mercoledì 24 giugno 2015

Il servizietto

Bernard Henry Levy, il filosofo delle foto false e della guerra

I fantasmi di Lévy e le maschere della barbarie  Positano premia il filosofo 
24 giu 2015  Corriere della Sera Di Giulio Giorello © RIPRODUZIONE RISERVATA 

Nella rocca di Castelnuovo della Napoli quattrocentesca «vi era una fossa sottoposta al livello del mare… nella quale si solevano cacciare i prigionieri che si volevano più rigidamente castigare: quando si cominciò a notare che, di là, i prigionieri sparivano». Non che facessero la loro ricomparsa nel mondo dei vivi; forse diventavano spettri! Ma il meccanismo della trasformazione rimaneva ignoto, finché «un giorno si vide... , da un buco celato della fossa, introdursi dal mare un coccodrillo, che con le fauci afferrava intero il prigioniero e se lo trascinava in mare per trangugiarlo». Da allora la bestiola, «che si suppose venuta dall’Egitto», attaccata ai fianchi di qualche bastimento, avrebbe servito come boia senza stipendio. «Finché, essendosi stabilito di disfarsi del pericoloso visitatore, si tolse un’ancora del bastimento, gli si legò una coscia di cavallo, e si pescò il coccodrillo, che venne ammazzato», salvo poi venire impagliato come monito per le future generazioni di criminali; infine scomparve esso pure, come amabilmente racconta Benedetto Croce nelle sue Storie e leggende napoletane (1919). Ma la Napoli sanguinaria su cui regnò dal 1458 al 1494 Ferdinando I d’Aragona, noto come Ferrante, era destinata via via ad annoverare tra i propri fantasmi anche gli abitatori di sempre più numerosi «palazzi degli Spiriti», ove — si premura di dirci Croce — si udivano strani rumori e si vedevano paurose apparizioni. A prescindere dalla verosimiglianza biologica e storica, la sostanza è che gli spettri, come i sogni, sono una mescolanza inestricabile di timori e desideri, e non solo nei nebbiosi scenari del Nord. Come ci insegna una lunga tradizione, almeno da Giambattista Basile allo stesso Croce, per non dire di Eduardo de Filippo, possono essere evocati da principi e popolo sotto i cieli del Mediterraneo. Sembra che né Basile né Croce credessero troppo alle leggende che andavano raccogliendo; ma non è necessario credervi per servirsene come scandaglio delle insidie dell’animo umano. Dunque, spettri e spiriti disincarnati possono essere anche cose terribilmente serie non perché esistano, ma perché spingono chi è vivo a esistere per davvero, senza ridursi a un mero fantasma di se stesso. 
«Sono il figlio naturale di una coppia diabolica, il fascismo e lo stalinismo», esordiva nel suo 
La barbarie dal volto umano (1977) BernardHenri Lévy. Ora, insignito del Premio internazionale di giornalismo civile, credo che non disdegnerebbe l’accostamento alle dimore visitate di cui narrava Croce, lui che è sempre attento al pericolo che, tra onnipotenza tecnologica e terrorismo globale, tra aggressione dall’esterno e coscienza infelice dell’Occidente (si pensi alla nefasta azione censoria della «correttezza politica», che ben pochi risparmia: da Ovidio a Walt Disney), si tramutino in fantasmi i nostri ideali di giustizia e libertà. La barbarie dal volto umano ha cambiato mille volte maschera, ma è sempre animata da una testarda smania di proibire e insieme da una sfrenata volontà di arrendersi. Per Bernard-Henri la resistenza più efficace non avviene, però, con gli strumenti del politico di professione, ma con quelli di un risveglio etico. Potremmo dire perfino con l’aiuto della parola del Dio delle Scritture, se non fosse che, nell’epoca della morte di ogni divinità, sarebbe come opporre agli spettri più torbidi un fantasma dell’antica onnipotenza. In realtà, ha scritto Lévy ( Il 
testamento di Dio, 1979), è la vena anarchica di certe pagine della Bibbia che può spingere credenti e non credenti dell’Occidente a non sottomettersi. Altrimenti, rischiamo di constatare — come il personaggio della commedia di Eduardo — che i poveri fantasmi… siamo noi. 

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