lunedì 25 maggio 2015
Stephanie Barron sulla Repubblica di Weimar
La repubblica di Weimar (1919-1933) Una nazione nuova alla ricerca della realtà
di Stephanie Barron Il Sole Domenica 24.15.5
Nata tra la fine della Prima guerra mondiale e l’ascesa al potere dei
nazisti, la prima democrazia tedesca fu un fertile laboratorio di
esperienze culturali che vide il tramonto dell’espressionismo, le
esuberanti attività antiartistiche dei dadaisti, la fondazione del
Bauhaus e l’emergere di un nuovo realismo. Ma i quattordici anni della
Repubblica di Weimar (1919-1933) furono anche teatro di rapidi
cambiamenti e drastiche rotture sul piano sociale, economico e politico.
Gli artisti attivi negli anni Venti appartenevano a una generazione che
aveva combattuto in guerra o si era affacciata alla vita adulta subito
dopo il conflitto, e molti di loro scelsero un nuovo tipo di
rappresentazione. Quel particolare realismo fu etichettato come un nuovo
stile fin dagli albori, ma il suo carattere eterogeneo rendeva
difficile classificarlo come un movimento. Nel descrivere i diversi
approcci adottati dagli artisti per esplorare il “reale”, i critici
contemporanei e i direttori dei musei tedeschi coniarono una varietà di
definizioni: Neue Sachlichkeit, postespressionismo, neonaturalismo,
verismo e realismo magico. E di volta in volta questi approcci saranno
letti come una ricusazione dell’espressionismo, come un preludio al
realismo incoraggiato dai nazisti dopo il 1933 e persino come il
prodromo del realismo socialista affermatosi nella Germania dell’Est
dopo il 1945.
La Prima guerra mondiale aveva lasciato l’economia e il morale del
popolo tedesco a pezzi, con quasi due milioni di morti tra i soldati,
oltre mezzo milione di vittime tra i civili e oltre quattro milioni di
feriti o invalidi. Il disastro della sconfitta era aggravato dalle
condizioni umilianti imposte dal Trattato di Versailles, che imputava
alla Germania la responsabilità della guerra ed esigeva pesanti
riparazioni. Se, in un primo momento, gli espressionisti tedeschi
avevano accolto con entusiasmo lo scoppio del conflitto, poco dopo
rimasero profondamente scioccati dalla tragica realtà dei campi di
battaglia e dalla carneficina cui dovettero assistere. Animati da una
nuova coscienza politica, alla fine della guerra molti di questi artisti
aderirono all’uno o all’altro di quei gruppi artistici radicali che,
pur essendo destinati a una breve durata, erano fioriti in varie città
tedesche dopo le sollevazioni popolari della rivoluzione di novembre del
1918, sfociata nella nascita della Repubblica di Weimar.
Artisti come Heinrich Maria Davringhausen, George Grosz, Ludwig Meidner,
Max Pechstein, Rudolf Schlichter, Georg Scholz, Georg Schrimpf e Gerd
Wollheim parlavano di rivoluzione. I membri del Novembergruppe (Gruppo
di novembre) dichiaravano: «Consideriamo nostro dovere supremo dedicare
le nostre migliori energie all’edificazione morale di una giovane
Germania libera». Alleati nel perseguire obiettivi politici comuni,
questi artisti si impegnavano per creare un “uomo nuovo” e una nuova
società per sostituire l’ordine sociale d’anteguerra, che ora guardavano
con disincanto.
Ma, nel 1919, al fervore rivoluzionario degli espressionisti cominciò a
subentrare una crescente disillusione per la complessa situazione
politica della nuova Germania. Molti critici proclamarono la fine
dell’espressionismo. Come dichiarava Wilhelm Hausenstein, uno dei primi
sostenitori del movimento: «L’espressionismo è morto. Gli individui che
si sono distinti dagli altri e dal movimento sono ancora vivi. La loro
arte è assoluta. Ma la categoria non esprime più nulla. Ha esaurito il
suo scopo. Può decadere».
Fu in questo contesto che un numero crescente di artisti si volsero alle
forme del realismo, esprimendo una visione più sobria e concreta della
vita quotidiana rispetto al pathos e all’estasi prediletti dagli
espressionisti, e gettando le basi di quello stile che verrà definito
Nuova oggettività.
