Michel Foucault:
Lezioni sulla volontà di sapere, a cura di P.A. Rovatti, Feltrinelli
Risvolto
Lezioni sulla
volontà di sapere è la trascrizione del primo anno dei corsi di Michel
Foucault al Collège de France e la loro pubblicazione segna una svolta
nella "recezione" del suo pensiero. Non si potrà più leggerlo come
prima. Si scopre qui la profonda unità del progetto che va da
Sorvegliare e punire, del 1975, dominato dai temi del potere e della
norma, a L'uso dei piaceri e La cura di sé, del 1984, consacrati
all'etica della soggettività. Queste lezioni ricordano che il lavoro di
Foucault non ha mai avuto che un oggetto: la verità. La verità nasce nei
conflitti, nella concorrenza delle pretese che trovano nei rituali del
giudizio in tribunale la possibilità di stabilire chi ha ragione e chi
ha torto. Nella Grecia antica si succedono e si confrontano differenti
forme giuridiche, differenti maniere di distinguere il vero dal falso,
nelle quali si inseriranno ben presto le contese dei sofisti e dei
filosofi. Sofocle, nell'Edipo re, mette in scena la potenza propria
delle forme del dire il vero, le quali istituiscono il potere come lo
destituiscono. Contro Freud, che farà dell'Edipo il dramma
dell'inconfessabile desiderio sessuale, Michel Foucault dimostra che la
tragedia articola i rapporti tra la verità, il potere e il diritto. La
storia della verità è quella della tragedia. Al di là dell'irenismo di
Aristotele che poneva la volontà di verità nel desiderio di conoscenza.
Seguito da Il sapere di Edipo.
Michel Foucault, l’invenzione della conoscenza
Filosofia. «Lezioni sulla volontà di sapere», uscito per Feltrinelli, propone i testi del primo corso svolto al Collège de France nel 1970. Conflitto tra verità e potere e la confutazione delle teorie di Freud sono alcuni «cavalli di battaglia» dello studioso
Roberto Ciccarelli, il manifesto 7.4.2015
«In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari, c’era una volta un astro su cui animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della storia universale». È uno dei passaggi folgoranti, dall’ironia crudele e maestosa, di Nietzsche che riflette Su verità e menzogna in senso extra-morale. Il filosofo tedesco, a cavallo di un’iperbole, ci porta all’altezza del Big Bang. Nella finzione così concepita scrive un romanzo sarcastico contro una delle verità tramandate della nostra cultura: l’Uomo esiste per conoscere. Tutto questo è falso.
Un’amicizia stellare
Per rendere il tono usato da Michel Foucault nelle Lezioni sulla volontà di sapere, tradotte da Carla Troilo e Massimiliano Nicoli (Feltrinelli, a cura di Pier Aldo Rovatti, pp. 352, 35 euro) bisogna andare a pagina 219 di questo libro e leggere la lezione su Nietzsche. È un testo contenuto in una delle ampie appendici riprodotte nel volume insieme ai testi ricostruiti del primo corso svolto al Collège de France nel 1970.
Quella su Nietzsche è una lezione fondamentale, scritta nervosamente, quasi scalettata, frusta. Gli argomenti sono esposti per punti, pronti per essere pronunciati davanti ad un pubblico. Sono i mesi in cui più intenso procede il corpo a corpo con il filosofo tedesco. Foucault ha fatto il suo ingresso al Collège de France, il pantheon dell’accademia di Francia, introdotto dal matematico epistemologo e filosofo analitico Jules Vuillemin, titolare della cattedra di «filosofia della conoscenza». Lui, invece, scelse per sé l’insegnamento di «storia dei sistemi di pensiero», come spiegò nella lezione inaugurale L’ordine del discorso, pubblicata in Italia da Einaudi.
