Gli scaffali proibiti
Seduti sui libri. Precarizzate, svuotate di senso, snobbate dalla politica: sono le biblioteche pubbliche, luoghi di cultura e pensiero che rischiano di sparire. Una riflessione in attesa del Bibliopride, dal 22 al 24 maggio a Milano
Alessandra Pigliaru il Manifesto Pubblicato 21.5.2015, 0:05
Nel documento programmatico del 2011, Rilanciare le biblioteche pubbliche italiane, l’Aib – Associazione italiana biblioteche — indicava già alcuni punti di riflessione intorno al ridimensionamento della spesa pubblica e determinanti un abbassamento delle risorse e dei relativi servizi. L’elemento in discussione, allora e oggi, ha a che fare con il ripensamento delle biblioteche come servizi oltre che culturali anche sociali, così come succede nel resto dell’Europa. Essere bibliotecari e bibliotecarie è pertanto una professione intellettuale a pieno titolo. Per far fronte alla trasformazione evidente che il lavoro nelle biblioteche pubbliche sta assumendo bisogna avviare un processo di cambiamento profondo e «non gattopardesco», come si legge anche in un altro documento dell’Aib, Biblioteche e bibliotecari nel ventunesimo secolo.
Tra le biblioteche pubbliche di ente locale, che comprendono le civiche e le provinciali, ve ne sono attualmente molte che rischiano la chiusura, per via della cosiddetta legge Delrio, n. 56 del 7 aprile 2014 che, come è noto, ha tolto alle province la competenza per la cultura. Le Regioni si sarebbero dovute pronunciare entro la fine del 2014 ma ancora non è accaduto e al momento non si sa se la strada della regionalizzazione potrà essere perseguita in ogni specifico caso.
La Delrio è tuttavia l’esito di un processo politico ed economico di svuotamento più lungo. A cominciare dagli anni Ottanta le biblioteche pubbliche conoscono un livello di precariato notevole, per via di una esternalizzazione a tratti selvaggia e reiterata e nel peggiore dei casi di un volontariato supplente risorse che scarseggiano. Lo dice bene Marilena Puggioni, al secondo mandato nella Commissione nazionale biblioteche pubbliche Aib e «stabilmente precaria» nella cooperativa sassarese Il libro che lei e altre hanno fondato nel 1985. Il titolo della sua relazione al 58° congresso dell’Associazione italiana biblioteche è piuttosto eloquente: Precariato d’argento. 25 anni di esternalizzazione dei servizi nelle biblioteche pubbliche sarde. Ciò che accade in Sardegna è infatti emblematico rispetto al dato nazionale perché l’iter legislativo in materia appare particolarmente farraginoso e iniquo: «La consapevolezza ormai diffusa e consolidata della fallacia del sistema fin qui attuato, nonché della gravissima iniquità insita nella pretesa oggettiva di far durare il precariato lungo l’intero arco della vita lavorativa non pare, tuttavia, al di là delle dichiarazioni d’intenti e delle continue polemiche, che abbia portato ad azioni concrete».
Risorse selvagge
E se un anno fa, alla vigilia della terza edizione del Bibliopride, l’ipotesi della chiusura di molte biblioteche era il sottofondo dell’agenda di discussione (si veda il manifesto del 4-10-2014), Enrica Manenti, presidente nazionale dell’Aib, vuole segnalarci che «la situazione è peggiorata, in particolare con l’esplosione del problema delle biblioteche e dei sistemi bibliotecari coordinati o gestiti dalle Province.
Nel progettare la riforma, infatti, non si è tenuto conto per così dire di queste biblioteche la cui vita era comunque legata al ruoli e al sostegno finanziario delle Province. La difficoltà maggiore risulta essere che, nonostante i proclami a favore della cultura, è poi difficile assumersi gli oneri di far funzionare le biblioteche che, in più casi, non sono «appariscenti» ma che offrono servizi molto graditi ai cittadini. Quindi accade spesso che si annuncino chiusure di biblioteche e che a questi provvedimenti si oppongano, a volte con successo, cittadini del territorio.
Così è avvenuto per la Biblioteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, più recentemente con la Biblioteca della Galleria di arte moderna di Torino e per quella di Trani. Il fatto di impedire «a furor di popolo» la chiusura di una biblioteca ci conferma il valore di questo istituto culturale, formativo e sociale. Ma non basta: i tagli massacranti che stanno subendo le biblioteche, se non verranno sanati in fretta e non riprenderanno gli investimenti, procureranno una specie di coma che rischia di diventare permanente».
Non conoscono ancora la propria sorte le biblioteche provinciali sparse per tutta Italia. Da Belluno a Campobasso, ma anche Potenza e Matera, Chieti, Teramo, Pescara e L’Aquila, Bari, Brindisi, Lecce e Foggia. Mobilitazioni, appelli, conferenze stampa di lavoratori e lavoratrici sono sempre più frequenti e nonostante le singole specificità, le biblioteche pubbliche rappresentano dei poli di sistema, centri-rete che spesso al ruolo conservativo affiancano servizi e organizzano attività rivolte a un’utenza che vede nella biblioteca un’agorà diffusa e partecipante dello scambio e della condivisione culturale.
Se non mancano le occasioni di confronto, per esempio durante il convegno annuale delle Stelline, organizzato dalla rivista professionale Biblioteche oggi e che si tiene da vent’anni a Milano, basterebbe cominciare a leggere gli interventi che molte e molti hanno fatto in questi anni sulla differente fisionomia delle biblioteche, uno dei più recenti è certamente l’ultimo libro dell’infaticabile Antonella Agnoli, La biblioteca che vorrei (2014), che con sapienza fa il punto sulle biblioteche pubbliche e sulle varie pratiche sparse per il mondo.
