Oleg V. Khlevniuk: Stalin: New Biography of a Dictator, Yale UP
Risvolto
Josef Stalin exercised supreme power in the Soviet Union from 1929 until
his death in 1953. During that quarter-century, by Oleg Khlevniuk’s
estimate, he caused the imprisonment and execution of no fewer than a
million Soviet citizens per year. Millions more were victims of
famine directly resulting from Stalin's policies. What drove him toward
such ruthlessness? This essential biography, by the author most deeply
familiar with the vast archives of the Soviet era, offers an
unprecedented, fine-grained portrait of Stalin the man and dictator.
Without mythologizing Stalin as either benevolent or an evil genius,
Khlevniuk resolves numerous controversies about specific events in the
dictator’s life while assembling many hundreds of previously unknown
letters, memos, reports, and diaries into a comprehensive, compelling
narrative of a life that altered the course of world history.
In brief, revealing prologues to each chapter, Khlevniuk takes his
reader into Stalin’s favorite dacha, where the innermost circle of
Soviet leadership gathered as their vozhd lay dying.
Chronological chapters then illuminate major themes: Stalin’s childhood,
his involvement in the Revolution and the early Bolshevik government
under Lenin, his assumption of undivided power and mandate for
industrialization and collectivization, the Terror, World War II, and
the postwar period. At the book’s conclusion, the author presents a
cogent warning against nostalgia for the Stalinist era.
Il meticoloso Stalin : a casa, nell’orto, nel Gulag
Una
nuova biografia del leader comunista che sottoponeva i suoi
collaboratori ad ogni sorta d’umiliazioni tenendoli svegli sino a notte
fonda Conosceva poco l’economia che trattava come una fortezza da espugnare E giustificava i suoi crimini come un frutto della legge della storia
di Tommaso Piffer Corriere La Lettura 14.6.15
Gestiva direttamente e con pugno di ferro ogni aspetto della vita della
sua dacia, la casa di campagna alle porte di Mosca, dove soggiornava
sempre più di frequente. Controllava tutto, senza lasciare niente nelle
mani dei subordinati, inviando quasi ogni giorno ordini dettagliati che
spaziavano dalla coltivazione delle piante all’amministrazione della
dispensa. Lo stesso «approccio patriarcale» lo avrebbe applicato, con
esiti tragici, a una proprietà ben più grande: l’Unione Sovietica. È uno
Stalin inedito quello che emerge dalla nuova biografia da poco uscita
in Russia e negli Stati Uniti (Yale University Press) a firma di Oleg
Chlevnjuk, già autore di una importante Storia del Gulag (Einaudi,
2006). Uno Stalin che è il centro della vita politica sovietica fino al
1953 e la chiave di volta per comprendere i cardini del sistema politico
che porta il suo nome, lo stalinismo.
Il primo aspetto è la concentrazione assoluta del potere, che Stalin
esercitava delegando di volta in volta compiti specifici, ma mantenendo
un controllo diretto sui lavori di ripavimentazione di una strada di
Mosca così come sui livelli della produzione industriale o sulle
trattative con la Germania di Hitler. I membri del governo sopravvissuti
alle purghe degli anni Trenta erano tenuti sotto stretta sorveglianza e
sottoposti a ogni genere di umiliazione da parte di Stalin, che spesso
li costringeva a intrattenersi fino a notte inoltrata nella speciale
sala di 155 metri quadrati approntata a questo scopo nella sua
abitazione privata.
Le decisioni si riversavano sul Paese sotto forma di «campagne»:
l’intera popolazione veniva mobilitata per il raggiungimento di
obiettivi per lo più irrealizzabili, che venivano perseguiti con metodi
straordinari e la sospensione di ogni procedura legale. Seguivano
inevitabilmente un periodo di crisi e una «ritirata», che assumeva la
forma di una contro campagna, spesso di pari intensità, che non di rado
eliminava i responsabili della prima iniziativa e stabilizzava la
situazione. Ogni passo di questo processo, che comportava la perdita di
molte migliaia di vite umane e di ingenti risorse, era seguito
direttamente da Stalin. Solo durante la Seconda guerra mondiale, con il
dittatore impegnato altrove nella conduzione delle operazioni militari,
il sistema conobbe un certo allentamento, per essere rapidamente
ripristinato dopo la vittoria del 1945.
Il secondo cardine del sistema era la paura, esercitata attraverso
l’imponente sistema di sicurezza sottoposto direttamente al dittatore.
