martedì 7 aprile 2015

Dove c'era Marx c'è Nietzsche, dove c'era la sinistra c'è il neoliberalismo: il primo corso di Foucault al Collège de France

Lezioni sulla volontà di sapereMichel Foucault: Lezioni sulla volontà di sapere, a cura di P.A. Rovatti, Feltrinelli

Risvolto
Lezioni sulla volontà di sapere è la trascrizione del primo anno dei corsi di Michel Foucault al Collège de France e la loro pubblicazione segna una svolta nella "recezione" del suo pensiero. Non si potrà più leggerlo come prima. Si scopre qui la profonda unità del progetto che va da Sorvegliare e punire, del 1975, dominato dai temi del potere e della norma, a L'uso dei piaceri e La cura di sé, del 1984, consacrati all'etica della soggettività. Queste lezioni ricordano che il lavoro di Foucault non ha mai avuto che un oggetto: la verità. La verità nasce nei conflitti, nella concorrenza delle pretese che trovano nei rituali del giudizio in tribunale la possibilità di stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Nella Grecia antica si succedono e si confrontano differenti forme giuridiche, differenti maniere di distinguere il vero dal falso, nelle quali si inseriranno ben presto le contese dei sofisti e dei filosofi. Sofocle, nell'Edipo re, mette in scena la potenza propria delle forme del dire il vero, le quali istituiscono il potere come lo destituiscono. Contro Freud, che farà dell'Edipo il dramma dell'inconfessabile desiderio sessuale, Michel Foucault dimostra che la tragedia articola i rapporti tra la verità, il potere e il diritto. La storia della verità è quella della tragedia. Al di là dell'irenismo di Aristotele che poneva la volontà di verità nel desiderio di conoscenza. Seguito da Il sapere di Edipo.

Michel Foucault, l’invenzione della conoscenza 
Filosofia. «Lezioni sulla volontà di sapere», uscito per Feltrinelli, propone i testi del primo corso svolto al Collège de France nel 1970. Conflitto tra verità e potere e la confutazione delle teorie di Freud sono alcuni «cavalli di battaglia» dello studioso 

Roberto Ciccarelli, il manifesto 7.4.2015 
«In un angolo remoto dell’universo scin­til­lante e dif­fuso attra­verso infi­niti sistemi solari, c’era una volta un astro su cui ani­mali intel­li­genti inven­ta­rono la cono­scenza. Fu il minuto più tra­co­tante e men­zo­gnero della sto­ria uni­ver­sale». È uno dei pas­saggi fol­go­ranti, dall’ironia cru­dele e mae­stosa, di Nie­tzsche che riflette Su verità e men­zo­gna in senso extra-morale. Il filo­sofo tede­sco, a cavallo di un’iperbole, ci porta all’altezza del Big Bang. Nella fin­zione così con­ce­pita scrive un romanzo sar­ca­stico con­tro una delle verità tra­man­date della nostra cul­tura: l’Uomo esi­ste per cono­scere. Tutto que­sto è falso. 

Un’amicizia stel­lare
Per ren­dere il tono usato da Michel Fou­cault nelle Lezioni sulla volontà di sapere, tra­dotte da Carla Troilo e Mas­si­mi­liano Nicoli (Fel­tri­nelli, a cura di Pier Aldo Rovatti, pp. 352, 35 euro) biso­gna andare a pagina 219 di que­sto libro e leg­gere la lezione su Nie­tzsche. È un testo con­te­nuto in una delle ampie appen­dici ripro­dotte nel volume insieme ai testi rico­struiti del primo corso svolto al Col­lège de France nel 1970. 
Quella su Nie­tzsche è una lezione fon­da­men­tale, scritta ner­vo­sa­mente, quasi sca­let­tata, fru­sta. Gli argo­menti sono espo­sti per punti, pronti per essere pro­nun­ciati davanti ad un pub­blico. Sono i mesi in cui più intenso pro­cede il corpo a corpo con il filo­sofo tede­sco. Fou­cault ha fatto il suo ingresso al Col­lège de France, il pan­theon dell’accademia di Fran­cia, intro­dotto dal mate­ma­tico epi­ste­mo­logo e filo­sofo ana­li­tico Jules Vuil­le­min, tito­lare della cat­te­dra di «filo­so­fia della cono­scenza». Lui, invece, scelse per sé l’insegnamento di «sto­ria dei sistemi di pen­siero», come spiegò nella lezione inau­gu­rale L’ordine del discorso, pub­bli­cata in Ita­lia da Einaudi. 
L’amicizia stel­lare con Nie­tzsche, per usare un’espressione amata da que­sto filo­sofo, viene rin­sal­data sin dalle prime pagine dei corsi che dure­ranno fino al 1984, l’anno della morte di Fou­cault. Con Gil­les Deleuze, Pierre Klos­so­w­ski, l’autore di Le parole e le cose o Sor­ve­gliare e Punire è stato tra i pro­mo­tori e inter­preti della Nietzsche-renaissance che, negli anni Ses­santa, pose al cen­tro dell’attenzione un Nie­tzsche riletto alla luce del pen­siero della dif­fe­renza. Un approc­cio che lo sot­trasse dalla morsa della filo­so­fia dell’Essere di Hei­deg­ger, come del pen­siero nega­tivo, per non par­lare delle let­ture alla György Lukács che aveva ridotto il filo­sofo tede­sco, e le sue con­trad­di­zioni, ad un anti­ci­pa­tore dell’irrazionalismo e del fasci­smo euro­peo. Libri come Nie­tzsche e il cir­colo vizioso (Klos­so­w­ski), Dif­fe­renza e Ripe­ti­zione (Deleuze) e un sag­gio come Nie­tzsche, la genea­lo­gia e la sto­ria cam­bia­rono radi­cal­mente il piano della discus­sione. Ancora oggi sono un gia­ci­mento unico per la rifles­sione filo­so­fica e per quella poli­tica sull’immanenza.
Le Lezioni sulla volontà di sapere nascono in que­sta tem­pe­rie che ha segnato a fondo il pen­siero cri­tico e radi­cale negli ultimi 40 anni. E segne­ranno anche quell’immensa opera, oggi emersa e pub­bli­cata, che è la ricerca con­te­nuta nei tre­dici corsi al Col­lège de France. 

