Johnny Riotta verso il Pulitzer dell'infamia: "gli States sono caduti nella trappola dei guerriglieri comunisti che si facevano scudo dei civili" [SGA].
Nick Turse:
Così era il Vietnam, Piemme
Risvolto
A quarant'anni di
distanza dalla caduta di Saigon, la posizione dell'esercito americano
sui presunti abusi compiuti dai militari è di negazione. Episodi come
quello di My Lai, dove in poche ore vennero uccisi 500 civili, sono
considerati casi isolati. Peccato che le cose non stiano così: si
trattava di un sistema calato dall'alto, basato sul bodycount. I premi
dei soldati dipendevano dal numero di cadaveri, come in un videogioco.
Spara a tutto ciò che si muove: questo era l'ordine prima di
un'operazione. Con un'indagine scrupolosa, Turse denuncia la
sistematicità della violenza in Vietnam, autorizzata dagli alti
ufficiali. I civili vietnamiti non avevano scampo contro le
mitragliatrici degli elicotteri, gli stupri, il napalm. Turse ne ha
trovati a decine di colpevoli. Quasi tutti l'hanno fatta franca. È così
che quei fantasmi sono ricomparsi in tutte le guerre che l'America ha
intrapreso. E quando qualcuno grida alla barbarie dei terroristi, deve
gridare più forte delle voci delle vittime innocenti del Vietnam.
Guerra del Vietnam, la strage era la regola
A
40 anni dalla fine del conflitto, un giovane giornalista americano
indaga sulle verità rimosse: My Lai non è stata un’eccezione, gli States
sono caduti nella trappola dei guerriglieri comunisti che si facevano
scudo dei civili
di Gianni Riotta La Stampa 13.4.15
Narrando dell’assedio a Dien Bien Phu, cittadella a Nord del Vietnam
dove nel 1954 i paracadutisti francesi cedono all’assedio del generale
Giap, Bernard Fall - grande autore dimenticato del XX secolo - si
commuove per la crudeltà dei combattimenti. I vietnamiti vincitori
sgombrano il campo fortificato e, per far strada ai superstiti, un
ufficiale di Hanoi ordina: «Ci sono mine dappertutto, camminate solo sui
cadaveri». Vedendo un francese esitare nella macabra marcia, lo incalza
urlando. Il paracadutista gli indica il vietnamita in agonia su cui
dovrebbe camminare, l’ufficiale Vietminh non si impressiona, «Saligli
addosso, fa il suo dovere per la Patria».
Guerriglia asimmetrica
Guerra di nazionalisti contro i colonialisti, giapponesi e francesi, poi
ideologica tra comunisti di Ho Chi Minh e americani preoccupati
dall’effetto domino che avrebbe sconvolto la Guerra fredda, il conflitto
in Vietnam 1941-1975 occupa nella coscienza del XX secolo una parte più
cospicua rispetto alle sue modeste dimensioni storiche. Prima sconfitta
americana, trionfo della guerriglia asimmetrica, perfetta campagna di
propaganda politica con gli studenti occidentali a solidarizzare con i
vietcong, la tragedia, due milioni di morti vietnamiti, 76.000 francesi e
58.000 americani, genera infiniti film, saggi, romanzi, documentari -
ultimi The fog of war di Errol Morris e The last days of Vietnam di Rory
Kennedy. Ora Piemme traduce Così era il Vietnam del giovane
giornalista, laureato alla Columbia University, Nick Turse, pubblicato
negli Usa nel 2013.
La tesi di Turse, documentata da una ricerca in archivi a lungo
riservati, è che le atrocità dei militari americani contro la
popolazione civile siano state assai più diffuse di quanto la storia
corrente non abbia assunto, messaggio feroce «Sparate contro tutto quel
che si muove» che semina morte negli hamlet, i villaggi rurali dove la
popolazione coltiva il riso, pascola i bufali d’acqua secondo tradizioni
antiche e modeste.
Prove soppresse
La strage di My Lai, località della provincia di Quang Ngai dove nel
1968 gli uomini di un battaglione della XXIII divisione Usa «Americal»,
agli ordini del tenente William Calley, uccisero fra 300 e 500 civili
inermi, non sarebbe stata dunque - secondo Turse - eccezione drammatica,
ma regola di battaglia. E la sorte di Calley, il solo condannato da una
corte marziale, ergastolo ridotto a tre anni, conferma come stato
maggiore Usa e Casa Bianca non intendessero perseguire i crimini di
guerra.
Turse accusa in particolare il ministro della Difesa Melvin Laird e il
ministro dell’Esercito Stanley Resor di aver soppresso le prove delle
atrocità, forzato giornali e tv a occultare le prove, ignorando i reduci
testimoni delle barbarie. Il giornalista fatica negli archivi e un
bibliotecario gli confessa che è il primo a studiare l’intero dossier e
intervistare i veterani.
Tipica operazione di terra bruciata è la campagna Speedy Express,
condotta tra il dicembre 1968 e il maggio 1969 dalla Nona divisione di
fanteria del generale Ewell nello strategico delta del fiume Mekong,
dove i vietcong, i guerriglieri vietnamiti, si infiltravano per raid
contro americani e truppe del Sud Vietnam. Ewell stesso conta in
diecimila i morti nemici, di cui almeno la metà civili, contro 242
caduti americani.
Per convincere una riluttante opinione pubblica che «Stiamo vincendo la
guerra», la catena di comando civile e militare a Washington insiste
nella perdente, sanguinosa tattica del «body count», contare i caduti
nemici uno per uno, e dedurre dal loro numero crescente la presunta
debolezza dei comunisti di Hanoi, piegandoli infine al negoziato
diplomatico.
Nella cupa ragioneria finiscono però anche vecchi braccianti, donne
intente a bollire il riso, bambini colti a giocare nel luogo sbagliato.
Turse si indigna perché, a parte la leggera condanna al tenente Calley,
non c’è un rinvio a giudizio per gli ufficiali coinvolti - a lungo il
Tribunale Russell li rivendica - e quando i reporter del settimanale
Newsweek Shimkin e Buckley stendono un reportage che inchioda il
generale Ewell alle sue responsabilità, in redazione annacquano la
denuncia e l’ufficiale, promosso, partecipa alla trattativa di pace di
Parigi.
Esami di coscienza
Toccava alla Criminal Investigation Division dell’Esercito indagare sui
colpevoli delle stragi, ma il ministro Laird e i suoi collaboratori
prevengono ogni rivelazione seria.
Autore dell’ultima generazione (è nato nel 1975), Nick Turse lascia
dedurre dall’inchiesta sulle stragi di civili in Vietnam nata sulla
rivista di sinistra The Nation una requisitoria contro le guerre del XXI
secolo, in Iraq e Afghanistan. L’America vive di questi esami di
coscienza periodici e dolorosi, rarissimi invece in altre culture, dalla
Russia in Cecenia e Afghanistan, alla Francia in Algeria e Vietnam,
all’Italia in Libia, Etiopia, nei Balcani. In Vietnam la guerriglia
comunista si faceva scudo dei civili senza scrupolo alcuno,
sacrificandoli con i militari alla vittoria finale. La «terra bruciata»
Usa cade nella trappola, e il risultato sono morti, sofferenze, la
sconfitta umiliante americana di 40 anni fa in questi giorni e, per i
vietnamiti, dittatura e povertà che durano ancor oggi.
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