domenica 7 giugno 2015

Il Centro di documentazione sul nazionalsocialismo di Monaco


Monaco, il grande cubo bianco che raffredda il delirio hitleriano 

A Monaco, il nuovo «Centro di documentazione sul nazionalsocialismo». Preceduto da polemiche, l’edificio, da poco inaugurato, coglie nel segno come architettura; la museografia, invece, è piatta e anti-emotiva

Claudio Gulli il Manifesto 7.6.2015, 0:10

Monaco, aprile 1919. Le truppe prus­siane e i corpi liberi di Franz Rit­ter von Epp repri­mono i rivo­lu­zio­nari che ave­vano pro­cla­mato la Baviera una libera repub­blica sovie­tica. Un gio­vane austriaco, che al fronte era stato notato per le sue abi­lità ora­to­rie, su ordine del suo capi­tano, si infil­tra in un par­tito nazio­nal­so­cia­li­sta di pochis­simi iscritti, fra i cui primi finan­zia­tori è pro­prio von Epp. Dopo un paio di comizi nelle bir­re­rie, ne assume il comando (feb­braio 1920). Dota il par­tito di un gior­nale, il Völ­ki­scher Beo­ba­ch­ter, di un edi­tore (Eher Ver­lag) e soprat­tutto di uno squa­drone para­mi­li­tare, le SA. Il feno­meno non passa inos­ser­vato presso i cir­coli bene­stanti di Monaco, dove da tempo si discute di supe­rio­rità raz­ziale dei tede­schi. Gra­zie a un amico anti­se­mita, Die­trich Eckart, Hitler viene intro­dotto presso il ricco edi­tore d’arte Ernst Hanf­staengl e viene a cono­scenza delle cospi­ra­zioni ordite dalla ‘Società Thule’, che invoca una dit­ta­tura fon­data sulla razza. Intanto, nelle lezioni uni­ver­si­ta­rie o nelle rivi­ste di Monaco, alcuni pro­fes­sori insi­stono su con­cetti come spa­zio vitale o igiene raz­ziale. Mus­so­lini mar­cia su Roma (otto­bre 1922) e Hitler cerca di caval­care l’onda: induce alcuni mili­tari con­tro­ri­vo­lu­zio­nari, come Ernst Röhm e Erich Luden­dorff, a ten­tare un Putsch in una bir­re­ria, che però fal­li­sce (8–9 novem­bre 1923). Il fana­tico è già aiu­tato dall’alto: per buona con­dotta sconta solo nove mesi di car­cere, al netto di una pena che pre­ve­deva cin­que anni. Durante la pri­gio­nia, le ami­ci­zie alto­lo­cate si strin­gono: e i ric­chi coniugi Bech­stein, pro­prie­tari di una ditta di pia­no­forti e patiti di Wag­ner, gli rega­lano una Mer­ce­des (1925). Hitler non può par­lare in pub­blico, ma fre­quenta salotti impor­tanti come quello degli edi­tori Hugo e Elsa Bruck­mann. Ora è attento alla sua imma­gine, vei­co­lata in pose mar­ziali e pri­vate dal foto­grafo Hein­rich Hof­f­mann, e pian piano rico­strui­sce il par­tito. Alle ele­zioni pre­si­den­ziali del 1928, il risul­tato è scarso (2,6 %). Però un allar­mato Tho­mas Mann, pre­mio Nobel nel ’29, con­si­dera ormai Monaco la «città di Hitler»: pre­sto deci­derà di non rimet­tere più piede in città. Arriva la Grande Depres­sione: il marco crolla e la disoc­cu­pa­zione schizza alle stelle. Nel 1932 i nazi­sti gua­da­gnano il 37,4 % delle pre­fe­renze. Nel ’33, Hitler è eletto can­cel­liere, con il con­senso della vec­chia élite di governo, legata al pre­si­dente Paul von Hin­den­burg. I suoi fede­lis­simi occu­pano ora posi­zioni poli­ti­che chiave: sono ex-militari come Her­mann Göring, avvo­cati civili con espe­rienze di poli­zia poli­tica come Wilhelm Frick (entrambi pre­senti al Putsch del ’23), stu­diosi di let­te­ra­tura tede­sca e esperti in pro­pa­ganda come Joseph Goeb­bels.
Pan­nelli retroil­lu­mi­nati che scio­ri­nano una messe inter­mi­na­bile di docu­menti – foto, video, bio­gra­fie di car­ne­fici e di vit­time, illu­stra­zioni, coper­tine di gior­nali, gra­fici, mappe –, così si riav­volge il filo della sto­ria nel nuovo Cen­tro di docu­men­ta­zione sul nazionalsocialismo(NS-Dokumentationszentrum, aperto dall’1 mag­gio con la mostra per­ma­nente su Monaco e il nazio­nal­so­cia­li­smo, cata­logo C. H. Beck, a cura di Win­fried Ner­din­ger, pp. 624, euro 38,00). Nel pro­cesso di gesta­zione del cen­tro, non sono man­cate le pole­mi­che. La prima diret­trice, la sto­rica Irm­trud Wojak, è stata rimossa dal suo inca­rico dopo due anni. Pic­cata, dichia­rerà allo Spie­gel che il cen­tro è pen­sato «più per la con­fe­zione museale del tema che per la ricerca di verità sco­mode» (2012). La stu­diosa voleva un isti­tuto dove si inda­gas­sero meti­co­lo­sa­mente sto­rie di uomini e pro­cessi col­let­tivi. Al suo posto è stato chia­mato uno spe­cia­li­sta di archi­tet­tura di epoca nazi­sta, e la parte docu­men­ta­ria sui pro­getti del tempo per Monaco, rea­liz­zati o meno, è chia­ra­mente un punto di forza dell’esposizione. Con la sua fred­dezza ana­li­tica, il cen­tro