Davanti al terrore, il singolo cittadino era impotente, così come lo era
il più alto funzionario del partito, la cui esistenza poteva essere
spazzata via da un minuto all’altro. Chlevnjuk calcola che tra il 1930 e
il 1952 furono fucilate oltre 800 mila persone, e che almeno 60 milioni
furono soggette a una qualche forma di repressione, dall’arresto
all’invio al Gulag, da lunghi periodi di detenzione ingiustificata alla
perdita del lavoro perché parenti di un «nemico del popolo». A questi
vanno aggiunte le oltre 5 milioni di vittime della carestia indotta da
Stalin per piegare la resistenza dei contadini alla collettivizzazione
tra il 1932 e il 1933.
Nello Stalin di Chlevnjuk, invece, c’è meno spazio per l’ideologia. La
concezione del mondo del dittatore georgiano era certamente improntata
agli insegnamenti di Marx e di Lenin, e in particolare a un violento
anticapitalismo. Stalin si nutriva di una concezione estremamente
semplificata della realtà, ridotta alla lotta tra classi, tra socialismo
e capitalismo, che gli permetteva non solo di ignorare ogni
complessità, ma anche di presentare i suoi crimini come frutto
ineludibile della legge della storia. Aveva inoltre una conoscenza solo
approssimativa del funzionamento dell’economia, che trattava come «una
fortezza da espugnare».
Ma sono soprattutto altri, secondo Chlevnjuk, gli elementi ai quali
guardare per comprendere come l’Unione Sovietica scivolò nell’incubo
totalitario. Uno è indubbiamente la competizione per il potere, che
Stalin condusse in modo spietato attraverso l’eliminazione di tutti i
suoi avversari. A questa dinamica, per esempio, va ricondotta in parte
la prima fase del Grande terrore del 1937, che, prima di colpire
indiscriminatamente la popolazione, prese di mira quanto era rimasto
delle opposizioni interne e della leadership collettiva emersa dopo la
morte di Lenin. Vi era poi indubbiamente una componente patologica, che
portava Stalin a vedere ovunque nemici pronti ad attaccare alle spalle
lo Stato socialista. Più di un indizio fa inoltre pensare che negli
ultimi anni prima della sua morte il deteriorarsi delle condizioni di
salute di Stalin ne abbia offuscato ulteriormente la capacità di
giudizio, aumentando i sospetti verso chi lo circondava e spingendolo
verso una nuova ondata repressiva che fu interrotta solo dalla sua
morte, il 5 marzo 1953.
Il volume di Chlevnjuk ha il fascino della biografia, dove i grandi
movimenti della storia, le ubriacature ideologiche, la lotta per il
potere e le meschinità personali si mischiano fino a diventare
indistinguibili, per poi dar forma concreta alla storia e alle decisioni
degli uomini. Su quanto ciascuno di questi ingredienti abbia
contribuito a determinare il risultato finale, il dibattito è aperto.
Gli zar Romanov non furono dispotici come i bolscevichi
di Ettore Cinnella Corriere La Lettura 14.6.15
Nel febbraio 1613 l’assemblea della terra russa ( zemskij sobor ) elesse
zar il sedicenne Michele Romanov. Si chiudeva così il «periodo dei
torbidi», iniziato dopo l’estinzione della quasi millenaria dinastia dei
Rjurikidi. Lotte intestine, falsi pretendenti al trono, un’invasione
straniera e gravi carestie avevano prostrato il Paese, che agognava alla
stabilità. La nuova dinastia avrebbe regnato fino al marzo 1917 (nelle
foto: lo zar Nicola II e la sciabola di suo cugino il granduca Nicola,
uno dei cimeli che la casa Bonino manda all’asta domani, 15 giugno, a
Roma). L’elezione di Michele non significò l’immediata nascita di un
regime autocratico, perché lo zemskij sobor seguitò a essere convocato
durante il suo regno e nella fase iniziale del suo successore Alessio.
L’assolutismo russo era ancora in via di formazione e sarebbe stato
perfezionato in seguito. Ma Michele non reiterò la solenne promessa che
nessuno sarebbe finito al patibolo senza regolare processo, strappata
dai nobili per ben due volte, nel 1606 e nel 1610, ai precedenti
sovrani. La dinastia dei Romanov fu, per circa un secolo, di sangue
russo. Ma la seconda moglie di Pietro il Grande era una contadina
lituana che, con il nome di Caterina I, salì sul trono nel 1725 alla
morte del marito. E Caterina II la Grande era tedesca. L’apogeo
dell’assolutismo si ebbe con il regno di Nicola I. Sarebbe tuttavia
errato accostare l’autocrazia zarista al selvaggio dispotismo di Stalin.
La monarchia dei Romanov, basata sul potere illimitato del sovrano,
nell’800 promosse una vasta codificazione e, con le riforme di
Alessandro II, garantì una certa indipendenza ai magistrati.
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