lunedì 13 aprile 2015
Il francescanesimo in Medio Oriente e in Asia
di Francesco Cardini Il Sole Domenica 12.4.15
Francesco sbarcò in Egitto ma non riuscì mai a raggiungere Gerusalemme. I
suoi confratelli invece si spinsero fino in Cina e fondarono la diocesi
di Pechino
Che Francesco approvasse o avversasse le crociate, è uno pseudoproblema.
Ai suoi tempi, la parola “crociata” non esisteva nemmeno. Vero è che
ormai il grande Innocenzo III aveva già formalizzato la disciplina degli
itinera e dei passagia, e che già dalla seconda metà dell’XI secolo si
disponeva di documenti pontifici e di delibere conciliari che avrebbero
di lì a qualche anno fornito ai decretalisti materia per la
configurazione di un vero e proprio «diritto della crociata»: ma nel
secondo decennio del XIII secolo esso non esisteva ancora.
Se non c’era la crociata, c’erano tuttavia i cruce signati: tutti coloro
che facevano voto di accorrere in Terrasanta per liberare Gerusalemme,
conquistata dai milites et peregrini nel 1099 e perduta poi nel 1187
sotto l’urto delle armate del Saladino. Il voto di assunzione della
croce, formalizzato dalla Chiesa con una semplice cerimonia di
assunzione delle insegne del pellegrinaggio (tra le quali la crocetta di
stoffa da appuntare sulla veste), non aveva in sé nulla di guerriero,
anche se i laici che ci si sottoponevano venivano autorizzati – dato il
particolare scopo e in deroga alle norme ordinarie cui i pellegrini
dovevano sottoporsi – a portare le armi.
Si può quindi supporre con ogni verosimiglianza che anche Francesco
formulasse il voto crociato e ne ricevesse le insegne: le fonti non ne
parlano in quanto era del tutto ovvio che chi si recava ad Loca Sancta
osservasse tale rito. D’altronde, la disciplina pontificia vietava che
in tempo di passagium si raggiungesse Gerusalemme se non per
riconquistarla in armi: pertanto l’inerme Francesco – inerme, prima che
per intima scelta, in quanto la sua condizione di chierico lo rendeva
abhorrens a sanguine e gli vietava comunque di portarne – non vide mai
la Città Santa. Ne avrebbe probabilmente, negli anni successivi e fino
alla morte, custoditi in cuore il dolore e il rimpianto: l’invenzione
della “Betlemme” di Greccio e lo stesso “Calvario serafico” della Verna
si potrebbero interpretare come esiti sostitutivi di quel mancato
viaggio.
Alla fine dell’agosto del 1219 l’esercito guidato dal nunzio pontificio
cardinal Pelagio assediava la città portuale egiziana di Damietta, ma
era stanco e sfiduciato anche per una dura sconfitta subìta, che
Francesco – presente tra gli assedianti – aveva secondo il suo biografo
Tommaso da Celano predetto e cercato di evitare. Furono quindi avviate
trattative con il sultano Malek al-Kâmil il quale si mostrava abbastanza
favorevole a un accordo. Francesco approfittò probabilmente della
tregua per recarsi, nel settembre, presso gli accampamenti degli
infedeli dai quali tornò pochi giorni più tardi. Ignoriamo totalmente
che cosa sia avvenuto in quel frangente. È comunque probabile – in
quanto l’episodio è richiamato anche in fonti non francescane – che
l’incontro tra il frate e il sultano sia in effetti avvenuto. Le
posteriori leggende fiorite al riguardo – compresa quella, molto
celebre, dell’ «ordalia del fuoco» – sono ben note e dettero spunto a
descrizioni tanto letterarie quanto artistiche.
