giovedì 4 giugno 2015

Anche gli spermatozoi valorizzano il capitale: il neofoucaultismo apre nuove frontiere al negrismo

Biolavoro globaleLa normale colonizzazione capitalistica, ovvero la sussunzione reale: importantissima ma non certo una scoperta inaudita [SGA].

Melinda Coo­per e Cathe­rine Waldby: Bio­la­voro Glo­bale. Corpi e nuova mano­do­pera, Deri­veAp­prodi

Risvolto

Tra il pullulare di discorsi sul capitalismo avanzato spicca l’assenza di analisi sui corpi. Sono in tanti a focalizzarsi sul capitalismo cognitivo, trascurando il versante della produzione materiale sul quale si fonda l’economia della vita. Melinda Cooper e Catherine Waldby con questo libro colmano tale lacuna, mostrando come la bioeconomia si sia sviluppata a partire dalle capacità biologiche insite nei corpi stessi, e in particolare nei corpi delle donne.
Tra i più fiorenti settori del capitalismo ci sono infatti quelli trainati dalle scienze della vita. Medicina riproduttiva e medicina rigenerativa hanno aperto nuovi mercati globali, la cui fonte di plusvalore coincide direttamente con le potenzialità generative dei corpi delle donne, ma non solo. Aumenta la domanda di oociti, uteri, sperma, placenta, sangue del cordone ombelicale, cellule staminali, embrioni. Spuntano cliniche specializzate in fecondazione assistita e maternità sostitutiva e agenzie intermediarie pronte a fornire questi materiali in vivo, dagli Stati Uniti all’India, passando per l’Europa dell’Est e la Cina.
Ma chi sono i fornitori di questi materiali? Cooper e Waldby analizzano il lavoro riproduttivo e rigenerativo ai tempi del biopotere, focalizzandosi più che su questioni etiche e giuridiche sulle condizioni di vita di una manodopera «clinica» oggi globalmente diffusa, quando il capitalismo fa dell’appropriazione della vita una nuova frontiera di colonizzazione dietro la spinta di nuove tecnologie.


La ricca fertilità del capitale umano 
Tempi presenti. La trasformazione di oociti, spermatozoi, cordoni ombelicali, placenta ed embrioni in merci pregiate di un settore in rapida espansione. Un’intervista con Melinda Cooper e Catherine Waldby, autrici del volume «Biolavoro. Corpi e nuova manodopera»