Riso, disprezzo, disgu­sto
Orien­tan­dosi nei fram­menti rac­colti nella con­te­stata anto­lo­gia postuma La volontà di potenza, così come tra le mag­giori opere di Nie­tzsche come la Genea­lo­gia della morale, Fou­cault chia­ri­sce il signi­fi­cato dell’espressione «volontà di sapere». Un con­cetto che non è assi­mi­la­bile né alla cono­scenza, né alla «volontà di verità» che Hei­deg­ger assi­mi­lava alla «volontà di potenza», in que­sto seguendo Nie­tzsche.
Per Fou­cault, il sapere implica un dop­pio rap­porto: agli oggetti della cono­scenza e al sé cono­scente. Sin dall’età clas­sica, que­sto rap­porto si è espresso attra­verso il discorso sulla razio­na­lità che ha sepa­rato il razio­nale dal non razio­nale, il nor­male dal pato­lo­gico. In que­sta cor­nice il sapere esprime la volontà di dare un ordine al mondo e di gover­nare gli indi­vi­dui. Il suo obiet­tivo è disci­pli­nare il mondo attra­verso la pro­du­zione di saperi che disci­pli­nano il potere stesso. Non si tratta di «cono­scere», ma di «sus­su­mere, sche­ma­tiz­zare, inten­dersi e cal­co­lare». Il cono­scere è dun­que il risul­tato del domi­nio delle cose e del disci­pli­na­mento delle per­sone.
Da que­sti brevi tratti si com­prende la cen­tra­lità del nesso tra sapere e potere. Fou­cault lo spiega stu­diando Nie­tzsche da cui trae anche una defi­ni­zione imma­nente, e non egoi­stica, del cono­scere. «Neces­sa­ria prima di tutto: la gioia di ciò che esi­ste», scrive Nie­tzsche. E ancora: «L’istinto cono­sci­tivo, toc­cati i pro­pri con­fini, si rivolge con­tro se stesso per pas­sare alla cri­tica del sapere, la cono­scenza al ser­vi­zio della migliore delle vite. L’uomo stesso deve volere l’illusione – in que­sto sta il tra­gico. L’enorme e indi­scri­mi­nato impulso verso una cono­scenza a sfondo sto­rico è un segno che la vita è invecchiata». 

Istinto di appro­pria­zione
Prima di leg­gere il corso è fon­da­men­tale par­tire da un assunto: la cono­scenza non si trova in natura e non costi­tui­sce il più antico istinto dell’uomo. Non è la fame, non è la sete, non è il sesso. In quell’antro buio del tempo, prima che ogni cosa abbia ini­zio e men­tre ogni cosa diviene, non c’è la garan­zia esterna di un intel­letto divino. Per Nie­tzsche la cono­scenza non è il fuoco rubato da Pro­me­teo per illu­mi­nare il mondo. E non è nem­meno il frutto dell’imitazione dell’intelligenza umana che ricorda uno spet­ta­colo divino.
Le cose che l’uomo ha tro­vato nel mondo sono ter­ri­bili, cao­ti­che, cru­deli. Non esi­stono per noi, né mostrano un volto intel­le­gi­bile che attende di incro­ciare il nostro sguardo in attesa di nascere. Il mondo non parla la lin­gua umana, non segue il nostro ordine, non risplende nel con­ca­te­na­mento, nella forma, nella bel­lezza, nella sapienza che hanno ispi­rato l’arte, la filo­so­fia o la poli­tica. La cono­scenza è un’invenzione ed è il risul­tato della cat­ti­ve­ria, del ridere, del disprezzo, del disgu­sto che si pro­tegge con­tro la dismi­sura della vita. Die­tro quell’invenzione che ha por­tato a cre­dere che la cono­scenza sia un eser­ci­zio acca­de­mico, o il dono di una capa­cità pra­tica nell’affrontare gli eventi, si nasconde un gioco di istinti, impulsi, desi­deri, timore, volontà di appropriazione. 
Que­sta è la scena descritta da Fou­cault nel 1970. Qui si affron­tano le spinte che pro­du­cono una «cono­scenza» sem­pre asser­vita o dipen­dente. La volontà di sapere è sem­pre inte­res­sata: non solo a se stessa, ma a ciò che è suscet­ti­bile di inte­res­sare l’istinto o gli istinti che la dominano. 

