Giovanni Botero il gesuita glocal del Cinquecento
domenica 7 giugno 2015
"Le relazioni universali" di Giovanni Botero
Giovanni Botero: Le relazioni universali, a cura di Blythe Alice Raviola, Aragno, 2 voll., euro 60
Risvolto
Le Relazioni universali sono un testo denso, complesso, scritto
per accumulazione con l’obiettivo di mostrare ed esaltare lo stato del
cattolicesimo nel mondo sul finire del Cinquecento. Ne emerge un
affresco tale da aver subito proiettato il suo autore, già celeberrimo
per la Ragion di Stato, nel novero dei massimi pensatori del
suo tempo, nonché degli storici, dei geografi e persino, a detta di
alcuni interpreti, dei primi demografi. Meraviglia, urgenza, novità,
servizio al principe, ideologia e fama di Botero: questi i fili rossi
dell’Introduzione che suggerisce per il testo tutto – ampliato,
tradotto in varie lingue, edito a più riprese nel corso del Seicento –
una rilettura attenta all’epoca di transizione in cui fu concepito,
all’idea di civiltà che vi è sottesa e alla straordinaria capacità di
analisi dei sistemi politici e delle confessioni religiose, talune
delle quali, allora come oggi, confliggenti. Giovanni Botero il gesuita glocal del Cinquecento
Tornano le “Relazioni Universali” del filosofo. Il mondo raccontato da missionari e ambasciatori
di Adriano Prosperi Repubblica 6.6.15
«Libro veramente ammirabile si è il mondo» — scrive Giovanni Botero
nella dedica dell’edizione 1595 delle Relazioni Universali al cardinal
Pietro Aldobrandini: un libro che «si legge continoamente e si studia e
non manca mai, a chi v’attende, materia o d’essercitar l’ingegno o di
pascer l’affetto. S’allarga a chi pensa di ristringerlo, s’affonda
tuttavia più a chi crede d’haverne trovato il centro. Suggerisce
finalmente del continuo materia di nuova speculatione e di nuova
meraviglia a tutti».
Basterebbe questa meraviglia davanti all’inesauribile ricchezza del
mondo per rendere avvertito il lettore di quanto questa vasta opera
messa insieme dall’autore con strenuo lavoro di più di un ventennio
respiri ancora l’atmosfera di un Rinascimento italiano aperto e creativo
davanti al rapido mutare delle conoscenze sul globo. Pochi anni ancora e
Galilei proporrà di leggere il messaggio di Dio agli uomini non solo
nella Bibbia ma nel gran libro della natura, scontrandosi per questo con
la scienza e la teologia dei Gesuiti.
Gesuita, Botero lo era stato nella sua formazione; e una volta uscito
dalla Compagnia le rimase intellettualmente fedele. Ma, una volta
lasciata l’incombenza del predicare e del comporre testi poetici
d’occasione, quella che lo dominò fu una passione per la politica
nutrita di storia e di geografia. Dopo aver lasciato con la sua Ragione
di Stato un segno durevole sulla cultura e sul linguaggio politico
europeo dell’epoca post-machiavelliana si misurò coi molti concorrenti
attivi nel campo delle informazioni sulle cose del mondo. E vinse la
gara dando alle sue «relazioni» una ampiezza universale e riversandovi
una massa enorme di conoscenze raccolte via via, con una curiosità
rimasta viva fino quasi agli ultimi giorni e riversata nei continui
interventi di aggiunte e correzioni.
Nacque così l’opera che ora, grazie all’editore Nino Aragno e alla
curatrice Blythe Alice Viola, leggiamo finalmente in una edizione
moderna. Meritavano certamente, queste Relazioni Universali, un posto in
una ideale biblioteca di classici italiani; su questo non si può che
essere d’accordo con quello che scrive Blythe Alice Viola nel saggio
introduttivo. Chi per leggerle doveva andarsele a cercare nelle tante
edizioni e ristampe che ebbero all’epoca ne avvertiva da tempo
l’esigenza. Era un vuoto così evidente che anche chi scrive queste righe
ne aveva immaginato e proposto un’edizione. Operazione non facile,
proprio per il suo carattere di work in progress, riletto e arricchito e
corretto dall’autore fino al lascito manoscritto di un quinto libro
edito solo a fine ‘800 da Pietro Gioda.