L’episodio dette comunque inizio a un nuovo corso nei rapporti tra i due
grandi monoteismi. Da parte francescana il missionarismo in terra
d’Islam divenne col tempo un impegno e un carattere dominante,
alternando momenti di ricerca del martirio a tutti i costi – che
Francesco aveva mostrato già da un episodio marocchino del 1220 di
disapprovare – a iniziative più costruttive. Tra queste ultime va
annoverata negli Anni Quaranta del Trecento la fondazione della Custodia
francescana di Terrasanta.
Ma, al di là del Vicino Oriente musulmano, si estendeva l’Asia profonda,
dove la conquista mongola di Genghiz Khan e dei suoi successori da una
parte preoccupava pontefici e sovrani d’Occidente, dall’altra sembrava
poter offrire possibilità di conversione e magari di alleanza con i khan
in funzione antimusulmana. Dalla metà del Duecento si avviarono
contatti fra Europa e Asia che fruttarono inedite cognizioni geografiche
e dei quali francescani e domenicani furono protagonisti.
Dopo una prima missione fallita del minorita Lorenzo di Portogallo verso
l’ilkhanato di Persia, ben diverso successo conseguì un altro
francescano, Giovanni di Pian del Carpine, inviato da papa Innocenzo IV
nel 1245 alla capitale mongola di Karakorum. Del suo viaggio egli
redasse un’importante memoria, la Historia Mongalorum.
In quegli anni anche il re di Francia Luigi IX tentò di entrare in
contatto con il mondo mongolo. Il suo primo inviato fu il dotto
domenicano Andrea di Longjumeau. Ma la più importante fra le missioni da
lui patrocinate fu quella del francescano Guglielmo di Rubruck, il
quale partito nel 1252 da Acri alla volta del Mar Nero visitò il regno
mongolo dell’Orda d’Oro, nella Russia meridionale, il cui khan Sartaq
godeva fama di essere filocristiano (in effetti c’erano alcune tribù
mongole che erano cristiane nestoriane). Da lì il frate procedette
ancora più a Oriente, fino alla corte del Gran Khan Möngka a Karakorum:
vi giunse nel 1253 e rientrò in patria soltanto nel 1255. Guglielmo ci
ha offerto una sorprendente memoria scritta della sua esperienza
nell’Itinerarium.
Nel 1278 papa Niccolò III inviò i francescani Gerardo da Prato, Antonio
da Parma, Giovanni da Sant’Agata, Andrea da Firenze e Matteo d’Arezzo
con due lettere: una per l’ilkhan di Persia, una per il Gran Khan
Kublai. Mèta della missione era la nuova capitale dell’impero mongolo
dopo la sottomissione della Cina: Pechino.
Nel 1286 partì a quella volta un altro minorita, Giovanni da
Montecorvino, che a Pechino fondò nel 1307 con il sostegno di papa
Clemente V la prima diocesi. Quindi due suoi confratelli, Peregrino da
Castello e Pietro di Firenze, crearono nel 1312 un’ulteriore diocesi
nell’importante città portuale di Zayton (Quanzhou). Queste vicende ci
sono note soprattutto attraverso l’ampio scritto di frate Odorico da
Pordenone, che riecheggia a tratti quello di Marco Polo.
I successi non mancarono e diverse migliaia furono i mongoli convertiti.
Tuttavia dopo la morte di Giovanni da Montecorvino, avvenuta nel 1328,
la fragile compagine missionaria entrò in crisi nonostante nuovi arrivi
di valenti religiosi tra cui il minorita Giovanni dei Marignolli, nuovo
arcivescovo di Pechino tra il 1342 e il 1346.
Ma nel 1368 una rivolta che covava da tempo pose fine alla dinastia
Yuan. Quella successiva dei Ming, rigorosamente cinese, non perdonò ai
cristiani latini la benevolenza che i mongoli avevano dimostrato nei
loro confronti: così ebbe fine prima esperienza cristianizzatrice
occidentale. Quando due secoli circa più tardi giunsero i nuovi
missionari gesuiti di quella lontana presenza cattolica francescana
restava ormai solo un vago ricordo.
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