mercoledì 1 aprile 2015

Le Corbusier da destra a sinistra


Xavier de Jarcy: Le Corbusier, un fascisme français, Albin Michel

Risvolto

Le Corbusier, ce prodige du béton, ce poète de l angle droit, si admiré encore aujourd hui, mérite-t-il le qualificatif infâmant de fasciste ? 

Pour le savoir, il faut remonter quelques décennies en arrière, en restant au plus près de ses nombreux écrits. Essayer de comprendre quelles idées l animaient. Tenter de reconstituer ses réseaux de relations : le trouble docteur Winter, son ami et voisin ; l étrange ingénieur François de Pierrefeu ; le sinistre chirurgien Alexis Carrel, qu il admirait tant. Et il faut suivre enfin son parcours, qui le mène tout droit des rassemblements fascistes des années 1920 aux hôtels de Vichy, où il passe dix-huit mois entre 1940 et 1942.

Il ne s agit pas de juger, mais de connaître la part d ombre d un artiste visionnaire, qui n exclut pas sa dimension solaire (car le fascisme n empêche pas le talent, Marinetti ou Céline l ont prouvé). Et de comprendre d où vient un peu, ou peut-être beaucoup, de notre modernité.



Nel cinquantennale della morte del celebre architetto, due libri in Francia fanno luce su uno degli aspetti meno noti al grande pubblico: si augurava che Hitler riorganizzasse l’Europa e che ebrei e massoni perdessero tutto. «Un uomo dai sogni totalitari, dal cinismo in cemento armato»

leonardo martinelli La Stampa 1 4 2015

Liberation

Le invettive di Le Corbusier contro gli ebrei 

Un libro svela il filofascism o del grande architetto che salutava l’Asse com e una liberazione, esaltava lo «spirito m oderno» di Hitler e M ussolini e attaccava denaro, m assoneria e giudei 
4 apr 2015  Libero SIMONE PALIAGA
«Il denaro, gli ebrei (in parte responsabili), la massoneria, alla fine subiranno la legge giusta. Queste fortezze ignominiose saranno smantellate. Esse dominavano tutto». Per chiunque pronunciasse queste parole oggi l’incriminazione, almeno, per istigazione all’odio razziale sarebbe alle porte. Invece un tempo a pronunciarle non erano solo pochi facinorosi ignoranti e obnubilati da fedi politiche razziste. A sostenere queste idee e a riportarle sulla carta è Charles-Edouard Jeanneret-Gris. Il nome suona ai più sconosciuto, giustamente. Ma se scopriamo che dietro a esso si trova il soprannome Le Corbusier, il più grande architetto del ’900, allora le cose cambiano. 
Ritenuto uno dei propugnatori dell’architettura e urbanistica razionaliste, amante degli angoli retti e ammirato ancora oggi, Le Corbusier, nato in Svizzera, a Chaux-deFonds, il 6 ottobre 1887, si trasferì a Parigi nel 1917 con la speranza di contribuire alla ricostruzione. Le cose andarono diversamente e dovette attendere il secondo capitolo della Guerra civile europea per dire la sua e diventare, secondo André Malraux, il maggiore architetto del secolo.
Tuttavia la fama che lo avvolse dopo il 1945 nascose i suoi primi passi nel mondo della cultura e della politica. A rivelarli ora ci pensa un libro appena uscito in Francia e che sta scatenando enorme scalpore. Si tratta di Le Corbusier, un fascisme français di Xavier de Jarcy appena pubblicato dall’editore Albin Michel ( pp. 288, euro 19).
Le Corbusier si avvede ben presto che architettura e politica vanno a braccetto. Soprattutto quando la politica ambisce a presentarsi come una sorta di opera d’arte generatrice dell’homo novus che sottomette le consunte esperienze borghesi del passato. Non è un caso dunque per Le Corbusier la fascinazione per regimi che al giorno d’oggi non suscitano certo ammirazione. «Lo spettacolo offerto attualmente dall’Italia di Mussolini», scrive, «lo stato delle sue capacità spirituali, annuncia l’alba imminente dello spirito moderno»
Ma c’è di più. Quando nel giugno del 1940 la Wehrmacht sfonda le linee difensive francesi e in una manciata di giorni sfila a Parigi sotto l’Arc du Triomphe, il genio dell’architettura non fugge a Londra con Charles de Gaulle. Saluta piuttosto l’evento come «una miracolosa vittoria francese, perché se avessimo vinto con le armi», confessa in una lettera alla madre, «il marciume avrebbe trionfato e nessuno avrebbe più potuto pretendere di vivere». E ora i francesi si trovano «tra le mani di un vincitore la cui attitudine potrebbe essere distruttiva. Ma se sarà sincero Hitler potrà coronare la sua vita con un’opera grandiosa: organizzare l'Europa».
Per questo alla fine del 1940 Le Corbusier si reca a Vichy dal maresciallo Pétain, l’eroe della Prima guerra mondiale che al momento della sconfitta e quando tutti si sono dati alla fuga firma la pace con il Führer. «Con Pétain è avvenuto un 
vero miracolo», annota il celebre architetto. «Tutto avrebbe potuto crollare, annientarsi nell’anarchia. Invece tutto si è salvato e nel Paese c’è ancora la possibilità dell’azione». Subito viene nominato consigliere per l’urbanistica presso il governo e comincia a scrivere, nel suo ufficio presso l’hôtel Carlton, l’Urbanism e de la Révolution nationale. E il 27 marzo 1941 incontra il Maresciallo che «ha i pieni poteri per mettere all’opera la ricostruzione della Francia».
Malgrado la guerra non è certo un momento sterile per Le Corbusier: scrive Sur les quatre routes, Destin de Paris, Maison des hommes e la Charte d'Athènes, che diventerà il manifesto dell’urbanistica contemporanea.
Alla fine però i progetti non vanno in porto. Nel giugno del 1942 il sua piano urbanistico per Algeri viene rifiutato provocando in Le Corbusier sconforto per «la cara merdosa Vichy» che abbandonerà di lì a poco per Parigi. Dopo aver lavorato per la fondazione del Nobel e amico Alexis Carrel il 20 aprile 1944 darà le dimissioni persuaso «che il clima regnante non mi conveniva». Se Le Corbusier sta all’architettura come Heidegger sta alla filosofia si spalancherà forse il piagnisteo delle anime belle che scopriranno di non poter citare nelle loro conversazioni, oltre al grande filosofo, anche il più grande architetto del Novecento?

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