Hannah Arendt, Kurt Blumenfeld: Carteggio 1933-1963, Ombre Corte
Risvolto
Che cosa dobbiamo o vogliamo ancora sapere di
Hannah Arendt, dopo anni di studi fondati su scritti editi e inediti?
Dai diari e dai carteggi ci si attende il disvelamento dell'aspetto
privato della vita di un pensatore o delle sue idee allo stato nascente.
Nel caso di Hannah Arendt, ci si trova di fronte a qualcosa di più
complesso, a sentieri interrotti del suo pensiero. Come se questioni
vissute dal vivo incontrassero un limite insormontabile nella loro
formulazione teorica e potessero venire espresse per illuminazioni, per
esperimenti di pensiero, solo nel contesto di una relazione, come quello
della lettera o dell'insegnamento.
Tutto questo si può dire anche per uno degli aspetti più controversi
della vicenda intellettuale di Hannah Arendt, il suo rapporto con
l'ebraismo, al centro del carteggio con Kurt Blumenfeld, amico e figura
di grande rilievo nella maturazione del pensiero politico della filosofa
tedesca. L'ebraicità di Hannah Arendt si gioca interamente sul confine
tra vita e pensiero e per questo motivo i carteggi sono particolarmente
adatti a metterne in luce i dilemmi esistenziali e intellettuali. Sono
la viva testimonianza delle "amicizie politiche" che nutrirono la sua
vita e il suo pensiero, e nelle quali essa diede prova di grande
maestria, e insieme di una drammatica ambiguità.
"Battute anacronistiche, aspri commenti, esagerazioni: il carteggio tra
Hannah Arendt e Kurt Blumenfeld dovrebbe essere letto come antidoto ai
tentativi di ridurre la grande pensatrice a un'icona che mette tutti
d'accordo" (dall'Introduzione di Laura Boella).
Arendt e Blumenfeld. Lettere di un’amicizia politicada lavoroculturale.org 22 aprile 2015
Lettere a un amico di Hannah Arendtdi Francesca Bolino Repubblica 3.5.15
«KURT, ti voglio bene e vorrei trasformarmi subito nella piccola erba su
di un piccione arrosto e andarmi a poggiare sul tuo palato...» così
scriveva il 6 agosto 1952 Hannah Arendt a Kurt Blumenfeld, l’amico di
una vita. Ma le lettere di 30 anni tra i due, sono molto più di uno
sguardo sul privato della Arendt: al centro c’è il suo rapporto con
l’ebraismo. Lei negli Usa, lui a Gerusalemme. Essere ebrea, scrive
nell’introduzione Laura Boella, «fu per lei un vincolo di appartenenza,
mai rifiutato, ma non identitario, che si tradusse nel compito critico
di opporsi all’astrazione del popolo ebraico».
Irriducibile agli schemi, come lamenta Kurt: «Ogni volta che credevo di poterti prendere tra le mie fila, tu eri già lontana».
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