Angela Balzano 4.6.2015, 0:01 

Bio­la­voro Glo­bale. Corpi e nuova mano­do­pera (Deri­veAp­prodi. È stato recen­sito su que­ste pagine da Cri­stina Morini il 7 marzo 2015) è una map­pa­tura pre­cisa e utile a chiun­que si cimenti con le con­trad­di­zioni delle attuali eco­no­mie neo­li­be­ri­ste tecno-mediate. In que­sta car­to­gra­fia le due autrici, Melinda Coo­per e Cathe­rine Waldby, sosten­gono che l’economia post­for­di­sta non può essere defi­nita in ter­mini mera­mente immateriali. 
Il libro si con­fi­gura, per que­sto, come una det­ta­gliata ana­lisi delle basi mate­riali del bio­ca­pi­ta­li­smo. Tra medi­cina ripro­dut­tiva e rige­ne­ra­tiva, mer­cati e ban­che bio-tech, il sag­gio indaga i modi in cui oociti, sper­ma­to­zoi, cor­doni ombe­li­cali, pla­centa ed embrioni sono diven­tati essen­ziali alla bio­e­co­no­mia. Dalla fecon­da­zione assi­stita alla mater­nità sur­ro­gata, pas­sando per la clo­na­zione e la ricerca spe­ri­men­tale, Coo­per e Waldby rac­con­tano la ven­dita e l’acquito di gameti e fluidi; chi si assume i rischi della spe­ri­men­ta­zione far­ma­ceu­tica e chi ne trae pro­fitti. Per que­sto, il loro stu­dio apre la strada per capire in che modo le scienze bio-tech stiano trai­nando nuovi mer­cati glo­bali, la cui fonte di plu­sva­lore coin­cide diret­ta­mente con le poten­zia­lità gene­ra­tive dei corpi delle donne, e non solo. 
In que­sto libro riser­vate par­ti­co­lare atten­zione al cam­bia­mento cru­ciale che riguarda la divi­sione tra la sfera della pro­du­zione e quella della ripro­du­zione. A giu­di­care dalla seconda parte del testo sem­bra che il con­fine tra le due sfere sia sal­tato. Ripro­du­zione e ses­sua­lità pos­sono oggi essere discon­nesse. Allo stesso modo cura e fami­glia bio­lo­gica non coin­ci­dono più. Nella vostra pro­spet­tiva ciò si spiega sia con l’ascesa delle bio­tec­no­lo­gie sia con l’irruzione delle donne nella scena pub­blica e nel mer­cato del lavoro. In che modo le eco­no­mie occi­den­tali neo­li­be­ri­ste hanno tratto pro­fitto dalla com­bi­na­zione «biotecnologie-emancipazionismo»? 
Melinda Coo­per. C’è un momento sto­rico in cui le donne spin­gono auto­no­ma­mente per entrare nel mer­cato del lavoro; donne che prima erano con­fi­nate al ruolo di casa­lin­ghe e svol­ge­vano un lavoro ripro­dut­tivo non pagato, dipen­dendo dal sala­rio dei mariti. In quel periodo c’è stato indub­bia­mente un movi­mento di eman­ci­pa­zione, che si spiega con il rifiuto delle donne dalla dipen­denza per­so­nale dai mariti. Le donne sono entrate nel mer­cato del lavoro, ma non per que­sto la divi­sione ses­suale e raz­ziale del lavoro è venuta meno. Il capi­tale ame­ri­cano post­for­di­sta può essere com­preso come un adat­ta­mento al movi­mento eman­ci­pa­zio­ni­sta. In quel par­ti­co­lare momento sto­rico l’esternalizzazione della pro­du­zione di massa è stata la prima rispo­sta all’attivismo dei movi­menti dei lavo­ra­tori. E sem­pre in quel par­ti­co­lare momento sto­rico il capi­tale ame­ri­cano post­for­di­sta ha assor­bito la forza lavoro delle donne nel set­tore dei ser­vizi. Certo, abbiamo avuto l’emancipazione ma abbiamo anche assi­stito a tutte le forme pos­si­bili di rias­sor­bi­mento della divi­sione del lavoro. 
