martedì 21 aprile 2015

Non avrai altra Memoria. E per legge, tra l'altro

Una memoria condivisa in cerca di autori 

Incontri. Un convegno internazionale a Milano sul "Giorno della memoria" 

Alessandro Santagata, il Manifesto 14.4.2015 

Unica ricor­renza osser­vata da tutti i paesi dell’Unione, il Giorno della memo­ria ha assunto ormai un ruolo cen­trale nella costru­zione dell’Europa unita. Nell’epilogo del suo grande affre­sco sul Dopo­guerra, Tony Judt scrive che il rico­no­sci­mento dell’Olocausto è diven­tato nei primi anni Due­mila il biglietto d’ingresso nell’Unione. La cele­bra­zione della Shoah può essere con­si­de­rata oggi un rito fon­da­tivo della reli­gione civile euro­pea: con tutti i pro­blemi di «uni­ver­sa­liz­za­zione» in chiave mora­li­stica e asto­rica e di uso poli­tico della memo­ria che tale ritua­liz­za­zione ha por­tato con sé. 
Delle pro­ble­ma­ti­che con­nesse alla com­mo­ra­zione del 27 gen­naio (giorno della libe­ra­zione di Ausch­witz) e delle altre gior­nate isti­tuite nei sin­goli paesi, si occupa il con­ve­gno inter­na­zio­nale «Le Gior­nate della Memo­ria della Shoah nell’Ue» in corso a Milano da ieri presso il Memo­riale della Shoah. Il con­ve­gno – pro­mosso dalla Fon­da­zione Memo­riale e dal Cen­tro di Docu­men­ta­zione Ebraica Con­tem­po­ra­nea e curato da Guri Sch­warz (sto­rico dell’Università di Pisa) – vedrà la par­te­ci­pa­zione di un nutrito gruppo di stu­diosi inter­na­zio­nali chia­mati a inter­ro­garsi sulla fun­zione della memo­ria dell’Olocausto nell’Europa di oggi, sulle dina­mi­che che hanno por­tato a modi­fi­care i calen­dari nazio­nali e sulle rela­zioni tra la memo­ria dello ster­mi­nio ebraico e altre nar­ra­zioni nazionali. 
L’obiettivo è fare il bilan­cio su circa un decen­nio di tale pra­tica com­me­mo­ra­tiva, tanto dal punto di vista sto­rico, quanto da quello socio­lo­gico e poli­tico. È legit­timo aspet­tarsi che dal con­fronto tra i diversi casi nazio­nali emer­ge­ranno le diver­sità d’impostazione che deri­vano anche dalle vicende del dopo­guerra: il déca­lage nell’ammissione delle respon­sa­bi­lità della Shoah; l’equiparazione nei Paesi dell’Est Europa dei cri­mini del comu­ni­smo allo ster­mi­nio degli ebrei; i ten­ta­tivi di stru­men­ta­liz­za­zione della memo­ria in occa­sione dei con­flitti nei Balcani. 
Sarà impor­tante che dai lavori sca­tu­ri­sca una visione di insieme dei pro­blemi che possa con­tri­buire ad innal­zare anche il dibat­tito poli­tico e a smon­tare alcuni mec­ca­ni­smi. Del resto, ricor­dava Judt: «a dif­fe­renza della memo­ria, che si con­ferma e si rin­forza, la sto­ria con­tri­bui­sce al disin­canto del mondo. L’essenziale di ciò che può offrire è tal­volta desta­bi­liz­zante e anche per que­sto non è mai pru­dente uti­liz­zare il pas­sato come un ran­dello morale per rim­pro­ve­rare un popolo dei suoi peccati».



Shoah, una memoria continentale in cerca di condivisione 
Intervista. Un'intervista con lo storico Guri Schwarz. Dalla conferenza di Stoccolma alla scelta istituzionale della «Giornata della memoria». Un convegno internazionale a Milano

Alessandro Santagata, il Manifesto 14.4.2015 

Guri Sch­warz è un gio­vane sto­rico che da sem­pre ha con­cen­trato la sua atti­vità di ricerca sul rap­porto tra la memo­ria della Shoah e la memo­ria col­let­tiva sul dasci­smo, il nazi­smo e la seconda guerra mon­diale. Autore di nume­rosi saggi, ta i quali i After Mus­so­lini: Jewish Life and Jewish Memo­ries in Post-Fascist Italy (Val­len­tine Mit­chell), Tu mi devi sep­pl­lir. Riti fune­bri e culto nazio­nale alle ori­gini della repub­blica (Utet), non­che cura­tore dell’edizione dei diari di Ema­nuele Artom Diari di un par­ti­giano ebreo. Gen­naio 1940 – Feb­braio 1944 (Bol­lati Borin­ghieri). Ha scritto anche il sag­gio Atten­tato alla sina­goga. Roma, 9 otto­bre 1982. Il con­flitto israelo-palestinese e l’Italia (Viella). 