Il Bauhaus, la scuola di progettazione fondata nel 1919, potrebbe
sembrare ben lontano dalla Nuova oggettività per l’impegno sociale dei
suoi membri e la predilezione per forme sperimentali rispetto allo stile
figurativo, ma artisti come Josef Albers, Walter Gropius, Wassily
Kandinsky e László Moholy-Nagy condividevano tutti l’interesse della
Nuova oggettività per le nuove tecnologie e cercavano di prendere le
distanze dall’espressionismo.
Nel 1923 la Germania era in preda all’instabilità: il Paese non riusciva
a pagare le pesantissime riparazioni di guerra imposte dai vincitori e
ciò indusse la Francia e il Belgio a occupare la Renania, regione
industriale di vitale importanza. Dilagò un’ondata di scioperi e
l’inflazione già alta si impennò al punto che un uovo arrivò a costare
cento miliardi di marchi. Con la nomina di Gustav Stresemann a
cancelliere nell’agosto 1923 (ricoprì tale carica per breve tempo, per
poi diventare ministro degli Esteri fino alla morte prematura, nel
1929), la situazione del Paese cominciò a migliorare. L’adozione del
Piano Dawes alleviò le riparazioni di guerra, incoraggiò gli
investimenti stranieri e portò al graduale ritiro delle truppe
franco-belghe dalla Renania, permettendo un ritorno alla stabilità e un
generale miglioramento della qualità della vita. Con la frenata
dell’inflazione e la ripresa dell’economia il reddito disponibile per le
spese voluttuarie fu destinato a una vasta scelta di svaghi e si aprì
un periodo di grande libertà in ambito personale, sociale e sessuale.
I sei anni che prendono il nome di «dorati anni Venti» (1924-1929)
segnano l’apogeo della Nuova oggettività, in cui gli artisti si
confrontarono con la nuova realtà culturale, politica e sociale della
Repubblica. Grazie ai progressi tecnologici le fabbriche si dotarono di
nuovi macchinari e immisero sul mercato vari elettrodomestici e oggetti
d’uso, alimentando nuovi livelli di produzione e di consumo. Alla metà
del decennio i cambiamenti economici furono accompagnati da
considerevoli mutamenti nell’identità maschile e femminile nella
Germania di Weimar. Con milioni di uomini rimasti uccisi o feriti in
guerra, le donne cominciarono a muoversi più liberamente nella vita
politica e sociale.
La parità dei generi, l’emancipazione sessuale e il diritto di voto
liberarono le donne dai confini delle quattro K – Kinder, Küche, Keller,
Kirche (figli, cucina, cantina e chiesa) – mentre il Paese diventava
più moderno, tecnologico e sempre più incline a concedersi vari beni di
consumo e attività ricreative. Tuttavia, anche se le donne che
lavoravano erano più visibili nel contesto sociale e tendevano sempre
più a spostarsi dalle campagne alle città, la piena emancipazione era
ancora lontana.
Il crollo di Wall Street nell’ottobre del 1929 ebbe esiti disastrosi per
la Germania, poiché per sostenere l’economia tedesca erano state
investite massicce quantità di dollari americani sotto forma di
prestiti. Il crollo della Borsa provocò una crisi dilagante, con
un’ondata di bancarotte e disoccupazione, e gli ultimi anni della
Repubblica di Weimar furono segnati da una crescente instabilità,
un’escalation di violenza per le strade, l’indebolirsi dei principi
democratici e l’ascesa dell’estrema destra, rappresentata dal Partito
Nazionalsocialista.
Nel gennaio del 1933, quando Hitler venne nominato cancelliere, la
Repubblica di Weimar cessò di esistere. In breve tempo molti artisti
furono perseguitati per le loro convinzioni politiche o per le loro
origini ebraiche: per sopravvivere alcuni furono costretti
all’«emigrazione interna», pochi altri continuarono a lavorare e a
insegnare, più o meno tollerati dai nazisti, e altri ancora lasciarono
la Germania. La Nuova oggettività volgeva al tramonto.
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