Le donne testi­mo­niano sem­pre di più que­sta ten­denza con la loro pre­senza cre­scente in alcuni set­tori legati all’economia dei ser­vizi. E non stiamo par­lando dei set­tori più pro­fes­sio­na­liz­zanti, quelli degli alti livelli del mana­ge­ment, ma dei set­tori dell’educazione (solo alcuni tipi di edu­ca­zione), del lavoro di cura, dell’assistenza sani­ta­ria, dei livelli più bassi insomma, che ovvia­mente sono anche molto raz­zia­liz­zati. D’altro canto men­tre le donne, le mogli, abban­do­na­vano le case, i mariti ricor­re­vano ai con­tratti per otte­nere quel lavoro che prima le donne svol­ge­vano gra­tui­ta­mente. Ed ecco che com­pare un’intera classe di donne chia­mata a lavo­rare nel set­tore dei ser­vizi ripro­dut­tivi al posto di altre donne. E ancora si ripre­senta la divi­sione raz­ziale del lavoro. Non è un caso che siano le donne migranti a svol­gere i ser­vizi dome­stici, come lavoro remu­ne­rato, a tro­vare impiego nei livelli più bassi dell’economia dei ser­vizi. L’emancipazione viag­gia di pari passo alla riscri­zione delle rela­zioni di potere, il mer­cato del lavoro ripro­dut­tivo si spiega così, e deve essere così analizzato. 
La Scuola libe­ri­sta di Chi­cago è stata la, sicu­ra­mente prima dei mar­xi­sti, a segna­lare que­sta nuova realtà dell’economia ame­ri­cana, a segna­lare che tutti i tipi di atti­vità che una volta erano con­si­de­rati in essenza non com­mer­cia­bili — l’amore, la cura, il corpo in sé e i suoi organi — ora pos­sono essere con­si­de­rati lavoro, dipen­dono da una «mano­do­pera». I neo­li­be­ri­sti hanno defi­nito que­sta mano­do­pera «capi­tale umano», per­ché riten­gono che siamo tutte/i capitaliste/i. Erano molto con­cen­trati su que­ste tema­ti­che, per que­sto credo siano inte­res­santi. Ma anche per­ché hanno svolto un ruolo sul piano della tra­sfor­ma­zione delle legi­sla­zioni sul lavoro. Tutti gli espo­nenti della Scuola di Chi­cago, Epstein, Posner e Bec­ker ad esem­pio, erano molti con­sa­pe­voli dell’emergere di un mer­cato di organi, san­gue e tes­suti. Que­sto mer­cato per loro è una sorta di banco-prova. 
Nella seconda parte del libro sono dedi­cati al mer­cato della ripro­du­zione assi­stita in Europa. Nel libro scri­vete del «turi­smo della fer­ti­lità»: in che modo la geo­gra­fia del turi­smo della fer­ti­lità è influen­zata dalle dina­mi­che dell’arbitraggio e dell’esternalizzazione del lavoro cli­nico? Chi com­pra e chi vende oociti e gameti? 
Cathe­rine Walbdy. L’Europa è una parte molto signi­fi­ca­tiva del mer­cato della pro­crea­zione medi­cal­mente assi­stita (Pma). La ragione per cui tale mer­cato è così flo­rido risiede nelle dina­mi­che che descri­viamo in Bio­la­voro Glo­bale. Per molte donne è oggi sem­pre più dif­fi­cile accet­tare il modo in cui i limiti bio­lo­gici influen­zano la capa­cità di pro­creare. Ciò dipende soprat­tutto dall’età degli ovuli e da tutta una serie di altre esi­genze con­cor­renti: dipende dal momento e dall’attenzione, dal biso­gno di costruirsi una car­riera, di avere una casa, dal fatto che sta diven­tando sem­pre più costoso for­mare una fami­glia. Tutto ciò con­corre a ren­dere meno attraente il fatto di avere dei figli a vent’anni, più attraente a tren­totto. Tut­ta­via ciò signi­fica che sem­pre più donne sco­prono che per rima­nere incinte hanno biso­gno delle tec­ni­che di Pma. Da qui l’aumento mas­sic­cio della domanda di gameti, di sperma e ovuli. I pro­blemi sono spesso quelli rela­tivi alla pro­crea­zione, spesso riguar­dano gli ovuli e lo sperma dei part­ner. La Pma crea defi­cit. I suoi effetti sono diversi da come li si pensa gene­ral­mente. Si crea la domanda dei con­su­ma­tori di oociti. In Europa è molto inte­res­sante notare che vi è un mer­cato interno alta­mente dif­fe­ren­ziato tale da avere enormi diver­genze rispetto al red­dito e alla ric­chezza fami­liare, tra popo­la­zioni diverse, all’interno dello stesso paese ma anche tra paesi diversi. E que­sto diva­rio diventa sem­pre più esa­ge­rato. E una volta che abbiamo que­ste enormi dispa­rità allora ci tro­viamo con gruppi di donne alla ricerca di oppor­tu­nità per red­diti sal­tuari, che magari ricor­rono alla ven­dita di ovuli, o alla pro­sti­tu­zione, o lavo­rano come badanti senza docu­menti. Vi sono strade diverse per la migra­zione interna. E c’è un numero cre­scente di donne che cerca di soprav­vi­vere attra­verso que­sto tipo di tran­sa­zioni. Quando que­ste due dina­mi­che si incon­trano, la dina­mica della fer­ti­lità e quella dell’economia poli­tica, allora comin­ciano a sor­gere luo­ghi in cui le aziende pos­sono sfrut­tare a pro­prio van­tag­gio que­sti differenziali. 