Que­sto di Milano è il primo con­ve­gno euro­peo dedi­cato a un decen­nio di Gior­nate della memo­ria. Da dove è venuta que­sta esigenza? 

L’idea del con­ve­gno nasce da una con­sta­ta­zione e da una domanda. Da una lato, la memo­ria della Shoah è uno dei pochi rife­ri­menti storico-simbolici con­di­visi dai paesi dell’Ue e uno dei pochi temi su cui l’Unione si è mossa con deci­sione per pro­muo­vere qual­cosa che asso­mi­gli a una «reli­gione civile». Dall’altro, man­cano ancora ana­lisi ade­guate di tipo trans­na­zio­nale per fare un bilan­cio delle ini­zia­tive della memo­ria: per leg­gerle cioè sia den­tro le spe­ci­fi­cità nazio­nali sia all’interno di un qua­dro pro­pria­mente euro­peo. Eppure, que­sto è un tema euro­peo, lo è sto­ri­ca­mente, poli­ti­ca­mente e isti­tu­zio­nal­mente. Le tre dimen­sioni sono al cen­tro del con­ve­gno, che intende ana­liz­zare tale com­ples­sità pre­sen­tando diversi casi nazio­nali: dai paesi fon­da­tori a quelli di più recente ingresso nell’Unione. 

É con­vin­zione dif­fusa che nel dopo­guerra la memo­ria dello ster­mi­nio abbia fati­cato a tro­vare riscon­tro nelle società euro­pee, anche nel campo dell’antifascismo: basti pen­sare alle com­plesse sorti edi­to­riali di «Se que­sto è un uomo», rifiu­tato da Einaudi in prima bat­tuta. Come spiega que­sto fenomeno? 

Il caso Primo Levi non è emble­ma­tico e diversi studi recenti hanno con­te­stato quello che è chia­mato il «mito del silen­zio». Ciò che è cam­biato, soprat­tutto dalla fine degli anni Set­tanta, sono il modo in cui lo ster­mi­nio veniva letto e il signi­fi­cato che gli veniva attri­buito. Per alcuni decenni, a domi­nare le nar­ra­zioni col­let­tive sono state reto­ri­che di tipo reden­tivo che cele­bra­vano la lotta al fasci­smo e al nazi­smo. L’enfasi fu posta dun­que sul valore rige­ne­rante della Resi­stenza. La tra­ge­dia ebraica non veniva rimossa, ma il dramma delle vit­time inno­centi – per­se­gui­tate per via di una clas­si­fi­ca­zione raz­ziale – assu­meva una valenza che pos­siamo dire secondaria. 

Suc­ces­si­va­mente, si è con­su­mata una crisi della poli­tica e della mili­tanza che ha finito con lo svuo­tare e impo­ve­rire le nar­ra­zioni di tipo patriot­tico e anti­fa­sci­sta. Con la crisi della poli­tica, che va letta innan­zi­tutto come crisi dell’idea di pro­gresso e di rivo­lu­zione, ha preso piede un altro tipo di sen­si­bi­lità. In quel nuovo qua­dro la figura del per­se­gui­tato raz­ziale – vit­tima «pura» – ha acqui­sito cre­scente visi­bi­lità e rilievo. 

Un momento di pas­sag­gio è stata la caduta dell’Unione sovie­tica. Perché? 

Sicu­ra­mente la fine della guerra fredda rap­pre­senta una svolta di enorme por­tata sim­bo­lica e sto­rica. In qual­che modo acce­lera ed esa­spera una ten­denza al disin­canto già pre­sente e in corso di matu­ra­zione da tempo. Poi ci sono anche altri fat­tori: la riu­ni­fi­ca­zione tede­sca, per esem­pio. Pro­prio nella fase in cui la nuova Ger­ma­nia si pre­sen­tava come potenza domi­nante in Europa, il tema della Shoah, che è poi una decli­na­zione del tema della «colpa» tede­sca, acqui­siva una forza cre­scente. All’interno del mondo poli­tico e cul­tu­rale tede­sco il dibat­tito sulle respon­sa­bi­lità del pas­sato è stato intenso e vivace: il pas­sato come ine­vi­ta­bile spec­chio e spet­tro per il presente. 

Arri­viamo alla con­fe­renza inter­na­zio­nale di Stoc­colma del 2000 e all’istituzione delle gior­nate di com­me­mo­ra­zione (Fran­cia nel 1993, Ger­ma­nia nel 1996, e poi dal 2000 in avanti negli altri paesi dell’UE). Quale è stato il ruolo di quell’evento? 