scansa quindi il peri­colo dell’emotività, ma genera un effetto da manuale di sto­ria spiat­tel­lato sulle pareti. Il note­vole sforzo di ricerca pro­dotto è mor­ti­fi­cato da una museo­gra­fia piatta, mal dige­ri­bile per via della mono­to­nia dei pan­nelli. Sotto il pro­filo dell’architettura e dell’urbanistica, l’edificio vince invece in pieno la sua scom­messa. Il white cube di cin­que piani, pro­get­tato dagli archi­tetti dello stu­dio ber­li­nese Georg, Scheel e Wetzel (2009–2015), è schia­rito da fine­stre a feri­toia, dispo­ste irre­go­lar­mente sui quat­tro lati. Que­sta sca­tola can­dida e discreta occupa il posto del palazzo neo­clas­sico dei Bar­low (1828), che dal 1930 era la «casa del par­tito» di Hitler, nota come ‘Casa mar­rone’ (Brau­nes Haus), bom­bar­data dagli alleati e demo­lita nel 1947. A pochi passi è la König­splatz, sereno memento di quando a Monaco si sognava la Gre­cia antica. Que­sta piazza del tempo di Lud­wig I era lo sce­na­rio pre­di­letto dei nazi­sti per le loro parate, e nella memo­ria col­let­tiva le eurit­mie solenni di Leo von Klenze sono sem­pre affol­late dal ricordo inquie­tante delle sva­sti­che. Con due monu­menti eretti in memo­ria dei caduti nel Putsch fal­lito (Ehren­tem­pel, 1935, demo­liti nel ’47) e la pavi­men­ta­zione in pie­tra, Hitler si appro­priava defi­ni­ti­va­mente della piazza, che imma­gi­nava come una sorta di acro­poli tede­sca. Il tutto era orche­strato dall’architetto di regime Paul Lud­wig Troost e accanto due suoi edi­fici quasi gemelli esi­stono ancora: uno è il Füh­rer­bau, dove venne dichia­rata l’annessione dei Sudeti nel ’39. Con la Libe­ra­zione, gli ame­ri­cani scel­sero quest’edificio per rie­du­care i tede­schi alla demo­cra­zia: fu sede della Ame­rika Haus (1948–1957), dove si pote­vano sfo­gliare «Life» o i romanzi d’oltreoceano. Ora, fra il por­fido e il gri­giore, risuo­nano note: è una Scuola sta­tale di alta for­ma­zione musi­cale e tea­trale. Poco più in là, i nazi­sti demo­li­rono la villa neo­ri­na­sci­men­tale di Alfred Pring­sheim, suo­cero ebreo di Mann, mate­ma­tico e grande col­le­zio­ni­sta di maio­li­che (1933). Fon­da­rono la sede ammi­ni­stra­tiva del par­tito (Ver­wal­tung­sbau der NSDAP). Cen­tro di rac­colta delle opere d’arte tra­fu­gate dai nazi­sti all’indomani della Libe­ra­zione, diviene l’Istituto cen­trale per la sto­ria dell’arte dal 1946: oggi una delle migliori realtà euro­pee nel campo, forte di una biblio­teca e foto­teca impa­reg­gia­bili. Con la siste­ma­zione di cal­chi di scul­ture anti­che nel cor­tile, l’edificio è anche un esem­pio lumi­noso di riu­ti­lizzo poe­tico dell’architettura nazi­sta. Nell’area com­presa fra la ‘Casa mar­rone’ e la Alte Pina­ko­thek, Hitler inten­deva poi piaz­zare un’enorme can­cel­le­ria, mai com­piuta. Da poco è stata qui edi­fi­cata la nuova Scuola di cinema e tele­vi­sione (2007–2012), che più degli edi­fici pre­ce­denti è un cuore pul­sante della vita cul­tu­rale di Monaco. C’era biso­gno di una rot­tura moderna entro la gab­bia di un pas­sato respin­gente.
Con la morte di Troost (1934), il suc­ces­sore in città è Her­mann Gie­sler, men­tre a Ber­lino il fidu­cia­rio era Albert Speer. Hitler dichiara di voler ren­dere Monaco «capi­tale dell’arte e del movi­mento»: nei suoi piani, attra­verso tre assi col­le­gati alle auto­strade, la città assu­meva l’aspetto di un masto­don­tico reti­colo con­ver­gente verso König­splatz. La sta­zione pro­get­tata somi­glia a un avve­ni­ri­stico panop­tico. Con la costru­zione della Haus der Deu­tschen Kunst (1937, oggi Haus der Kunst), altro cata­falco gri­gio e gra­ni­tico, anche l’arte viene irre­gi­men­tata: quella tede­sca osan­nata nelle sale nobili, quella dege­ne­rata dei dada, degli astrat­ti­sti, degli espres­sio­ni­sti e dei cubi­sti espo­sta al ludi­brio e seque­strata.
Il cen­tro docu­menta minu­zio­sa­mente le per­se­cu­zioni di ebrei, rom e omo­ses­suali; le cli­ni­che della morte o le ste­ri­liz­za­zioni for­zate per i malati di mente; i campi di con­cen­tra­mento e le depor­ta­zioni. E chiude con scelte forti: docu­men­tare la sorte penale dei nazi­sti nel Dopo­guerra, spesso leg­ge­ris­sima. La ‘dena­zi­fi­ca­zione’ fu una farsa ame­ri­cana che durò ben poco: in molti rigua­da­gna­rono pre­sto i loro inca­ri­chi. Un tema che si intrec­cia con quello delle insor­genze del nazi­smo dal ’45 a oggi, fra atten­tati e revan­sci­smo: un feno­meno davanti al quale Monaco non intende abbas­sare la guardia.

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