Il nome di Edipo
Fou­cault com­menta i grandi testi della Gre­cia antica: Esiodo, Ari­sto­tele, Omero, Sofo­cle, i sofi­sti. E riflette su alcuni dei loro inter­preti: Kant, Spi­noza e Nie­tzsche. Un intero capi­tolo, ammi­re­vole, è dedi­cato all’Edipo Re di Sofo­cle che atte­sta in maniera emble­ma­tica il con­flitto che ha pro­dotto una certa idea di cono­scenza. L’oracolo di Delfi pre­disse a Laio che sarebbe stato ucciso da suo figlio, il quale avrebbe anche spo­sato sua madre Gio­ca­sta. Laio cerca di sot­trarsi a que­sto destino e, dopo avere effet­ti­va­mente con­ce­pito un bam­bino con Gio­ca­sta, lo affida ad un servo. Il bam­bino, sal­vato da un pastore, viene con­se­gnato alla moglie del re di Corinto. Arri­vato all’età adulta Edipo, cre­dendo a sua volta di fug­gire dall’oracolo, incon­tra sul suo cam­mino Laio. E lo uccide dopo una rissa. Finirà per spo­sare Gio­ca­sta dalla quale avrà quat­tro figli. Su Tebe si abbatte la peste. Edipo inter­roga Tire­sia, men­tre un servo gli rivela le sue vere ori­gini. Gio­ca­sta si uccide, Edipo si acceca. 
Se per i greci Edipo è l’eroe tra­gico della dismi­sura, per Freud è l’eroe col­pe­vole di desi­de­rare incon­scia­mente sua madre al punto da ucci­dere il padre. Nel 1896 Edipo diventa l’eroe bor­ghese della psicoanalisi:colui che desti­tui­sce e uccide il padre, si impos­sessa della pro­prietà, gode al suo posto ed esprime la volontà di fon­dersi con sua madre, figura ori­gi­na­ria e pas­siva di tutti gli affetti. 
Fou­cault cri­tica la rein­ven­zione freu­diana del mito di Edipo e sostiene che la tra­ge­dia mette in scena lo scon­tro tra saperi e poteri: la pro­ce­dura giu­di­zia­ria dell’inchiesta, la legge divi­na­to­ria, la sovra­nità e la sua tra­sgres­sione, i saperi degli uomini umili (i servi, i pastori) con­tro la cono­scenza enig­ma­tica dell’oracolo. L’elemento più impor­tante è quello poli­tico. Ciò che scom­pare con Edipo è l’antica forma del Re orien­tale, il Re-tiranno che governa la città con il suo sapere. La sua caduta rivela la natura di ogni sovra­nità. Edipo, infatti, si acceca per non vederne i delitti. La cono­scenza rivela quanto il potere sia fon­dato sull’ingiustizia e non sulla purezza, sul disin­te­res­sa­mento, sulla coscienza.
Invece di com­pren­dere a fondo que­sto atroce con­flitto, il sapere occi­den­tale rimuove que­sta verità. Edipo è diven­tato il segno di que­sta rimo­zione. Tra­sfor­mato dal mito, que­sto per­so­nag­gio cerca di allon­ta­narsi dalla tre­menda verità della vita. «Edipo non rac­conta la verità sui nostri istinti e sui nostri desi­deri — spiega Fou­cault — ma un sistema di costri­zione al quale obbe­di­sce il discorso della verità in tutte le società occidentali». 

