DOVE ci ha condotti — almeno noi occidentali — la tragedia della Storia? A uno sbocco antitragico: una mediocrità sazia, un decente livello di libertà, niente che trascenda la mera soddisfazione dei bisogni individuali, una patina di tolleranza che intorpidisce i conflitti interni e esorcizza (almeno per adesso) quelli esterni, efficacemente consorziati nell’integralismo islamico. Che del tragico e del trascendente è, invece, la quintessenza.
venerdì 22 maggio 2015
I destini generali, di Guido Mazzoni
Complimenti a Guido per il libro. Un po' meno per il recensore in cui è incappato [SGA].
Risvolto
Oggi nessun occidentale si aspetta qualcosa di decisivo dalla storia e
dalla politica, i grandi avvenimenti sono vissuti come astrazioni,
meccanismi o spettacoli e tutto quello che interessa, a cominciare dai
conflitti fra legami e piacere, si gioca nel tempo presente e nello
spazio del privato.
Negli ultimi cinquant’anni la vita psichica delle masse occidentali ha
subìto una metamorfosi molto profonda; tutti noi ne siamo stati
trasformati e travolti. Oggi le categorie con cui di solito si giudica
il presente, con cui si prende una posizione etico-politica sui problemi
del nostro tempo, danno l’impressione di non cogliere la realtà, o
perché si riferiscono a un futuro che, non rimandando più a un progetto
politico, costituisce solo la proiezione di un desiderio, o perché si
riferiscono a un passato che non tornerà. Quali sono i tratti più
vistosi della metamorfosi? Che cosa è accaduto?
La sazia mediocrità all’epoca del disagio“I destini generali” di Guido Mazzoni: un’indagine sulla condizione dell’Occidente fra la fine delle ideologie e il dominio consumista
di Michele Serra Repubblica 22.5.15
DOVE ci ha condotti — almeno noi occidentali — la tragedia della Storia? A uno sbocco antitragico: una mediocrità sazia, un decente livello di libertà, niente che trascenda la mera soddisfazione dei bisogni individuali, una patina di tolleranza che intorpidisce i conflitti interni e esorcizza (almeno per adesso) quelli esterni, efficacemente consorziati nell’integralismo islamico. Che del tragico e del trascendente è, invece, la quintessenza.
DOVE ci ha condotti — almeno noi occidentali — la tragedia della Storia? A uno sbocco antitragico: una mediocrità sazia, un decente livello di libertà, niente che trascenda la mera soddisfazione dei bisogni individuali, una patina di tolleranza che intorpidisce i conflitti interni e esorcizza (almeno per adesso) quelli esterni, efficacemente consorziati nell’integralismo islamico. Che del tragico e del trascendente è, invece, la quintessenza.
Questa sensazione statica,
di fine del futuro e di archiviazione del passato, in qualcuno suscita
una ostilità sprezzante, una nostalgia violenta degli ideali che
trascinano, delle visioni che illuminano. Sono le minoranze antagoniste,
che tentano, molto faticosamente, di riorganizzare quel conflitto
politico radicale che la sconfitta del comunismo ha sospeso, non si sa
per quanto. Nei più prevale invece la constatazione che l’esito mediocre
ha in sé la qualità, non così spregevole, di garantire la soddisfazione
di bisogni (materiali e “politici”) per secoli solamente sognati, come
la libertà dalla fame e la libertà di esprimersi. Ma pur sempre di esito
mediocre si tratta.
Lo dicono benissimo le ultime righe del breve,
folgorante saggio di Guido Mazzoni I destini generali ( Laterza
Solaris): «Alla fine del secolo più tragico della storia umana, alla
fine di un conflitto ciclopico fra idee di società e di persona, il modo
di vita che esce vincitore è il meno eroico, il meno grandioso, ma
anche il meno elitario, il più immanente, il più autenticamente
popolare. Non ho nulla di politico o di reale da opporre a tutto questo.
Ho solo una forma di disagio».
