lunedì 13 aprile 2015
Una storia mondiale delle biblioteche
James V. P. Campbell e Will Pryce: La Biblioteca. Una storia mondiale, Torino, Einaudi, pagg. 328, € 75,00
Risvolto
Le biblioteche non sono soltanto degli spazi
in cui si conservano e custodiscono libri. Nel corso dei secoli, i
progetti dei più grandi edifici destinati a questo scopo hanno voluto
esaltare il momento della lettura e l'importanza dell'apprendimento.
Indipendentemente dalla loro appartenenza a un singolo individuo, a
un'istituzione o perfino a un'intera nazione, le biblioteche sono
diventate simboli di cultura, luoghi di scambio e incontro, istituzioni
che preservano e tramandano il sapere. Questo libro intende esporre la
storia completa dell'evoluzione di tali edifici, dalle prime biblioteche
dell'antica Mesopotamia alle biblioteche perdute delle civiltà
classiche, dalle biblioteche monastiche del Medioevo a quelle sontuose
in stile rococò, fino ad arrivare alle biblioteche monumentali del mondo
moderno. Il volume, tra narrazione e ricerca fotografica, vuole sia
chiarire in che modo lo sviluppo delle biblioteche illustri il mutevole
rapporto del genere umano nei confronti della parola scritta, sia
dimostrare che le biblioteche, in tutto il mondo e in ogni epoca
storica, siano sempre state ben di più di meri depositi polverosi di
documenti, divenendo piuttosto simboli attivi di cultura e civiltà.
Archivi che fanno il futuro
Il volume di Campbell e Pryce (architetto e fotografo) spiega funzioni e possibili trasformazioni delle più belle biblioteche
di Matteo Motolese Il Sole Domenica 12.4.15
Per scrivere questo articolo sono andato, come molte mattine della mia
vita, alla Biblioteca Nazionale di Roma. La prima cosa che vedo, appena
arrivo per lasciare la borsa, è un avvertimento stampato su un foglio di
carta incollato con lo scotch sul bancone del guardaroba. Lo conosco
già senza leggerlo, perché è affisso lì da mesi e viene ripetuto
ossessivamente in ogni posto visibile della biblioteca. Avverte che,
secondo quanto stabilito dalla legge, la biblioteca non si configura
come biblioteca di pubblica lettura edunque è vietato portare libri
propri e fotocopie all'interno. Non è questo però il vero motivo
dell'avviso. La novità è che «fino a nuova disposizione, la norma
contemplata nel regolamento verrà rigorosamente applicata». Ci si chiede
se un avviso del genere, per come è formulato, sarebbe pensabile nella
biblioteca nazionale di un altro paese. Ma soprattutto ci si chiede il
motivo di tanta ostruzione al lettore, il motivo per il quale non lo si
vuole dentro. Perché viene qui a leggere anche libri propri? E allora? È
così grave?
Non si tratta di una scelta individuale, ovviamente, ma di un modello.
Se si vuole ragionare sul futuro delle biblioteche fisiche nel mondo
delle biblioteche digitali è da qui che bisogna partire. Dai modelli.
Dalle idee di biblioteca che, nel nostro paese, si sono avute negli
ultimi decenni. Luoghi di conservazione prima di tutto, di mantenimento
della memoria. Che è una cosa sacrosanta, intendiamoci, ma che mi pare
abbia progressivamente fatto marginalizzare un'idea forse altrettanto
importante, soprattutto nel cambiamento che stiamo vivendo: l’idea di
condivisione, di promozione, di rilancio, di potenziamento. Che è stata
delegata principalmente alle biblioteche minori mentre dovrebbe essere
affidata alle massime istituzioni del paese preposte alla gestione della
cultura scritta. Anche per questo ogni restrizione dei fondi, ogni
accorpamento e chiusura – nonostante le continue lamentele degli addetti
ai lavori – cade sostanzialmente nel vuoto. Non c’è, nella pubblica
opinione, l’idea che la biblioteca sia un moltiplicatore di cultura. E
invece un paese che investe su sé stesso, che punta ad aumentare la
condivisione di cultura scritta, dovrebbe usare le biblioteche come dei
simboli: riconoscibili, visibili, pronti ad accogliere.
Sono queste le riflessioni che suscita la lettura del libro, bellissimo,
La Biblioteca. Una storia mondiale di James V. P. Campbell e Will Pryce
(Einaudi). Il primo è uno storico dell’architettura; il secondo uno dei
più apprezzati fotografi internazionali. Insieme hanno viaggiato nel
mondo per descrivere ottantadue biblioteche in ventuno paesi.
Solo dieci anni fa l’idea di un libro del genere sarebbe stata puramente
accademica; oggi assume il fascino di un reportage su una pratica a
rischio estinzione, che occupa gli umani da millenni: conservare,
tramandare e condividere la loro produzione scritta. Potrei dedicare il
resto dell’articolo a riassumere il contenuto del libro. Dare conto dei
modi nei quali – nel corso dei secoli – si sono trovate soluzioni per
combattere nemici dei libri come muffe, animali, ladri: creando correnti
d’aria, allevando piccoli predatori d’insetti, incatenando i volumi.
Oppure come la trasformazione di banchi e scaffali racconti l’evoluzione
delle modalità di lettura. O ancora come – ma sarebbe masochismo – le
ultime biblioteche italiane degne di essere fotografate nel pantheon
tracciato dal libro siano sei-settecentesche (due gemme romane:
Casanatense e Angelica). Mi pare più interessante però spostare
l’attenzione sulle biblioteche costruite quando era già chiara la
mutazione in atto. Perché infatti uno stato dovrebbe investire enormi
somme per costruire edifici che, tra un paio di generazioni, potrebbero
perdere di senso?
Sono descritte nell’ultimo capitolo e sono state costruite dal 2001 a
oggi in Europa (Paesi Bassi, Germania, Regno Unito), Asia (Giappone,
Cina), America del Sud (Messico). Per quanto diverse, sono accomunate
dall'idea di un'osmosi profonda tra l’atto singolo della lettura e il
ruolo sociale della condivisione. Luoghi ben riconoscibili in cui i
linguaggi si mischiano, come la nuova biblioteca multimediale a Cottbus,
ex Germania dell’Est, che di notte si illumina come una lanterna. Con
spazi pensati non solo per la lettura ma anche per lo scambio di idee.
Edifici in cui la conservazione – sempre più complessa: oggi si pubblica
più carta di ieri – è unita alla facilità di accesso e alla bellezza
degli ambienti. È chiaro infatti che la biblioteca, in futuro, non potrà
più essere solo il luogo in cui andare a leggere qualcosa che non si
potrebbe trovare altrove. Anche oggetti unici, come i manoscritti, sono
spesso ormai consultabili in digitale da casa (in Italia ci sono ottimi
esempi in tal senso). Ma dovranno essere sempre di più luoghi di
scambio, di lavoro, di accesso ai molti canali attraverso i quali viene
veicolata la cultura di gruppi più o meno ampi di persone. Sarebbe bello
che questo passasse attraverso forti interventi nel sistema delle
nostre biblioteche, a partire da quelle nazionali, per trasformarle
sempre più in piazze che attraggano chi è fuori: luoghi in cui
valorizzare in modo visibile quell’atto comune e fondamentale in ogni
società che non è solo il leggere ma il pensare.
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