domenica 7 giugno 2015
I "triangoli tossi" dei detenuti politici comunisti nei lager nazisti: Boris Pahor rompe il monopolio spirituale e mediatico della Memoria
Boris Pahor, Tatjana Rojc: Triangoli rossi. I Campi di concentramento dimenticati, Bompiani , pagine 240, e 13
Risvolto
“Ogni Giorno della memoria si ripete sempre nello stesso modo: si parla
molto di Auschwitz, si parla di Birkenau o Treblinka, di Buchenwald o di
Mauthausen, ma quasi mai di Dora-Mittelbau, di Natzweiler-Struthof e
altri campi riservati ai Triangoli rossi, i deportati politici. E spesso
mi risentivo, qualche volta a voce alta, non perché sono stato un
Triangolo rosso anch’io, bensì perché avere sul petto, sotto il numero
che sostituiva il nome e il cognome, il triangolo rosso, significava che
ero stato catturato perché come soldato non mi ero presentato
all’autorità militare nazista, ma avevo scelto di oppormi in nome della
libertà. Ecco, questa era la ragione del mio risentimento: bisognava
ricordare come l’opposizione nei diversi paesi si fosse organizzata
anche in resistenza attiva, certo soprattutto clandestina, ma non solo.”
Boris Pahor
Non solo Auschwitz. La memoria di Pahor per gli altri campi
di Marisa Fumagalli Corriere 6.6.15
«Ci sono Campi quasi dimenticati, sopraffatti dall’Olocausto. Di loro si
parla poco, mentre Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen, hanno lasciato il
segno nella memoria collettiva. Ma io vorrei raccontare degli altri che
furono la maggioranza». Queste parole di Boris Pahor si leggevano nel
testo dedicato ai giovani, che lo scrittore affidò al «Corriere della
Sera» in occasione del suo centesimo compleanno (era 26 agosto 2013).
Erano un suo chiodo fisso quei Campi di «annientamento per lavoro, fame,
malattie e impiccagioni», zeppi di oppositori al nazismo di molte
nazionalità, dove egli stesso fu rinchiuso provando le sofferenze
dell’orrore e rispecchiandosi altresì in quelle dei compagni. Certo, in
alcune pubblicazioni l’argomento era stato affrontato (anche in
Necropoli , l’opera che gli valse numerosi premi e la candidatura al
Nobel) ma l’autore triestino di lingua slovena aveva in mente un lavoro
più organico.
Tuttavia, l’idea sarebbe rimasta tale senza lo stimolo di Elisabetta
Sgarbi, responsabile editoriale di Bompiani, che da qualche tempo lo
segue con attenzione. Ora, il progetto è compiuto. Da pochi giorni è in
libreria Triangoli rossi. I Campi di concentramento dimenticati
(Bompiani , pagine 240, e 13) di Boris Pahor, con la collaborazione di
Tatjana Rojc.
Nella Premessa , la spiegazione del titolo di quello che definisce «un
semplice promemoria, un vademecum»: «I Triangoli rossi sono i deportati
politici. Il triangolo rosso — avverte Pahor — era segnato sul mio petto
sotto il numero che sostituiva il nome. Significava che ero stato
catturato perché come soldato non mi ero presentato all’autorità
militare nazista, ma avevo scelto di oppormi in nome della libertà». E
«noi politici — aggiunge lo scrittore — a differenza di altri deportati
che venivano uccisi con il gas appena arrivati col trucco delle finte
docce, dopo le docce vere dovevamo andare a lavorare e cominciare subito
ad avere fame e ammalarci, per finire poi in posizione orizzontale».
Nella prima parte, lo scrittore narra l’esperienza diretta a Dachau,
Sainte-Marie –Aux-Mines, Natzweiler-Struthof, Dora-Mittelbau, Dipendenza
Harzungen, Bergen-Belsen. Quindi, scrive degli altri lager nazisti;
senza dimenticare, infine, i 10 Campi fascisti. Il libro si chiude con
l’elenco delle carceri slovene e italiane da cui si veniva deportati. Le
pagine più avvincenti (e crude) sono quelle autobiografiche.
Tra i ricordi più lucidi di Boris Pahor, c’è il periodo da lui trascorso
a Dora-Mittelbau in Turingia («107 detenuti di diverse nazioni,
radunati nelle gallerie all’interno della collina Kohnstein nella bella
vallata dello Harz, cantata da Schiller e Goethe»).
C’è poi la denuncia: «Di Dora si parla poco perché il direttore,
ingegnere Wernher von Braun, iscritto al partito nazista dal 1937,
sapeva quante vite umane costarono quei missili lanciati
sull’Inghilterra. (In quegli antri venivano allestiti gli impianti per
le bombe V1 e i razzi V2). E lo sapeva anche chi se lo portò negli Stati
Uniti, lo accettò alla Nasa e gli diede il National Medal of Science
nel 1975».
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