In con­clu­sione al vostro libro scri­vete: «Sono esat­ta­mente i ter­mini dello scam­bio che vanno ripen­sati, se vogliamo tra­sfor­mare in una pro­spet­tiva più equa il lavoro cli­nico». Pen­sate che i ter­mini dello scam­bio pos­sano essere tra­sfor­mati da una ripresa delle lotte per il red­dito minimo, su base indi­vi­duale, svin­co­lato dal lavoro? Avete in mente altre strategie? 
Cathe­rine Waldby. Io penso che una delle cose più inte­res­santi degli ultimi tempi negli Usa sia il movi­mento per il red­dito minimo, che si è dif­fuso mol­tis­simo. Vi sono state molte mani­fe­sta­zioni ovun­que negli Usa negli ultimi 2 anni per aumen­tare il red­dito minimo a 15 dol­lari all’ora. Al momento è di 6 o 7 dol­lari in molti stati ame­ri­cani. Mi sem­bra che que­sti movi­menti dimo­strano che dall’inizio della crisi finan­zia­ria glo­bale si è svi­lup­pata una nuova con­sa­pe­vo­lezza sul lavoro pre­ca­rio. Non è una novità asso­luta, ma in qual­che modo c’è una rin­no­vata cul­tura pub­blica circa la cit­ta­di­nanza, le pro­te­ste pub­bli­che e l’attivismo che ruo­tano intorno al lavoro. è un ambito in cui ci si è scon­trati molto con le isti­tu­zioni nel corso degli ultimi trent’anni. Credo che quello odierno sia comun­que un tipo di atti­vi­smo diverso per molti aspetti. 
Que­sto riguarda anche i tipi di situa­zioni che descri­viamo nel libro. Non è dif­fi­cile imma­gi­nare che coloro che lavo­rano nelle spe­ri­men­ta­zioni cli­ni­che e le donne che ven­dono ovuli e gra­vi­danze potreb­bero essere coinvolte/i nei nuovi tipi di movi­menti sociali. Pen­siamo a chi par­te­cipa alle spe­ri­men­ta­zioni cli­ni­che negli Usa. Penso che quello che potrebbe poten­zial­mente acca­dere per con­tra­stare le ingiu­sti­zie e lo sfrut­ta­mento che denun­ciamo dipende in larga misura da quello che suc­cede a livello più gene­rale nelle lotte intorno ai nodi del lavoro e nelle nuove forme di attivismo. 
Melinda Coo­per. In que­sto periodo sono state sol­le­vate un buon numero di que­stioni, soprat­tutto riguardo le sotto-classi — una delle migliori espres­sioni che rie­sco a tro­vare — coloro che sono sotto la linea del lavoro, che sono state escluse/i dal con­tratto sociale del New Deal e dalla pre­vi­denza sociale, che non hanno mai goduto di alcuna pro­te­zione con­tro i rischi. Mi sem­bra che le que­stioni e le esi­genze sol­le­vate da que­sti movi­menti non siano mai tra­mon­tate. è asso­lu­ta­mente vero che non c’è niente di ecce­zio­nale nelle forme di lavoro di cui par­liamo, in ter­mini di espo­si­zione al rischio e di totale con­trat­tua­liz­za­zione del rap­porto di lavoro, per que­sto penso che la cosa migliore per que­sti movi­menti sarebbe quella di col­la­bo­rare con altri tipi di lavoratrici/ori del set­tore dei ser­vizi. C’è molta spe­ri­men­ta­zione in que­sto senso. In qual­che modo que­sta que­stione riguarda anche quella della glo­ba­liz­za­zione del mer­cato. Abbiamo avuto noti­zie posi­tive dall’India, dove il lavoro pre­ca­rio nel set­tore dei ser­vizi ha un’interessante sto­ria di atti­vi­smo. Ovvia­mente dovremmo rag­giun­gere in qual­che modo i livelli di una massa cri­tica, agire come snodi inter­na­zio­nali che fanno comu­ni­care e mobi­li­tano set­tori diversi. Come que­sto possa suc­ce­dere non lo so. Pos­siamo solo sperare.

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