L’amicizia stellare con Nietzsche, per usare un’espressione amata da questo filosofo, viene rinsaldata sin dalle prime pagine dei corsi che dureranno fino al 1984, l’anno della morte di Foucault. Con Gilles Deleuze, Pierre Klossowski, l’autore di Le parole e le cose o Sorvegliare e Punire è stato tra i promotori e interpreti della Nietzsche-renaissance che, negli anni Sessanta, pose al centro dell’attenzione un Nietzsche riletto alla luce del pensiero della differenza. Un approccio che lo sottrasse dalla morsa della filosofia dell’Essere di Heidegger, come del pensiero negativo, per non parlare delle letture alla György Lukács che aveva ridotto il filosofo tedesco, e le sue contraddizioni, ad un anticipatore dell’irrazionalismo e del fascismo europeo. Libri come Nietzsche e il circolo vizioso (Klossowski), Differenza e Ripetizione (Deleuze) e un saggio come Nietzsche, la genealogia e la storia cambiarono radicalmente il piano della discussione. Ancora oggi sono un giacimento unico per la riflessione filosofica e per quella politica sull’immanenza.
Le Lezioni sulla volontà di sapere nascono in questa temperie che ha segnato a fondo il pensiero critico e radicale negli ultimi 40 anni. E segneranno anche quell’immensa opera, oggi emersa e pubblicata, che è la ricerca contenuta nei tredici corsi al Collège de France.
Riso, disprezzo, disgusto
Orientandosi nei frammenti raccolti nella contestata antologia postuma La volontà di potenza, così come tra le maggiori opere di Nietzsche come la Genealogia della morale, Foucault chiarisce il significato dell’espressione «volontà di sapere». Un concetto che non è assimilabile né alla conoscenza, né alla «volontà di verità» che Heidegger assimilava alla «volontà di potenza», in questo seguendo Nietzsche.
Per Foucault, il sapere implica un doppio rapporto: agli oggetti della conoscenza e al sé conoscente. Sin dall’età classica, questo rapporto si è espresso attraverso il discorso sulla razionalità che ha separato il razionale dal non razionale, il normale dal patologico. In questa cornice il sapere esprime la volontà di dare un ordine al mondo e di governare gli individui. Il suo obiettivo è disciplinare il mondo attraverso la produzione di saperi che disciplinano il potere stesso. Non si tratta di «conoscere», ma di «sussumere, schematizzare, intendersi e calcolare». Il conoscere è dunque il risultato del dominio delle cose e del disciplinamento delle persone.
Da questi brevi tratti si comprende la centralità del nesso tra sapere e potere. Foucault lo spiega studiando Nietzsche da cui trae anche una definizione immanente, e non egoistica, del conoscere. «Necessaria prima di tutto: la gioia di ciò che esiste», scrive Nietzsche. E ancora: «L’istinto conoscitivo, toccati i propri confini, si rivolge contro se stesso per passare alla critica del sapere, la conoscenza al servizio della migliore delle vite. L’uomo stesso deve volere l’illusione – in questo sta il tragico. L’enorme e indiscriminato impulso verso una conoscenza a sfondo storico è un segno che la vita è invecchiata».
Istinto di appropriazione
Prima di leggere il corso è fondamentale partire da un assunto: la conoscenza non si trova in natura e non costituisce il più antico istinto dell’uomo. Non è la fame, non è la sete, non è il sesso. In quell’antro buio del tempo, prima che ogni cosa abbia inizio e mentre ogni cosa diviene, non c’è la garanzia esterna di un intelletto divino. Per Nietzsche la conoscenza non è il fuoco rubato da Prometeo per illuminare il mondo. E non è nemmeno il frutto dell’imitazione dell’intelligenza umana che ricorda uno spettacolo divino.
Le cose che l’uomo ha trovato nel mondo sono terribili, caotiche, crudeli. Non esistono per noi, né mostrano un volto intellegibile che attende di incrociare il nostro sguardo in attesa di nascere. Il mondo non parla la lingua umana, non segue il nostro ordine, non risplende nel concatenamento, nella forma, nella bellezza, nella sapienza che hanno ispirato l’arte, la filosofia o la politica. La conoscenza è un’invenzione ed è il risultato della cattiveria, del ridere, del disprezzo, del disgusto che si protegge contro la dismisura della vita. Dietro quell’invenzione che ha portato a credere che la conoscenza sia un esercizio accademico, o il dono di una capacità pratica nell’affrontare gli eventi, si nasconde un gioco di istinti, impulsi, desideri, timore, volontà di appropriazione.