Gianni Stefanini, coordinatore della Commissione nazionale biblioteche pubbliche Aib, non ha dubbi: «In questo panorama vi sono realtà e situazioni che, percependo lo stato di crisi, stanno elaborando modelli nuovi di servizio. L’asse si sposta dal sapere al fare, per esempio con lo sviluppo dei laboratori fablab e makerspaces, spesso associati a spazi di coworking, come accade nella biblioteca San Giorgio di Pistoia e quella Pertini di Cinisello Balsamo. In entrambi i casi si tratta di biblioteche di nuova costruzione che interpretano un nuovo modello di centro e servizio culturale capace di coinvolgere tutta la città. Vi sono poi poli aggreganti che interpretano il ruolo di centro culturale propulsore dello sviluppo territoriale e centro di riferimento per tutte le realtà. È il caso delle biblioteche del Consorzio dei Castelli Romani che stanno guidando un vero e proprio distretto culturale a cui fanno riferimento realtà associative, produttive, commerciali ed istituzionali.
Modelli emergenti
Sono molte altre in Italia – continua Stefanini — le realtà bibliotecarie che costituiscono esempi di eccellenza e sperimentazione di nuovi modelli, dalla più consolidata San Giovanni di Pesaro a una delle più significative in termini di servizio per la città e di modello di servizio come Sala Borsa di Bologna, passando poi per la Lazzerini di Prato, le Oblate di Firenze, o quelle più piccole come il Multiplo di Cavriago, o medie come Tilane di Paderno Dugnano, Mediateca di Meda, inossidabili nel tempo (un progetto ultraventennale) come la biblioteca di Vimercate. Vi sono poi intere aree con livelli molto elevati di servizi bibliotecari, si tratta di situazioni costituite più che da una singola realtà emergente da diverse strutture tra loro collegate in sistemi bibliotecari in grado di produrre livelli considerevoli di servizi, per l’Italia, come è il caso del Trentino Alto Adige che costituisce un esempio di assoluta eccellenza dei servizi bibliotecari, ma anche delle aree come quella bresciana la cui forza organizzativa sta dando un forte impulso allo sviluppo dei servizi nelle province limitrofe di Mantova, Cremona e Bergamo. Oppure ancora l’area milanese e monzese che vede la presenza dei più grandi ed attivi sistemi bibliotecari italiani e che ora sta vedendo un forte impulso di crescita anche della città di Milano». Buone pratiche dunque, ma è altrettanto chiaro che «costituiscono ancora una frazione molto, troppo ridotta. Nessuna biblioteca si salva da sola».
Una desertificazione annunciata Biblioteche. Si incatena per salvare la biblioteca Gabriele D’Annunzio di Pescara dalla chiusuraAlessandra Pigliaru il Manifesto 26.5.2015
Marguerite Yourcenar nel suo Memorie di Adriano non ha avuto esitazioni: «Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire». Se mantenere la memoria significa partecipare del corpo a corpo con il tempo, avere una pratica dell’attenzione verso le biblioteche esistenti che oggi rischiano la chiusura corrisponde all’arretramento dell’aridità politica in cui sono finite, loro malgrado. Anche quando le priorità sembrano altre.
«Sarebbe ammissibile chiudere un centro commerciale o lo stadio Adriatico?». Se lo domanda il trentunenne Andrea D’Emilio, arrestato il 14 maggio dopo essersi incatenato all’interno della biblioteca Gabriele D’Annunzio di Pescara che, come molte altre in tutta Italia, si sta candidando alla fine delle attività in seguito alla legge Delrio.
L’intento è stato quello di porre all’attenzione della Regione la situazione in cui versa una biblioteca pubblica che vanta più di duecentomila libri — dal 2010 gestisce inoltre l’Archivio storico dell’Ente — e che ancora non conosce il proprio destino visto che dopo il pasticcio istituzionale non si sa ancora ed esattamente che fine debba fare la delega alla cultura sottratta alle province, e chi possa prendere in carico una situazione imbarazzante e ormai esplosiva. Tuttavia il motivo della resistenza passiva di D’Emilio è ben più ampio; dal 2014 a oggi la biblioteca non riceve finanziamenti per l’acquisto di nuovi libri e periodici anche se è dal 2000 che le erogazioni previste sono state disattese, per non parlare del fatto che dal 2011 allo scorso giugno — a causa di lavori di manutenzione — il prestito è stato sospeso per trenta mesi provocando il malcontento di chi pensa alla biblioteca come luogo vitale di scambio appartenente alla comunità.
Non dovrebbe esserci bisogno di ricordare infatti che le biblioteche di ente locale pur essendo in alcuni casi luoghi di conservazione essenziali sono soprattutto istituti di scambio sociale e culturale che hanno un significato preciso per chi le frequenta e le utilizza. Basterebbe forse consultare chi le abita prima di immaginare leggi inefficaci che le trascinano in una palude senza scampo. È appena il caso di ribadire la centenaria storia che la maggior parte di queste biblioteche possiedono, insieme alle difficoltà che bibliotecari e bibliotecarie affrontano quotidianamente per tenerle ancora aperte.
Domenica scorsa si è svolta una manifestazione in piazza Salotto a Pescara per sostenere la battaglia di Andrea D’Emilio — rilasciato in vista dell’udienza del 17 giugno — e per denunciare la condizione di abbandono in cui versa la biblioteca. Chissà che prima o poi qualcuno risponda con serietà alle tante proteste di donne e uomini che non solo in Puglia chiedono un po’ di cura politica verso le biblioteche pubbliche, verso i libri e soprattutto verso chi ci lavora.
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