Cosa può un corpo
Le lezioni sulla volontà del sapere sono la prima incur­sione strut­tu­rata nel sapere antico da parte di Fou­cault. Negli ultimi anni di vita, il filo­sofo svi­luppò l’analisi del potere oltre l’epistomologia sto­rica che aveva ispi­rato Le parole e le cose o L’archeologia del sapere. Lo stu­dio del sapere greco-romano lo portò a for­mu­lare un’idea della poli­tica come espe­rienza dei corpi, cioè come eser­ci­zio etico di sé e della potenza di esi­stere. Della filo­so­fia greca Fou­cault valo­rizza le «tec­ni­che del sé» e i «pro­cessi di sog­get­ti­va­zione» ela­bo­rati per gover­nare la vita ses­suale. Al cen­tro del suo inte­resse non c’è più il sog­getto car­te­siano della razio­na­lità disin­car­nata, ma quello che cono­sce nono­stante se stesso. Il sapere, ora, serve a cono­scere le pos­si­bi­lità di un corpo. 
Que­ste sono le basi del con­fronto cri­tico con la psi­coa­na­lisi con­dotto dal 1970 in poi. Non è un caso che il primo volume della tri­lo­gia sulla Sto­ria della ses­sua­lità abbia un titolo simile a quello del corso del 1970: la Volontà di sapere. Quat­tro anni dopo, nel 1980, Fou­cault avrebbe aperto con il corso sul governo dei viventi il labo­ra­to­rio per costruire una genea­lo­gia alter­na­tiva alla filo­so­fia della coscienza che domina il sapere occi­den­tale. Il campo di bat­ta­glia è la ses­sua­lità. Il suo avver­sa­rio è il potere sim­bo­lico di una sovra­nità per­duta: la legge del padre.


Michel Foucault Volontà di sapere e potere
di Sebastiano Maffettone Il Sole Domenica 12.4.15
Le Lezioni sulla volontà di sapere costituiscono il tredicesimo volume di lezioni - tenute da Foucault al Collège de France - pubblicato da Feltrinelli. Questo volume contiene il primo corso di questa serie, quello del 1970-71, ed è uscito in francese da Gallimard nel 2011. Curiosamente, il titolo originario del volume - La volontà di sapere - era lo stesso di quello di un altro, famoso, libro che Foucault pubblicò cinque anni dopo e che forma il primo tomo della sua Storia della sessualità. Perciò, il curatore francese Daniel Defert ha voluto aggiungere la parola “lezioni” al titolo del corso del 1970-71 con il meritevole scopo di evitare confusioni tra i due testi. Si può dire senza tema di dubbio che queste Lezioni, pur essendo spesso frammentarie e rimaneggiate (buona parte del testo consiste in appunti), testimoniano di un momento fondamentale nell’arco della evoluzione del pensiero foucaultiano. Le Lezioni sulla volontà di sapere infatti costituiscono un passaggio indispensabile tra il momento archeologico ancora fortemente legato allo strutturalismo e il momento successivo più tipicamente genealogico e politico. Non è facile, naturalmente, dire quanto questi due momenti rappresentino una rottura nell’ambito del pensiero di Foucault e quanto invece forniscano una prova della sua essenziale continuità. Ciò detto, lasciate agli specialisti le polemiche interpretative, è chiaro che in queste lezioni viene fuori con forza il legame con Nietzsche e la polemica, tutta politica, con la tradizione della metafisica occidentale. Quest’ultima, da Aristotele, in poi ha cercato – secondo Foucault - di vedere la verità come arbitro imparziale tra le pretese contrapposte degli umani, per così dire spersonalizzando la verità stessa e spogliandola del suo carattere assertivo e coercitivo. Zigzagando all’interno di una ricostruzione ironica della storia della filosofia occidentale, Foucault identifica nella condanna aristotelica dei sofisti il climax di questo processo occultante. L’archeologia precedente non era in grado di rivelare il processo costante in cui il desiderio, da cui muove la conoscenza (per lo stesso Aristotele), viene rimosso in nome della verità oggettiva. Un’operazione culturale di natura assieme filosofica e politica omologa desiderio e conoscenza, costituendo il tratto permanente della filosofica occidentale fino a Nietzsche. Il «di fuori» della verità finisce per formare così l’essenza della filosofia, cancellando il ruolo desiderante del corpo. «Dimostrare la realtà», attraverso un’affermazione veritativa, diventa ossessiva ricerca di ciò che non si può attaccare e confutare. Ma sotto questa «affermazione» si cela potere, «una sorta di impegno o di professione». In altre parole, si impone un regime di verità che altro non è che la faccia giuridico-discorsiva di un regime politico-sociale. Dire che c’è una verità vuol dire in sostanza che «tu sei costretto» o «tu sei obbligato». Tesi quest’ultima che finisce – come spesso con Foucault- col lasciarci sospesi tra ammirazione e irritazione. Alla fine dei conti, infatti, la genealogia del secondo Foucault ci dice che – per fare un esempio - la differenza tra astronomia e astrologia consiste nel potere capitalistico e tecnologico che supporta la prima ma non la seconda. Tesi questa affascinante e radicale, nessuno lo nega. Ma credibile?

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