Ma perché si giungesse finalmente a mettere mano all’impresa occorreva
qualcosa che si è verificato solo in questo avvio di secolo: l’emergere
nella coscienza comune e nella riflessione storica della globalizzazione
come idea e come rapido e violento processo reale. Bisognava insomma
che il problema del racconto del mondo come un tutto prendesse forma di
esigenza diffusa e mettesse in crisi le antiche divisioni del lavoro
intellettuale.
Fino ad allora la fortuna di Botero — dopo il grandissimo successo di
edizioni e traduzioni del ‘600 — aveva viaggiato solo grazie a studiosi e
interpreti anche di grande qualità come il geografo Alberto Magnaghi e
gli storici Federico Chabod e Luigi Firpo, ma curiosamente tutti di area
subalpina, quasi che ci si potesse ricordare di lui solo nei dintorni
del piccolo centro della “Provincia granda”, di cui Botero era
originario.
Oggi si discute molto di «global history» e di «world history», ma
l’unico modello novecentesco, quello di Fernand Braudel, appare sempre
più inadeguato: chi l’ha sostituito sulla cattedra del Collège de
France, lo storico Sanjay Subramahniam, ha raccontato quanto sia stato
sempre difficile fare di un sapere costituzionalmente «egoista» come la
storiografia una «xenologia », cioè una scienza degli «altri». Ebbene,
Botero ha qualcosa da insegnare al riguardo. Intanto, nonostante la sua
affermazione che «l’istoria è madre della saviezza umana», non è un caso
che le sue Relazioni non siano e non vogliano essere un’opera di storia
ma di informazione sul mondo.
Nella politica degli stati moderni così come nella conquista religiosa o
economica l’informazione si era guadagnata un posto fondamentale. Si
era sviluppato il genere letterario delle relazioni: ne scrivevano
navigatori, ambasciatori, missionari, tutti coloro che si muovevano per
affari, politica, religione. Botero fu colui che ebbe la forza e la
costanza di fare tesoro di tutte le relazioni a cui ebbe accesso, in
modo speciale quelle dei missionari gesuiti dall’America, dalla Cina e
dal Giappone. Le unificò con una scrittura che ha la forza e i colori
dell’italiano letterario all’apice della sua maturità, le fece sue
raccontandole in prima persona e chiedendo di essere creduto come
testimone de visu — una finzione non nuova, an- nunciante l’incipiente
avvento del giornalismo.
«Io ho girato l’uno e l’altro emisfero», scrisse nella dedica a Carlo
Emanuele di Savoia. E in quella al cardinal Borromeo si disse giunto «al
fine de’ miei lunghi e faticosi viaggi che, per intendere dello stato
della relligione Cristiana per il mondo, io intrapresi questi anni
passati». Ma soprattutto organizzò le relazioni con una robusta
intelaiatura che teneva insieme, sotto le forme del potere, insediamenti
umani e culture, risorse ambientali e meraviglie della natura, con
l’aggiunta di episodi storici e vicende e scoperte curiose destinate a
tenere desta la curiosità del lettore.
Nel suo racconto tutto è umano: anche se qualche editore del ‘600
arricchì l’opera con immagini di umanità mostruose, giocando
sull’attrazione sempre viva del meraviglioso medievale, nel mondo
descritto da Botero non ci sono più i mostri pliniani, mentre vi
abbondano storie di bestialità, di umanità primitive e degradate. Si fa
avanti invece nell’ultima parte dell’opera il meraviglioso devozionale
della Controriforma, tutto ricavato dalle storie delle missioni
gesuitiche: come il «prodigio orribile» della fanciulla peruviana
Caterina che, per aver nascosto al confessore i suoi peccati di sesso,
finì all’inferno lasciando a infestare i luoghi il suo fantasma — un
demonio- peccato, un demonio-donna. Quanto alla religione, acquisita
ormai la straordinaria varietà delle sue forme, essa appare come un
fattore essenziale dei livelli di civiltà, graduabili secondo
l’impostazione del gesuita José de Acosta non come immutabili dati di
natura ma come stadi di un processo evolutivo affidato alla grandezza
dello stato e all’accortezza del sovrano. Ed è tipico del forte senso
boteriano del nesso tra potere statale e religione il fatto che, più dei
successi orientali di Francisco Xavier, quello che gli interessa è
l’avanzata dell’impero spagnolo in America: un’avanzata che si porta
dietro la conversione di interi popoli e promette così al cristianesimo
cattolico di vincere la gara con le altre religioni mondiali — l’Islam
in primo luogo, una religione che Botero propose di provocare con la
diffusione di satire a stampa del Corano: un’idea ricca di futuro, come
sappiamo.
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