Questa è la scena descritta da Foucault nel 1970. Qui si affrontano le spinte che producono una «conoscenza» sempre asservita o dipendente. La volontà di sapere è sempre interessata: non solo a se stessa, ma a ciò che è suscettibile di interessare l’istinto o gli istinti che la dominano.
Il nome di Edipo
Foucault commenta i grandi testi della Grecia antica: Esiodo, Aristotele, Omero, Sofocle, i sofisti. E riflette su alcuni dei loro interpreti: Kant, Spinoza e Nietzsche. Un intero capitolo, ammirevole, è dedicato all’Edipo Re di Sofocle che attesta in maniera emblematica il conflitto che ha prodotto una certa idea di conoscenza. L’oracolo di Delfi predisse a Laio che sarebbe stato ucciso da suo figlio, il quale avrebbe anche sposato sua madre Giocasta. Laio cerca di sottrarsi a questo destino e, dopo avere effettivamente concepito un bambino con Giocasta, lo affida ad un servo. Il bambino, salvato da un pastore, viene consegnato alla moglie del re di Corinto. Arrivato all’età adulta Edipo, credendo a sua volta di fuggire dall’oracolo, incontra sul suo cammino Laio. E lo uccide dopo una rissa. Finirà per sposare Giocasta dalla quale avrà quattro figli. Su Tebe si abbatte la peste. Edipo interroga Tiresia, mentre un servo gli rivela le sue vere origini. Giocasta si uccide, Edipo si acceca.
Se per i greci Edipo è l’eroe tragico della dismisura, per Freud è l’eroe colpevole di desiderare inconsciamente sua madre al punto da uccidere il padre. Nel 1896 Edipo diventa l’eroe borghese della psicoanalisi:colui che destituisce e uccide il padre, si impossessa della proprietà, gode al suo posto ed esprime la volontà di fondersi con sua madre, figura originaria e passiva di tutti gli affetti.
Foucault critica la reinvenzione freudiana del mito di Edipo e sostiene che la tragedia mette in scena lo scontro tra saperi e poteri: la procedura giudiziaria dell’inchiesta, la legge divinatoria, la sovranità e la sua trasgressione, i saperi degli uomini umili (i servi, i pastori) contro la conoscenza enigmatica dell’oracolo. L’elemento più importante è quello politico. Ciò che scompare con Edipo è l’antica forma del Re orientale, il Re-tiranno che governa la città con il suo sapere. La sua caduta rivela la natura di ogni sovranità. Edipo, infatti, si acceca per non vederne i delitti. La conoscenza rivela quanto il potere sia fondato sull’ingiustizia e non sulla purezza, sul disinteressamento, sulla coscienza.
Invece di comprendere a fondo questo atroce conflitto, il sapere occidentale rimuove questa verità. Edipo è diventato il segno di questa rimozione. Trasformato dal mito, questo personaggio cerca di allontanarsi dalla tremenda verità della vita. «Edipo non racconta la verità sui nostri istinti e sui nostri desideri — spiega Foucault — ma un sistema di costrizione al quale obbedisce il discorso della verità in tutte le società occidentali».
Cosa può un corpo
Le lezioni sulla volontà del sapere sono la prima incursione strutturata nel sapere antico da parte di Foucault. Negli ultimi anni di vita, il filosofo sviluppò l’analisi del potere oltre l’epistomologia storica che aveva ispirato Le parole e le cose o L’archeologia del sapere. Lo studio del sapere greco-romano lo portò a formulare un’idea della politica come esperienza dei corpi, cioè come esercizio etico di sé e della potenza di esistere. Della filosofia greca Foucault valorizza le «tecniche del sé» e i «processi di soggettivazione» elaborati per governare la vita sessuale. Al centro del suo interesse non c’è più il soggetto cartesiano della razionalità disincarnata, ma quello che conosce nonostante se stesso. Il sapere, ora, serve a conoscere le possibilità di un corpo.
