sabato 4 aprile 2015

La Terza Via Crucis: Giddens e Salvadori. Ancora sulla molestia persistente della socialdemocrazia europea

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Anthony Giddens: “Ridistribuire la ricchezza e riportare la grande industria in Europa”

“La Terza via è morta travolta da tecnologia e globalizzazione”

intervista di Enrico Franceschini Repubblica 3.4.15

LONDRA PROFESSOR Anthony Giddens, lei è stato il teorico della Terza via, ma cosa significa essere di sinistra oggi? «Significa avere determinati valori. Promuovere l’eguaglianza, o almeno limitare la diseguaglianza; attivarsi per la solidarietà, non solo dallo Stato verso i cittadini ma anche tra privati, all’interno della propria comunità; proteggere i più vulnerabili, garantendo in particolare un sistema sanitario e altri servizi pubblici essenziali ai bisognosi».
Qualcuno potrebbe obiettare che sono i valori di sempre della sinistra: cos’è cambiato rispetto al passato?
«È cambiato il contesto. La globalizzazione e la rivoluzione digitale hanno frantumato le vecchie certezze. Battersi per quei valori resta l’obiettivo, ma difenderli richiede strategie differenti. Il socialismo vecchia maniera non può più funzionare come modello. Ma non funziona, l’abbiamo visto con la grande crisi del 2008, nemmeno il modello proposto dalla destra, quello di un liberalismo in cui praticamente il mercato governa il mondo. Serve allora una via di mezzo, un modello che io chiamo di capitalismo responsabile ».
La Terza via, di nuovo?
«No, perché quando formulai il modello della Terza via, poi applicato in diversa maniera da Clinton, Blair, Schroeder e altri, internet quasi non esisteva, muoveva appena i primi passi. L’accelerazione data ai cambiamenti sociali ed economici dalle innovazioni tecnologiche ha scardinato anche la Terza via, l’idea di un riformismo di sinistra che preservasse il welfare in condizioni di mercato e demografiche mutate. Oggi i supercomputer e la robotica stanno trasformando il mondo del lavoro. Non sono sicuro che i leader politici si rendano conto del livello di rivoluzione tecnologica che abbiamo imboccato».
Ce ne dia un esempio.
«Un recente studio dell’università di Oxford nota che, quando fu inventato il telefono, ci vollero 75 anni per portarlo in 50 milioni di case. Oggi, neanche dieci anni dopo l’invenzione dello smartphone, ce ne sono 2 miliardi e mezzo di esemplari in tutto il pianeta. La rivoluzione tecnologica corre più in fretta di qualsiasi altra rivoluzione politica, economica e sociale nella storia dell’umanità ».
Il Jobs Act varato dal governo Renzi in Italia è una riforma di sinistra?
«Sì. E io appoggio quello che Renzi sta facendo. Sono riforme importanti, ma da sole non bastano. Il modello del blairismo è diventato obsoleto per le ragioni che le ho appena detto».
Cos’altro potrebbe fare, Renzi?
«L’azione nazionale non è più sufficiente. Il mondo è troppo globalizzato. Occorrono riforme a livello europeo. E mi pare che il premier italiano potrebbe avere un ruolo di rilievo per cambiare l’Europa».
Come si lotta contro la diseguaglianza, da sinistra, in questo mondo globalizzato?
«Non è possibile che una ristretta élite si arricchisca sempre di più. Questa è una bolla di sperequazione pericolosa, destabilizzante. Parte di quei soldi devono essere tassati e andare verso la spesa sociale. E questo è un aspetto. L’altro è la re-industrializzazione. Non è più vero che le fabbriche debbano andare in Cina, dove del resto il costo del lavoro è in aumento. In America è cominciato un ritorno all’industrializzazione, deve cominciare anche in Europa: la deindustrializzazione europea ha colpito troppo la classe operaia».
Le sinistre radicali, in Europa, dalla Grecia alla Spagna, vedono nel saggio di Thomas Piketty sul capitale un possibile modello per un governo di sinistra.
«Piketty ha evidenziato un problema, il crescente gap ricchi-poveri, l’ingiustizia di fondo di un sistema, ma non mi pare che abbia indicato una soluzione concreta. Quando le sinistre populiste vanno al potere, non riescono a mantenere i loro obiettivi».
Blair scrive nelle sue memorie che sinistra e destra sono concetti superati, che oggi conta essere “aperti”, a immigrazione e libero mercato, o “chiusi”, cioè anti-immigrati e protezionisti.
«Io la penso come Bobbio. Sinistra e destra esistono ancora. Anche se chi è di sinistra, oggi, non può essere per la chiusura di frontiere e mercati. Il mondo è stato aperto da globalizzazione e internet. Nessuno può più chiuderlo».



