Una guerra d’armi e idee
Visioni del mondo e tecniche moderne al centro della lotta dal 1939 al 1945
di Antonio Carioti Corriere 22.4.15
Ancora più catastrofica della Prima, la Seconda guerra mondiale ebbe
però l’effetto di dare per quasi mezzo secolo alle relazioni
internazionali quell’assetto stabile che l’esito del conflitto
precedente non aveva prodotto. Lo fa notare lo storico Giovanni
Sabbatucci, uno dei consulenti che hanno collaborato alla realizzazione
dei dvd da domani in edicola con il «Corriere» e la «Gazzetta», prodotti
da Rai Storia in collaborazione con Rai Teche e Rai Com.
«Se guardiamo la carta geografica — nota Sabbatucci —, le conseguenze
del primo conflitto mondiale sono più appariscenti, perché constatiamo
la scomparsa di quattro imperi e la nascita di molti Stati nuovi
nell’Europa centro-orientale. Invece il secondo ha un effetto molto
importante, ma di minore rilievo: l’amputazione della Germania a est,
con il conseguente slittamento della Polonia verso ovest e la forte
espansione dell’Unione Sovietica. Ma sul piano geopolitico la svolta è
più radicale. Dopo il 1918 i maggiori Stati nazionali del Vecchio
continente potevano continuare a illudersi di essere al centro del mondo
e di riuscire ancora a governarlo attraverso un concerto di potenze.
Dopo il 1945 non è più così».
S’impone infatti un nuovo sistema bipolare: «L’Europa non solo è
tramontata come fulcro degli equilibri globali, ma è spaccata in due.
Non sono più protagoniste le potenze di un tempo, Stati nazionali con
capacità di egemonia limitate. Restano in gioco soltanto due
superpotenze, Usa e Urss, che non sono propriamente Stati nazionali, ma
hanno dimensioni continentali e ambizioni di dominio su scala mondiale».
La grande conflagrazione innescata dalla crisi di Danzica determina
mutamenti altrettanto profondi sul piano militare, perché dalla guerra
di trincea si passa a quella di movimento. Ne spiega le ragioni un altro
consulente della collana, Nicola Labanca, autore del capitolo dedicato
all’Italia del volume sulla Seconda guerra mondiale The Oxford
Illustrated History of World War Two , appena uscito a cura di Richard
Overy: «Fondamentale è il progresso tecnologico dell’aviazione e delle
forze corazzate. Gli aerei del 1939 hanno tutti la carlinga in metallo e
con i loro potenti motori sono capaci di prestazioni ben superiori a
quelle dei velivoli in servizio nel primo conflitto mondiale. I carri
armati, che nel 1918 avevano fatto una prima limitata apparizione, senza
sortire grandi risultati, sono diventati lo strumento fondamentale
della guerra terrestre. Come gli aerei sono protagonisti della battaglia
d’Inghilterra, che permette al Regno Unito di resistere alla potenza
dilagante del Terzo Reich, allo stesso modo i carri armati sono decisivi
nelle pianure russe, in particolare a Kursk, nel luglio del 1943,
quando l’ultimo tentativo tedesco di riprendere l’iniziativa sul fronte
orientale viene stroncato dalle forze corazzate sovietiche. E non
dimentichiamo la guerra aeronavale, che caratterizza lo scontro nel
Pacifico tra Stati Uniti e Giappone».
Non solo c’è un abisso rispetto al primo conflitto mondiale, prosegue
Labanca, ma «straordinari sono i mutamenti tecnologici che si registrano
nel corso delle ostilità. Se quando la Seconda guerra mondiale comincia
assistiamo ancora alle cariche romantiche e disperate della cavalleria
polacca, a chiuderla sono i bombardamenti atomici. Si apre una nuova
era, con l’avvento di armi talmente distruttive da minacciare
l’esistenza stessa del genere umano».