Queste sono le basi del confronto critico con la psicoanalisi condotto dal 1970 in poi. Non è un caso che il primo volume della trilogia sulla Storia della sessualità abbia un titolo simile a quello del corso del 1970: la Volontà di sapere. Quattro anni dopo, nel 1980, Foucault avrebbe aperto con il corso sul governo dei viventi il laboratorio per costruire una genealogia alternativa alla filosofia della coscienza che domina il sapere occidentale. Il campo di battaglia è la sessualità. Il suo avversario è il potere simbolico di una sovranità perduta: la legge del padre.
Michel Foucault Volontà di sapere e poteredi Sebastiano Maffettone Il Sole Domenica 12.4.15
Le Lezioni sulla volontà di sapere costituiscono il tredicesimo volume
di lezioni - tenute da Foucault al Collège de France - pubblicato da
Feltrinelli. Questo volume contiene il primo corso di questa serie,
quello del 1970-71, ed è uscito in francese da Gallimard nel 2011.
Curiosamente, il titolo originario del volume - La volontà di sapere -
era lo stesso di quello di un altro, famoso, libro che Foucault pubblicò
cinque anni dopo e che forma il primo tomo della sua Storia della
sessualità. Perciò, il curatore francese Daniel Defert ha voluto
aggiungere la parola “lezioni” al titolo del corso del 1970-71 con il
meritevole scopo di evitare confusioni tra i due testi. Si può dire
senza tema di dubbio che queste Lezioni, pur essendo spesso frammentarie
e rimaneggiate (buona parte del testo consiste in appunti),
testimoniano di un momento fondamentale nell’arco della evoluzione del
pensiero foucaultiano. Le Lezioni sulla volontà di sapere infatti
costituiscono un passaggio indispensabile tra il momento archeologico
ancora fortemente legato allo strutturalismo e il momento successivo più
tipicamente genealogico e politico. Non è facile, naturalmente, dire
quanto questi due momenti rappresentino una rottura nell’ambito del
pensiero di Foucault e quanto invece forniscano una prova della sua
essenziale continuità. Ciò detto, lasciate agli specialisti le polemiche
interpretative, è chiaro che in queste lezioni viene fuori con forza il
legame con Nietzsche e la polemica, tutta politica, con la tradizione
della metafisica occidentale. Quest’ultima, da Aristotele, in poi ha
cercato – secondo Foucault - di vedere la verità come arbitro imparziale
tra le pretese contrapposte degli umani, per così dire spersonalizzando
la verità stessa e spogliandola del suo carattere assertivo e
coercitivo. Zigzagando all’interno di una ricostruzione ironica della
storia della filosofia occidentale, Foucault identifica nella condanna
aristotelica dei sofisti il climax di questo processo occultante.
L’archeologia precedente non era in grado di rivelare il processo
costante in cui il desiderio, da cui muove la conoscenza (per lo stesso
Aristotele), viene rimosso in nome della verità oggettiva. Un’operazione
culturale di natura assieme filosofica e politica omologa desiderio e
conoscenza, costituendo il tratto permanente della filosofica
occidentale fino a Nietzsche. Il «di fuori» della verità finisce per
formare così l’essenza della filosofia, cancellando il ruolo desiderante
del corpo. «Dimostrare la realtà», attraverso un’affermazione
veritativa, diventa ossessiva ricerca di ciò che non si può attaccare e
confutare. Ma sotto questa «affermazione» si cela potere, «una sorta di
impegno o di professione». In altre parole, si impone un regime di
verità che altro non è che la faccia giuridico-discorsiva di un regime
politico-sociale. Dire che c’è una verità vuol dire in sostanza che «tu
sei costretto» o «tu sei obbligato». Tesi quest’ultima che finisce –
come spesso con Foucault- col lasciarci sospesi tra ammirazione e
irritazione. Alla fine dei conti, infatti, la genealogia del secondo
Foucault ci dice che – per fare un esempio - la differenza tra
astronomia e astrologia consiste nel potere capitalistico e tecnologico
che supporta la prima ma non la seconda. Tesi questa affascinante e
radicale, nessuno lo nega. Ma credibile?
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