Sinistra Perché è debole e divisa la grande eredità del ’900
La sconfitta in Francia e le polemiche in Italia riaccendono il dibattito su cosa resta di un patrimonio di concetti e di battaglie messo in crisi dall’offensiva neoliberistadi Massimo L Salvadori Repubblica 3.4.15
NEL riflettere su ciò che costituisce il nucleo vitale della sinistra — insieme il suo valore fondante e il fine che essa non può non perseguire salvo negare se stessa — occorre tenere per punto fermo che esso è l’egualitarismo. Tutte le correnti della sinistra sono sempre state concordi nell’alzare come propria bandiera l’egualitarismo. Sennonché una tale concordia è costantemente venuta meno in relazione sia al tipo e al grado di egualitarismo sia ai mezzi per conseguirlo. A mio giudizio per chi voglia chiarirsi le idee resta prezioso il saggio di Norberto Bobbio Destra e sinistra, ripubblicato dalla Donzelli nel 2014.
Qui parte essenziale dell’analisi è dedicata a mostrare come la sinistra unita intorno all’egualitarismo si è aspramente divisa al proprio interno circa il “quanto” di egualitarismo da conseguire e come ottenerlo; tanto che la storia della sinistra è nelle sue linee dominanti storia di due assai diverse sinistre: da un lato la rivoluzionaria, la radicale, dall’altro la moderata, la riformista; da un lato i comunisti Winstanley, Babeuf, Marx, Lenin, Mao; dall’altro i riformisti Owen, Blanc, Bernstein, il “rinnegato” Kautsky, arrivando a Palme. La prima corrente aspirava all’egualitarismo integrale da assicurarsi mediante la collettivizzazione dei mezzi di produzione e la dittatura dei proletari, la seconda a un egualitarismo — cito Bobbio — «inteso non come l’utopia di una società in cui tutti sono eguali in tutto ma come tendenza (…) a favorire le politiche che mirano a rendere più eguali i diseguali» in forza dell’affermazione dei diritti sociali e nel quadro del rispetto della democrazia e dei diritti di libertà di tutti.
Questa la tavola dei valori e degli obiettivi delle due sinistre. La storia è stata implacabilmente impietosa con la sinistra comunista: prima l’ha portata ai massimi trionfi in termini di potere e poi l’ha fatta precipitare nella negazione pratica di tutti i suoi ideali culminata in un degradante totalitarismo. La sinistra socialista riformista ha avuto un migliore destino, raggiungendo nel Novecento con il “compromesso socialdemocratico” da cui sono venute le istituzioni del welfare , risultati importanti, che hanno contribuito in maniera determinante a ridurre le diseguaglianze, a dare maggiore dignità al mondo del lavoro, ad assicurare protezione agli strati sociali più deboli. Questa è l’unica sinistra che rimane, ma non versa affatto in buona salute. L’offensiva neoliberista l’ha svuotata, al punto che appare ridotta a un’esistenza residuale. Certo, è ancor sempre in Europa una forza elettorale tutt’altro che trascurabile. Ma, come sta dimostrando la Francia, non morde, si limita a resistere in una condizione di crescente affanno. A indebolire la socialdemocrazia sono fattori come il cedimento dei modi di produzione basati sulle grandi fabbriche e sulla concentrazione in queste ultime delle masse dei lavoratori metalmeccanici e siderurgici, l’avvento delle tecniche produttive legate all’automazione e all’informatica, l’indebolimento dei sindacati; il che ha privato i partiti socialdemocratici di quelli che erano i suoi tradizionali ancoraggi. Aggiungasi che questi partiti operavano in Stati in cui le decisioni politiche ed economiche erano nelle mani di Parlamenti e governi nazionali che poggiavano su sistemi di “economia nazionale”. La globalizzazione economica ha spostato tali leve a favore delle oligarchie sovranazionali, capaci di dettare legge in campo economico, orientare politica ed economia, di influenzare l’opinione pubblica e il corpo elettorale. Qui sta la radice dello svuotamento della sinistra socialdemocratica, costretta a una difensiva difficile e inconcludente.
Difficile e inconcludente perché incapace di elaborare una cultura politica all’altezza di sfide che non era ed è preparata ad affrontare. Essa sopravvive come può, leva una “grande lamentazione” contro l’inesorabile avanzare delle diseguaglianze abissali in crescita esponenziale tra i pochi grandi ricchi, coloro che stentano a campare e i tanti poveri e poverissimi, ma non riesce a coordinare le proprie forze a livello internazionale, si affanna a difendere i resti di quel welfare la cui conquista era stata la sua gloria.
Marx una cosa davvero giusta l’aveva detta: che gli ideali si misurano dalla capacità di metterli in pratica. Orbene, la sinistra odierna è corrosa da questo contrasto: mentre è indotta dalle mostruose diseguaglianze alla grande lamentazione in nome di un umano egualitarismo, non riesce più ad incidere, se non debolmente, sui meccanismi di potere che lo contrastano. L’inevitabile domanda è se essa sarà in grado di risalire la china che sta trascinandola verso una crisi profonda.
Di fronte alle enormi ingiustizie contro i diritti degli strati più deboli, una serie di eminenti filosofi politici e intellettuali — mi limito a citare, oltre a Bobbio, Michael Walzer, Tony Judt, Colin Crouch — hanno insistito a ricordare le conquiste della socialdemocrazia nel Novecento e ad affermare di non vedere altro soggetto che possa invertire la rotta segnata dal neoliberismo trionfante. Così si carica la socialdemocrazia di un compito tanto pesante quanto nobile. Resta il fatto che la critica al mondo che genera le diseguaglianze è una premessa di per sé incapace di produrre il fare.
Questo appare, dunque, lo stato delle cose: la sinistra è gravemente malata e non può illudersi di vivere di protesta ideale. Cercare di vedere la situazione costituisce la necessaria premessa per qualsiasi passo in controtendenza. Vedremo se essa saprà ridarsi una cultura, un programma, una nuova organizzazione. Per ora, purtroppo, non se ne intravedono i segni.
Un’ultima considerazione. In Italia dove sta la sinistra? In casa di Renzi, di Landini, di Vendola?
Per ora nessuno lo ha spiegato in maniera comprensibile. Cerchino di farlo se ne sono all’altezza, così i cittadini potranno capire e regolarsi di conseguenza. Tutta la storia italiana è piena di sinistra, sempre boriosa, che nei momenti cruciali ha perduto la partita. Provino i Renzi, i Landini, i Vendola a mettere insieme le loro idee, i loro programmi in paginette ben scritte. È una questione di responsabilità politica. Vederli un giorno sì e un giorno no gridare dagli schermi televisivi: sinistra, sinistra, la mia è la sola vera sinistra stanca, delude e allontana.

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