compito al quale, nel nuovo fascicolo del bimestrale diretto da Michele Salvati, si cimentano in particolare un politologo editorialista del «Corriere», Angelo Panebianco, e un economista francese, Thomas Piketty, assurto a grande notorietà dopo la pubblicazione dell’ampio saggio Il capitale nel XXI secolo (Bompiani).
Panebianco prende di mira la tendenza diffusa a svalutare o deprecare il concetto di «scontro di civiltà», introdotto dal politologo americano Samuel Huntington in un saggio del 1993 e poi sviluppato in un volume del 1996, pubblicato in Italia da Garzanti. A quella formula, osserva lo studioso sul «Mulino», sono state mosse alcune critiche fondate, ma molte altre «soltanto distruttive e liquidatorie». Invece va presa sul serio, perché ci aiuta a capire alcuni pericoli che si stanno manifestando nell’attuale scenario internazionale, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra Occidente e Islam.
Due sono i motivi fondamentali per cui Panebianco difende la formula «scontro di civiltà». Il primo è che la globalizzazione, con il declino relativo della potenza americana, ha generato un sistema geopolitico multipolare, in cui i conflitti di potenza non vedono confrontarsi soggetti culturalmente omogenei, come erano le grandi potenze europee del XIX secolo e alla fin fine anche Usa e Urss (in fondo liberalismo e marxismo hanno radici comuni). Oggi si fronteggiano invece (basti pensare all’ascesa della Cina) blocchi appartenenti a civiltà diverse, che per lunghissimi secoli hanno percorso strade separate.
Particolarmente grave, secondo Panebianco, è a questo proposito la minaccia rappresentata dal fondamentalismo islamico, che ci porta al secondo motivo per cui bisogna fare i conti con Huntington. Benché i jihadisti siano una minoranza, godono di simpatie in un’area ben più vasta di quella dei loro militanti. E anche tra coloro che li avversano, molti sono altrettanto ostili alla modernità occidentale, poiché detestano le libertà individuali di cui essa è portatrice. Quando Huntington vedeva nel risveglio musulmano un forte pericolo, insomma, non era affatto fuori strada.
Cambiando argomento, il ragionamento di Piketty prende di mira un’altra idea molto diffusa, quella secondo cui la libera concorrenza sarebbe la ricetta migliore anche per ridurre le disuguaglianze. Questa «fede nell’autoregolamentazione dei mercati», secondo l’economista francese, cozza contro il dato di fatto che «il rendimento del capitale è più alto del tasso di crescita», quindi le disparità sociali tendono a perpetuarsi, se non ad accentuarsi, nel tempo. L’unico modo per porvi rimedio sarebbe «l’imposta progressiva», una tassazione che risparmi i patrimoni minori e colpisca in modo incisivo quelli di maggiore entità. Il che implica, sottolinea Piketty, una parziale «rimessa in discussione del diritto proprietà», operazione destinata a incontrare robuste resistenze. 

il balbettio degli egoisti d’Europa
di Ernesto Galli della Loggia Corriere 26.4.15
Si può immaginare una prova di egoismo e di miope inettitudine più clamorosa di quella mostrata dall’Unione Europea riunita giovedì a Bruxelles per discutere il da farsi rispetto all’ondata migratoria che sta rovesciandosi sulle coste meridionali del nostro continente? Posta davanti a una sfida geopolitica di carattere epocale, davanti alle sciagure e ai problemi di ogni tipo che questa produce, la sola cosa, infatti, che l’Unione si è saputa inventare è stata quella di mandare qualche altra nave nel Mediterraneo e di destinare una manciata in più di quattrini all’operazione Triton. Cioè di far finta di fare qualcosa allo scopo di non fare nulla.
Nel suo balbettio e nel suo riuscire a mancare regolarmente tutti gli appuntamenti decisivi che potrebbero farle fare un salto di qualità verso un’esistenza di soggetto politico, l’Europa è ormai diventata qualcosa d’imbarazzante. La mancanza di leadership e di visione minaccia di renderla un organismo sempre più ingombrante per le cose facili e sempre più inutile per quelle difficili. Un vuoto ammasso di egoismi nazionali che dura finché questi non vengono disturbati.
Del resto è apparso non meno insufficiente nei giorni scorsi anche il comportamento del governo italiano. Il presidente Renzi, recatosi a Bruxelles sperando verosimilmente grandi cose (anche se non si sa di preciso che cosa), ha dovuto accontentarsi di quasi nulla. Il fatto è che per ottenere seppure in parte da un sinedrio come quello di Bruxelles ciò che si desiderava, bisognava battere i pugni sul tavolo.
T utto il Paese avrebbe seguito un presidente del Consiglio che avesse tenuto un discorso del tipo: «Cari signori, l’Italia non intende vedere annegare centinaia di persone in mare senza muovere un dito. Noi quindi faremo di tutto per cercare di salvare il maggior numero possibile di migranti. Ma tutto questo costa, costa molto. Siccome però non siamo il Paese di Bengodi, e le nostre risorse sono limitate, sappiate che se voi non fate nulla di più del quasi niente che vi proponete di fare, allora alle prossime scadenze l’Italia si vedrà costretta con molto rammarico a sospendere qualsiasi tipo di finanziamento, anche quello ordinario, all’Unione e alle sue attività». E invece, ahimè, nulla di simile si è sentito. Evidentemente un conto è bacchettare Civati o tirare le orecchie alla Camusso, un altro affrontare a brutto muso Cameron o la Merkel (oltre, immagino, il mugugno sussiegoso della Farnesina). E così abbiamo dovuto accontentarci di una mancia accompagnata da un’amichevole pacca sulla spalla.
Giorni molto difficili si annunciano dunque nell’immediato per l’Italia. Ma per l’intera Europa si avvicina a più o meno lunga scadenza l’appuntamento con una catastrofe annunciata, quella di un’insostenibile pressione demografica del Sud del mondo la quale, proprio in quanto continua ad essere pervicacemente rimossa, tanto più minaccia inevitabilmente di assumere i tratti di un vero e proprio collasso geopolitico.
Non è vero che non ci sia nulla da fare. Se l’Europa esistesse, se avesse una vera guida politica dotata di autorità e di visione, potrebbe fare molto, specie per le migrazioni mosse da ragioni economiche. Previo un accordo quadro con l’Organizzazione dell’Unione Africana, ogni Paese europeo (da solo o insieme a un altro) potrebbe ad esempio stabilire con uno Stato di quel continente una sorta di vero e proprio gemellaggio: rapporti speciali di aiuto e cooperazione per favorirne lo sviluppo; essere autorizzato a destinarvi investimenti privilegiati in campo economico e turistico; stabilire con esso accordi doganali speciali per favorirne le produzioni e le esportazioni; aprirvi centri culturali, inviarvi «missioni» di ogni tipo specie per migliorarne gli apparati scolastici, sanitari, giudiziari e di polizia; accoglierne gli studenti migliori con borse di studio; e anche, magari, aprirvi dei «campi di addestramento» lavorativo, linguistico e «antropologico-culturale», destinati a coloro che comunque intendessero abbandonare il loro Paese.
Costerebbe e non sarebbe facile, certo. Avrebbe anche dei rischi, forse. Ma sono per l’appunto queste le cose che fa la politica, che solo la politica sa fare. Perlomeno la politica che non gioca a scaricabarile, ma quella che immagina, che osa, che agisce. 

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