Si manifesta però anche un altro fattore, di segno diverso. «La grandi
occupazioni territoriali — ricorda Labanca — e il forte tasso ideologico
del conflitto determinano la nascita e la diffusione della lotta
partigiana, presente con maggiore o minore intensità in tutti i Paesi
sottoposti al dominio nazifascista. I combattenti delle varie resistenze
europee agiscono in genere con mezzi piuttosto rudimentali, ma il
logoramento che infliggono al nemico non è trascurabile: siamo di fronte
alle premesse di quanto avverrà in seguito ad opera dei movimenti
anticoloniali nel Terzo mondo, i cui successi dimostreranno che non
sempre la superiorità tecnologica determina l’esito di una guerra».
Sull’importanza del fattore ideologico nel corso della Seconda guerra
mondiale insiste anche Sabbatucci: «Già tra il 1914 e il 1918 si era
parlato di scontro tra civiltà diverse, portatrici di culture opposte. E
dopo il 1917 (uscita di scena la Russia zarista ed entrati in guerra
gli Stati Uniti) l’Intesa aveva potuto presentarsi come un’alleanza
delle democrazie contrapposta agli imperi autoritari. Ma nel secondo
conflitto mondiale si va ben oltre: si fronteggiano visioni del mondo
alternative e inconciliabili. Ciò è particolarmente evidente per quanto
riguarda gli Stati totalitari, come la Germania nazista e l’Urss
comunista, che si scontrano in una lotta senza quartiere, finalizzata
all’annientamento del nemico. Ma anche le democrazie danno al loro
impegno bellico un forte contenuto ideale, pur con le difficoltà dovute
alla necessità di unire i propri sforzi a quelli del dittatore Stalin.
In questo caso è l’antifascismo che fa da collante provvisorio a una
coalizione destinata a dissolversi piuttosto rapidamente dopo la
conclusione della guerra».
A tal proposito, osserva Sabbatucci, è emblematica la vicenda
dell’Italia: «Il nostro Paese comincia la guerra come una potenza
totalitaria, che mira a imporre la sua visione del mondo. Più avanti
però la sconfitta militare e un duplice collasso, prima del regime
fascista e poi dello Stato in quanto tale, trasformano l’Italia non solo
in terreno di battaglia tra potenze straniere, ma in teatro di una
guerra civile su basi ideologiche, in cui si affrontano modi opposti
d’intendere il futuro della nazione».
La guerra civile, nota Labanca, significa in larga misura anche guerra
contro i civili: «Mentre nel primo conflitto mondiale la grande
maggioranza delle perdite si registra tra i militari, nel secondo le
vittime civili superano quelle in divisa. Anche qui gioca un ruolo di
primo piano l’elemento ideologico insito soprattutto nella strategia
tedesca. Il Terzo Reich ha un progetto di ristrutturazione non solo
politica, ma anche demografica dell’Europa, vuole mutarne il volto
secondo criteri di natura razziale: da qui deriva la violenza inaudita
della repressione contro le popolazioni ritenute inferiori o nocive, che
trova il suo sbocco più orribile e feroce nello sterminio degli ebrei».
Fallito quel disegno criminale, abbiamo avuto la divisione dell’Europa
in due blocchi e un lungo dopoguerra, nel quale la situazione è apparsa
congelata. Ora però, sottolinea Sabbatucci, quella fase si è conclusa:
«L’eredità della Seconda guerra mondiale è definitivamente alle nostre
spalle. Ma è difficile capire quale sia la data caratterizzante del
nuovo periodo storico che stiamo vivendo. In un primo tempo tutti
abbiamo creduto che fosse il 1989, con la fine dell’impero sovietico e
la conseguente diffusione della democrazia. Ma c’è da temere che più
importante si riveli a lungo andare il 2001 dell’attacco alle Torri
gemelle, cioè il momento in cui si è manifestata nel modo più
spettacolare una nuova minaccia, quella del fondamentalismo religioso
islamico, che ha gravemente accresciuto il livello d’instabilità non
solo nella regione mediorientale, ma nel mondo intero».
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