giovedì 21 maggio 2015
Adolescenza liquida: Bauman a Gorizia
Perché i ragazzi dell’era social ribaltano le paure dei padri Per chi appartiene alle nuove generazioni ogni scelta è una rinuncia alle scelte future
di Zygmunt Bauman Repubblica 21.5.15
IL FESTIVAL
Questo
testo è un estratto della lectio che Zygmunt Bauman (foto) terrà domani
alle 18 al Festival èStoria di Gorizia, in corso da oggi a domenica
Sabato alle 17,30 Roberto Saviano riceve il premio Friuladria 2015
TRA
i buoni motivi per interpretare l’avvento dell’era moderna come una
trasformazione promossa soprattutto dagli interessi della classe media
(o per riprendere la terminologia di Marx, come una “rivoluzione
borghese” vittoriosa) appaiono preponderanti il timore ossessivo, tipico
del ceto medio, della fragilità dello status sociale, e gli sforzi tesi
a difenderlo e a stabilizzarlo. Nel delineare il profilo di una società
esente da infelicità, i progetti utopistici che abbondavano all’inizio
dell’era moderna riflettevano soprattutto i sogni e i desideri della
classe media; ritraevano una società purificata dalle incertezze, e
soprattutto dalle ambiguità e dalle insicurezze legate alla posizione
sociale, nonché dai diritti e dai doveri che quella posizione portava
con sé.
Per quanto quei progetti potessero essere diversi l’uno
dall’altro, erano concordi all’unanimità nello scegliere la durata, la
solidità, l’assenza di cambiamento come premesse essenziali di una
società “buona” e della felicità umana. I progetti utopistici
immaginavano soprattutto la fine dell’incertezza e dell’insicurezza: in
altre parole promettevano un assetto sociale assolutamente prevedibile.
La società “buona” e persino la società “perfettamente buona” delle
utopie era una società che aveva risolto una volta per sempre tutte le
paure più tipiche del ceto medio. Si potrebbe dire che i ceti medi erano
l’avanguardia che, prima del resto della società, esplorava e faceva
esperienza delle principali contraddizioni dell’esistenza destinate, ce
lo si volesse o no, a diventare caratteristiche universali della vita
moderna: la tensione perenne fra due valori, la sicurezza e la libertà,
valori ugualmente desiderati e indispensabili per una vita appagante, ma
difficili da conciliare, da possedere e godere simultaneamente.
I
più giovani fra noi sono entrati in una società in cui la grande
maggioranza delle persone si trova a vivere nella condizione riservata
un tempo alle sole “classi medie”: a differenza delle classi alte (che
oggi si chiamano “élite globali”) e di quelle basse (ora definibili
“meno abbienti”), si trovano a dover scegliere non fra un’insufficiente
varietà bensì fra una sovrabbondanza di modelli. Con il terribile
rischio di sempre: scegliere un modello e dover rinunciare a molti altri
altrettanto interessanti. È il rischio di inciampare, scivolare,
cadere. Oggi l’ansia, e di conseguenza l’impazienza e la fretta dei
giovani, derivano da un lato dall’apparente abbondanza di scelte
possibili, dall’altro dal timore di fare una cattiva scelta, o di “non
fare la scelta migliore possibile”. In altre parole sono figlie del
terrore che una splendida opportunità sfugga quando c’è ancora tempo
(fuggente) per coglierla. A differenza di ciò che accadeva ai loro
genitori e ai loro nonni, educati durante la fase “solida” della
modernità, oggi non ci sono codici di comportamento durevoli o
autorevoli abbinabili alle scelte raccomandate, e tali da guidare il
giovane lungo un percorso sicuro dopo che ha fatto la sua scelta (o
accettato con obbedienza la scelta consigliata da altri). Il pensiero
che un passo intrapreso possa (solo possa) essere stato uno sbaglio, e
possa (solo possa) essere troppo tardi per contenere le perdite che ha
causato, e soprattutto troppo tardi per tornare indietro da quella
scelta infelice, continuerà a tormentarli per sempre: da qui dunque quel
loro risentimento per tutto ciò che è “a lungo termine”, che sia il
progetto della propria vita, o l’impegno nei confronti di altri esseri
umani.
Ciò che conta di più per i giovani, quindi, non è “definire
un’identità”, ma mantenere la propria capacità di ridefinirla quando è
(o si pensa che sia arrivato) il momento di darle una nuova definizione.
Se i nostri antenati si preoccupavano della loro identificazione, oggi
prevale l’ansia di reidentificazione. L’identità deve essere a perdere
perché un’identità che non piace, non piace abbastanza, o semplicemente
rivela la sua età rispetto a identità “nuove e migliori” disponibili sul
mercato, deve essere facile da abbandonare. Forse la qualità ideale
dell’identità più desiderata sarebbe la biodegradabilità.
Poiché le
opzioni disponibili non sono fondate su valori durevoli, incontestati e
riconosciuti autorevolmente, la valutazione delle scelte non può che
seguire le regole dei beni di consumo: l’identità scelta deve essere
“messa sul mercato” per “trovare il suo valore”. L’identità progettata
ed esibita che non trova e non crea una sua clientela è punita con
l’esclusione (il voto contrario, il pregiudizio, la persona è ignorata,
snobbata...), che è l’equivalente sociale del bidone dei rifiuti. I più
“talentuosi” sono quelli con più contatti, sia sui social network,
nonché sui loro blog personali che sono già più di settanta milioni e
diventano sempre più numerosi).
Laurie Ouellette, docente di scienza
delle comunicazioni e dei reality tv all’università del Minnesota,
afferma che «molti adolescenti sentono la forte esigenza di crearsi
un’identità allargata come le celebrities che vedono rappresentate nei
media nazionali », riconfermando un’opinione ampiamente condivisa dagli
esperti e dall’opinione pubblica in generale. “Identità allargata”
significa soprattutto una più ampia esposizione: più gente da guardare e
da cui essere guardati (utenti di internet/banda larga), un maggior
numero di appassionati di internet stimolati/eccitati/ divertiti da ciò
che vedono, e sollecitati al punto da voler condividere l’evento con i
loro contatti. Tutti sanno bene che la probabilità di diventare famosi
attraverso un blog personale è di poco superiore alla probabilità che
una palla di neve resista al caldo dell’inferno, ma tutti sanno anche
che la probabilità di vincere alla lotteria senza comperare un biglietto
è zero.
Possiamo forse criticare i giovani perché vivono di corsa,
inseguendo un’illusione? Non credo. Sono, proprio come noi, degli esseri
razionali e così, non diversamente dai loro predecessori fanno del
proprio meglio per reagire alle sfide sociali nel modo più ragionevole,
efficace e responsabile, e per trarre una strategia di vita ragionevole
dalla cornice sociale in cui vivono. Non hanno scelto loro (e tanto meno
creato) questa “modernità liquida” in cui nessuna rappresentazione di
se stessi, anche se di successo nell’immediato, è garantita a lungo
termine; in cui ciò che oggi è irrinunciabile, è destinato già domani o
dopodomani ad essere logoro. In altre parole, una condizione in cui
mantenere aggiornata l’immagine di se stessi è un compito da
ventiquattr’ore al giorno per sette giorni alla settimana.
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