La con­fe­renza di Stoc­colma ha costi­tuito una tappa fon­da­men­tale del pro­cesso di isti­tu­zio­na­liz­za­zione della memo­ria della Shoah. È stata il punto di arrivo di pro­cessi di più lunga durata e la rispo­sta poli­tica ad alcune con­tin­genze. In primo luogo, c’era lo spet­tro della guerra civile Jugo­slava che aveva por­tato sulla scena la que­stione della puli­zia etnica; poi c’era stata l’ondata d’inchieste sui pro­cessi di resti­tu­zione dei beni dei per­se­gui­tati raz­ziali durante la seconda guerra mon­diale. Quelle ricer­che rispon­de­vano all’esigenza di fare chia­rezza al biso­gno di argi­nare alcune azioni legali avviate negli Usa. 

In que­sto sce­na­rio, nel 1998 il governo sve­dese pro­muove la nascita di un ente di coor­di­na­mento inter­go­ver­naivo per la memo­ria e l’educazione e la suc­ces­siva con­fe­renza inter­go­ver­na­tiva di Stoc­colma. Poco dopo il Par­la­mento Euro­peo riprende gli auspici emersi nella con­fe­renza e rilan­cia con una riso­lu­zione l’idea di una gior­nata della memo­ria, indi­cando la data del 27 gen­naio, inco­rag­giando tutti i paesi ad adot­tare ini­zia­tive in tal senso. Da quel momento in poi è stato chiaro che l’introduzione di tale ricor­renza diven­tava uno dei «biglietti d’ingresso» nell’Ue. 

Come variano i modi adot­tati dai diversi paesi euro­pei nella gestione della memo­ria dell’Olocausto? 

Ine­vi­ta­bil­mente, al di là delle spinte all’uniformazione, le dif­fe­renze nazio­nali ci sono. Alcuni paesi hanno adot­tato date diverse dal 27 gen­naio e cia­scuno ride­clina quella memo­ria rispetto alla pro­pria sto­ria e alle dina­mi­che interne. Nel caso Ita­liano la nor­ma­tiva pre­vede che sia ricor­data la per­se­cu­zione anti­e­braica, ma anche la depor­ta­zione poli­tica e quella dei mili­tari. In Ger­ma­nia si parla più in gene­rale dei cri­mini del nazi­smo, in Fran­cia l’enfasi è solo ed esclu­si­va­mente sulla Shoah. A ciò si aggiunga che – con la rile­vante ecce­zione fran­cese – l’introduzione della ricor­renza non ha sti­mo­lato una piena presa di coscienza e un con­fronto sin­cero con quel pas­sato. L’Italia, per esem­pio, non ha ancora visto i suoi mas­simi rap­pre­sen­tanti isti­tu­zio­nali assu­mersi la respon­sa­bi­lità della cam­pa­gna raz­ziale fasci­sta e per la coo­pe­ra­zione attiva alle depor­ta­zioni. Nei paesi dell’Est Europa poi la que­stione è ancora più com­plessa. Lì il con­fronto con i cri­mini nazi­sti è reso ancor più pro­ble­ma­tico dall’esigenza di fare i conti con quelli del comunismo. 

Dal pro­gramma dei lavori del con­ve­gno mila­nese emerge un certa cri­ti­cità nei con­fronti dell’impostazione attuale del «Giorno della memo­ria» da parte dell’Unione euro­pea. Come è pos­si­bile per­pe­tuare il ricordo senza cadere nelle trap­pole della poli­tica della commemorazione? 

Sto­ri­ciz­zare signi­fica per forza di cose demi­sti­fi­care e que­sto com­porta ine­vi­ta­bili con­si­de­ra­zioni cri­ti­che sulle reto­ri­che e i rituali della com­me­mo­ra­zione in oggetto. In un sag­gio del 2009 che meri­te­rebbe di essere tra­dotto, il socio­logo Jef­frey Ale­xan­der ha osser­vato come intorno alla memo­ria Shoah si declini il fon­da­mento morale dell’Occidente. Essa cioè diviene un punto di rife­ri­mento per la difesa dei diritti umani, per la lotta con­tro puli­zie etni­che e nuovi geno­cidi, o un vei­colo per un’educazione all’antirazzismo. Non sem­pre però i risul­tati cor­ri­spon­dono alle inten­zioni: alcuni hanno osser­vato che l’ipertrofia delle reto­ri­che com­me­mo­ra­tive può pro­durre un senso di rifiuto, un effetto boo­me­rang. Nono­stante la cele­bra­zione del 27 gen­naio, i sen­ti­menti raz­zi­sti e la paura del diverso non sono calati, anzi assi­stiamo in tutta l’Ue a una cre­scita delle destre nazio­na­li­ste e intol­le­ranti. Anche per que­sto vale la pena riflet­tere sulle poli­ti­che della memo­ria intra­prese fino a ora. Dob­biamo ragio­nare lai­ca­mente su que­sti temi, senza timori e preclusioni.

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