A Rimini una mostra nel XVI centenario della morte Una raccolta di firme per dedicarle una piazza di Roma
di Silvia Ronchey La Stampa 1.5.15
Anche se non esiste un martirologio laico, da più parti e in più modi,
discretamente, quasi sotterraneamente, il mondo ricorda quest’anno il
sedicesimo centenario del martirio di Ipazia, la filosofa bizantina
assassinata ad Alessandria d’Egitto dalle milizie fondamentaliste
cristiane del vescovo Cirillo nella primavera del 415, poco prima di
Pasqua. Una mostra al Museo del Calcolo di Rimini (415-2015. Ipazia
matematica alessandrina, fino al 30 agosto. Sabato e domenica dalle 10
alle 12.30 e dalle 15 alle 18) ricorda questa donna eminente, amata dai
suoi discepoli pagani e cristiani, esponente di una moderazione di
pensiero cui faceva riscontro «una franchezza di parola», narrano gli
storici, per cui «si rivolgeva faccia a faccia ai potenti e non aveva
paura di apparire alle riunioni degli uomini, i quali, data la sua
straordinaria saggezza, le erano tutti deferenti e la guardavano con
timore reverenziale».
Sulla Luna
Su Ipazia, maestra di scienza e di sapienza ma anche di impegno civico,
icona della libertà di pensiero, la mostra di Rimini offre ai visitatori
una documentazione essenziale: documenta la sua cultura scientifica (in
esposizione, insieme ad antichi strumenti di calcolo astronomico, le
opere di Euclide, Apollonio, Diofanto e soprattutto di Tolomeo, di cui
commentò le Tavole semplici e rivide l’Almagesto) e testimonia la
devozione che lungo sedici secoli le ha tributato l’intera cultura
occidentale, dalla pittura (per esempio il celebre quanto discusso
ritratto segreto di Raffaello nella Scuola d’Atene) alla letteratura
(uno per tutti l’omaggio di Leopardi nella Storia dell’astronomia) fino
alla scienza moderna, che le ha intitolato il cratere lunare Ipazia, non
lontano dal punto di allunaggio dell’Apollo 11, come evidenzia l’ultima
vetrina.
In questi tempi in cui il Medio Oriente è percorso dal terrore
dell’integralismo islamico e insanguinato da episodi massicci e cruenti
di persecuzione religiosa, non è facile ma è importante ricordare che la
chiesa cristiana ai suoi inizi si macchiò di una violenza integralista
per molti versi affine, come quella dei parabalani, i monaci-barellieri,
di fatto miliziani clericali che massacrarono Ipazia, la fecero a pezzi
e diedero i suoi resti alle fiamme. E’ unanime la testimonianza delle
fonti coeve e poi bizantine secondo cui fu il vescovo Cirillo il
mandante di quell’assassinio che rifletteva non tanto un conflitto
religioso o una lotta per la supremazia confessionale, già assicurata
dai decreti teodosiani (che avevano appena proclamato il cristianesimo
religione di stato) quanto una precisa e circostanziata strategia di
appropriazione del potere statale, in una prospettiva teocratica.
Il vescovo Cirillo
Il proselitismo armato di Cirillo contraddiceva in pieno l’idea di
tolleranza propugnata cento anni prima dall’editto di Costantino del
313, così come la tendenza conciliatoria del cristianesimo con il
paganesimo d’élite che il primo imperatore cristiano aveva appoggiato
politicamente e sancito giuridicamente. Rivendicava l’accesso della
chiesa alla conduzione della politica: un vero e proprio potere
temporale, più affine al modello del papato romano che alla rigorosa
separazione dei poteri sancita dal cosiddetto cesaropapismo bizantino.
Anche per questo, forse, la posizione ufficiale della chiesa di Roma,
nonostante le scuse e le richieste di perdono dispensate un po’ a tutti
tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo, e malgrado
la gravità e la natura quasi terroristica dell’antico assassinio di
Ipazia, non ha mai voluto mettere in discussione Cirillo, la sua
santità, la sua probità.
Ancora a fine Ottocento Leone XIII lo ha proclamato dottore della chiesa
(Doctor Incarnationis). Nella celebrazione che ne ha fatto il 3 ottobre
2007 Benedetto XVI ha lodato «la grande energia» del suo governo
ecclesiastico «senza spendere due righe», com’è stato osservato, «per
assolverlo dall’ombra che la storia ha fatto pesare su di lui». Anche se
alcuni intellettuali cattolici hanno invitato, se non alla
decanonizzazione, alla cautela, una chiesa di San Cirillo Alessandrino è
stata da poco edificata a Roma a Tor Sapienza.
Ed ecco che in questa Pasqua di milleseicento anni successiva alla
sanguinaria quaresima del 415 in cui si consumò l’assassinio di Ipazia
una sorprendente iniziativa è stata presa dall’Associazione
Toponomastica Femminile e da un’ampia e diversificata serie di
associazioni cittadine romane, che si sono costituite in comitato e
hanno presentato all’ufficio toponomastico del comune di Roma una
petizione per dedicarle un adeguato spazio urbano nella città di Pietro:
«Una piazza per Ipazia» ha raccolto oltre 1500 firme, che si sommano a
quelle di altre richieste già inoltrate e alla proposta di
un’intitolazione proprio a Tor Sapienza, nell’area della nuova chiesa di
San Cirillo.
Tolleranza laica
Non è una provocazione, al contrario, vuol essere una pacificazione. La
tolleranza laica non impedisce certo di continuare a annoverare tra i
santi del calendario il «terribile vescovo», come lo chiama la Storia
ecclesiastica di Socrate. Ma anche i fedeli cristiani hanno il diritto
di ricordare la sua antica vittima e l’insegnamento che la storia e ha
da darci sui pericoli del fanatismo religioso, in questi difficili tempi
di lotte e persecuzioni.
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