Disagio è l’ultima parola del saggio,
a suggello di un centinaio di pagine che hanno il merito (poco
“saggistico”, se così si può dire) di far sempre percepire, più o meno
svelato ma sempre presente, quello che definirei lo stato d’animo
dell’autore. Specialmente nelle pagine dedicate alla Berlino
post-nazista, post-comunista, post-Muro e post-tutto, con le icone
pubblicitarie largamente egemoni rispetto ai simboli della memoria e
della Storia, lo stato d’animo di chi sta scrivendo (e, per contagio, di
chi legge) è una componente fondamentale del discorso attorno al “come
stiamo”.
Stiamo così: coscienti del fatto che la società dei consumi —
definizione “vecchia”, ormai almeno sessantennale, ma per ora non
rimpiazzabile con altrettanta efficacia — ha vinto anche per meriti
tutt’altro che disprezzabili, specie se la si guarda “dal basso”,
partendo da antiche privazioni e millenarie soggezioni di classe; ma non
è in grado di indicare altro obiettivo al di fuori del suo eterno
ripetersi fino a diventare — se non lo è già — la parodia di se stessa.
L’enorme wurstel di plastica che campeggia trionfante, a Berlino, nei
pressi del sinistro luogo chiamato “Topografia dei terrori”, accanto
alla ex sede della Gestapo e a un lungo tratto residuo di Muro, è
parodistico in sé. Né serve, per sorriderne, essere un fine
intellettuale.
Individuare nel “disagio” (parola anch’essa
antitragica) il sentimento dominante richiede un esercizio di
lucidità/onestà intellettuale non frequentissimo nelle élites. A partire
dall’ammissione della natura “autenticamente popolare” e antielitaria
(democratica?) del consumismo, del suo trionfante processo di
liberazione dai vincoli sociali e dalle remore etiche, dal troppo
complesso e dal troppo impegnativo, Mazzoni si tiene ben discosto dal
giudizio sprezzante, dall’insofferenza acrimoniosa che
contraddistinguono buona parte del discorso critico sul consumismo e
sulla società di massa.
Si capisce che tra i molto citati Deleuze e
Guattari, per i quali il crollo degli antichi legami è comunque
emancipazione, e il “moralista” Lacan, che parlava di “obbligo del
desiderio” e di “imperativo del godimento”, l’autore ha il dubbio —
fondato — che abbia avuto ragione Lacan: il consumismo “obbligatorio”
separa e sconnette, cancella i vincoli, e fa sembrare “nevrotico”, se
non autoritario, qualunque tentativo di riconnettere, ricollegare,
subordinare il piacere individuale a qualunque altra priorità o
gerarchia. Ma se l’analisi del libro è questa, dal libro non è certo la
chiusura elitaria che scaturisce, né l’arroganza/disperazione nihilista.
È, diciamo così, una forma di demoralizzazione perplessa, di amarezza
gentile comune a molti se non moltissimi contemporanei più o meno
pensanti.
Filologo e critico letterario, Mazzoni (che è del 1967,
dunque con il vantaggio non piccolo di sentirsi meno condizionato dalle
esperienze politiche e dalle strutture ideologiche delle precedenti leve
intellettuali) utilizza per la sua ricognizione a tutto campo
psicanalisi (molta), letteratura, storia, filosofia e fatti di cronaca
distillati con sapienza (acutissimo il riferimento a Fabrizio Corona).
Manca, o quasi, l’economia, la cui recente invadenza a scapito delle
scienze umane ne fa sentire assai poco la mancanza.
Molto letterario è
il titolo del libro; fa pensare all’“azione parallela” di Musil. Ovvero
alla forma di un vuoto, alla definizione puramente accademica di
un’impresa nevrotica per eccellenza, quella di riconnettere a un futuro
comune destini individuali “liberati” e deresponsabilizzati dal
consumismo. I destini generali significa che non esistono, allo stato
attuale delle cose, destini generali. Il dubbio, appena chiuso il libro,
è che potrebbe essere il tremendo cozzo con la trascendenza (il
fanatismo religioso) a ridare un significato meno mediocre, e più
condiviso, alle nostre pigre libertà.
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1 commento:
Luperini e Zinato su I destini generali:
http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/interpretazione-e-noi/365-impotenza-politica-e-stato-di-minorit%C3%A0-%C3%A8-possibile-solo-una-forma-di-disagio.html
http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/interpretazione-e-noi/367-disagio-o-disperazione-impotenza-politica-e-stato-di-minorit%C3%A0-2.html
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