mercoledì 22 aprile 2015

Tradotto il carteggio tra Hannah Arendt e Kurt Blumenfeld


Hannah Arendt, Kurt Blumenfeld: Carteggio 1933-1963, Ombre Corte

Risvolto

Che cosa dobbiamo o vogliamo ancora sapere di Hannah Arendt, dopo anni di studi fondati su scritti editi e inediti? Dai diari e dai carteggi ci si attende il disvelamento dell'aspetto privato della vita di un pensatore o delle sue idee allo stato nascente. Nel caso di Hannah Arendt, ci si trova di fronte a qualcosa di più complesso, a sentieri interrotti del suo pensiero. Come se questioni vissute dal vivo incontrassero un limite insormontabile nella loro formulazione teorica e potessero venire espresse per illuminazioni, per esperimenti di pensiero, solo nel contesto di una relazione, come quello della lettera o dell'insegnamento.
Tutto questo si può dire anche per uno degli aspetti più controversi della vicenda intellettuale di Hannah Arendt, il suo rapporto con l'ebraismo, al centro del carteggio con Kurt Blumenfeld, amico e figura di grande rilievo nella maturazione del pensiero politico della filosofa tedesca. L'ebraicità di Hannah Arendt si gioca interamente sul confine tra vita e pensiero e per questo motivo i carteggi sono particolarmente adatti a metterne in luce i dilemmi esistenziali e intellettuali. Sono la viva testimonianza delle "amicizie politiche" che nutrirono la sua vita e il suo pensiero, e nelle quali essa diede prova di grande maestria, e insieme di una drammatica ambiguità. "Battute anacronistiche, aspri commenti, esagerazioni: il carteggio tra Hannah Arendt e Kurt Blumenfeld dovrebbe essere letto come antidoto ai tentativi di ridurre la grande pensatrice a un'icona che mette tutti d'accordo" (dall'Introduzione di Laura Boella).

Arendt e Blumenfeld. Lettere di un’amicizia politicada lavoroculturale.org 22 aprile 2015

Lettere a un amico di Hannah Arendt
di Francesca Bolino Repubblica 3.5.15
«KURT, ti voglio bene e vorrei trasformarmi subito nella piccola erba su di un piccione arrosto e andarmi a poggiare sul tuo palato...» così scriveva il 6 agosto 1952 Hannah Arendt a Kurt Blumenfeld, l’amico di una vita. Ma le lettere di 30 anni tra i due, sono molto più di uno sguardo sul privato della Arendt: al centro c’è il suo rapporto con l’ebraismo. Lei negli Usa, lui a Gerusalemme. Essere ebrea, scrive nell’introduzione Laura Boella, «fu per lei un vincolo di appartenenza, mai rifiutato, ma non identitario, che si tradusse nel compito critico di opporsi all’astrazione del popolo ebraico».
Irriducibile agli schemi, come lamenta Kurt: «Ogni volta che credevo di poterti prendere tra le mie fila, tu eri già lontana». 

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